A sconfiggere i golpisti è stata la combinazione tra la fedeltà del comandante della Prima Armata ad Istanbul e la disponibilità della popolazione a rispondere alla chiamata del presidente. Che ora ha il potere per decidere se essere conciliante o usare il pugno di ferro

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C’è uno stridente contrasto ?fra la tranquillità del Bosforo in quei giorni caldi e umidi e le tensioni persistenti, prodotte dagli eventi drammatici del 15 luglio. Quel venerdì sera, una parte dell’esercito ha tentato un golpe aggiungendo un’altra data all’elenco dei giorni infausti della Turchia, ovvero degli interventi militari diretti ?o indiretti, riusciti o falliti.

Non è ancora chiaro chi fosse il responsabile del colpo di Stato, ma sembra che sia stato organizzato da una coalizione di vari gruppi che comprendeva ufficiali fedeli al movimento di Fethullah Gülen, o da kemalisti scontenti fra i ranghi dei colonnelli e dei generali a una stella che volevano rovesciare il governo dell’Akp e porre fine al dominio del presidente Erdogan.

Il tentato golpe è costato la vita a 60 poliziotti, 3 soldati e 145 civili e ha lasciato sul terreno 1.491 feriti. Subito dopo il fallimento del golpe vi è stata un’ondata di arresti, espulsioni e inchieste fra la magistratura, forze armate e di polizia, rettori e professori universitari.

Ai turchi è apparso un golpe pieno di stranezze. Diversamente dalla maggior parte degli altri colpi di Stato, che si svolgono nelle prime ore del mattino, questo è iniziato alle dieci di sera di un fine settimana, quando le popolazioni di città come Ankara e Istanbul sono in piena allerta e in grado di comunicare senza ostacoli. Vi sono state molte iniziative maldestre, e questo è stato provvidenziale per il governo civile.

Alla fine, a sconfiggere i golpisti è stata la combinazione tra la fedeltà del comandante della Prima Armata di stanza ad Istanbul e la disponibilità della popolazione a rispondere alla chiamata del presidente lanciata, tramite FaceTime, sul canale televisivo Cnn-Turk.

La maggior parte delle unità militari ha preso le distanze dal colpo di Stato, organizzato soprattutto dall’aviazione e dalla gendarmeria sotto la guida, a quanto pare, di un’ex comandante dell’aeronautica militare. Il fatto che le forze di terra, che costituiscono il 65 per cento dell’esercito turco, fossero poco rappresentate ai vertici della cospirazione ?è stato pure un fattore importante del fallimento.

Il risultato del golpe è stato quello di provocare una frattura all’interno del secondo esercito più grande della Nato. Inoltre, l’arresto del comandante della Seconda Armata e di alcuni dei suoi principali generali che conducono la lotta contro ?i separatisti curdi del Pkk solleva interrogativi sulla capacità del governo turco di continuare questa battaglia.

In un momento in cui i pericolosi vicini della Turchia lanciano serie sfide e la sicurezza del Paese è scossa sia dalla guerra del Pkk sia dagli attacchi dello Stato islamico, la situazione genera un livello di vulnerabilità inaccettabile. La pianificazione del golpe, infine, ha rivelato ?un grave deficit di intelligence. ?I vertici militari che si stavano preparando per la riunione annuale sulle promozioni e i pensionamenti del Consiglio militare supremo (Yas) ?e l’unità di controspionaggio dell’esercito non sembrano aver percepito alcun indizio. Allo stesso modo, i servizi segreti della polizia e della gendarmeria e quelli agli ordini dell’esecutivo (Mit) non hanno messo in guardia il governo.

Quest’ultima affermazione potrebbe essere solo una mezza verità. È noto che le autorità turche usano esche appropriate per far uscire prematuramente allo scoperto ?i golpisti. In questo caso era ampiamente previsto che in coincidenza con la riunione dello Yas sarebbe avvenuto un completo repulisti. Tant’è vero che, dopo il fallimento del colpo di Stato, ci si aspettava un’ondata di arresti di agenti ?di sicurezza ritenuti affiliati ?al movimento Gülen.

Il movimento Gülen è un’organizzazione d’ispirazione islamica, piuttosto opaca, nota per le sue estese reti educative e per le sue scuole diffuse in tutto il mondo, come pure per i suoi organi di informazione messi recentemente a tacere in Turchia. Il suo leader, Fethullah Gülen, è un predicatore che ?sta in Pennsylvania dove si è rifugiato alla fine degli anni 90 per salvarsi da un processo.

Da una decina d’anni è noto anche che il movimento ha un’altra dimensione. I suoi aderenti si sono infiltrati nell’apparato statale turco, ?e in particolare in quello giudiziario e nella polizia.

Gülen ed Erdogan all’inizio erano alleati. La loro definitiva separazione è avvenuta dopo l’avvio, nel dicembre del 2013, di un’indagine per corruzione contro Erdogan e la sua famiglia. Sopravvissuto a questo attacco perpetrato per sua convinzione dall’ex amico, Erdogan dichiarò che i seguaci di Gülen formavano uno “Stato parallelo” all’interno della struttura del governo turco. ?Da allora si sono susseguite interminabili epurazioni di sospetti gülenisti dalla polizia ?e dalla magistratura. Questa guerra contro lo “Stato parallelo” è anche una delle ragioni per le quali Erdogan ha sollecitato provvedimenti contro l’indipendenza del potere giudiziario. E in effetti, prima ?del tentativo di colpo di Stato, stavano già crescendo nel Paese preoccupazioni per questa tendenza strisciante di violazione dello Stato di diritto ?e di altri aspetti fondamentali di un sistema liberal-democratico.

La reazione del partito al potere e le misure che sono state adottate per mobilitare la sua base (utilizzo delle moschee per fare appello alla resistenza, distribuzione di bandiere, richiesta alla popolazione di non abbandonare le piazze) indicano che il governo era preparato all’eventualità di un golpe. È molto difficile pertanto che le fratture nella società turca e la polarizzazione della sua vita politica si possano superare facilmente.

Ora Erdogan ha due possibili scelte. La prima è quella ?di prendere atto di quanto è successo, considerare i pericoli di una grave contrapposizione ?e assumere un atteggiamento più conciliante con l’opposizione. L’altra è invece quella di continuare ad accentrare il potere, intensificare le purghe ?e incrinare ulteriormente lo Stato di diritto. Le prossime settimane chiariranno quale strada vorrà percorrere quando le furie scatenate dalle reazioni al colpo di Stato si saranno placate.

Gli alleati europei della Turchia si sono opposti al colpo di Stato, ma hanno anche messo in guardia Erdogan dal violare ?lo Stato di diritto e le libertà che sono già state compresse. Gli Stati Uniti, dove Gülen risiede, hanno condannato il colpo di Stato con una dichiarazione presidenziale. Ma un ministro del governo turco ha accusato apertamente Washington di aver tramato dietro le quinte a favore del golpe, e il ministro degli Esteri ha detto che fino ?a quando Gülen non verrà restituito alla Turchia il contrasto fra gli Stati Uniti ?e il governo di Ankara sarà destinato a durare. Il Segretario di Stato, John Kerry, ha reagito a queste pretese e ha chiesto alla Turchia di esibire prove convincenti a sostegno di una richiesta di estradizione di Gülen, esortando il governo di Ankara a non violare i diritti democratici e le libertà fondamentali.

La via che Erdogan sceglierà sarà determinante per i rapporti fra la Turchia e i suoi alleati e per la sua posizione all’interno della comunità democratica.

traduzione di Mario Baccianini