Francia, l'Is uccide il parroco di una chiesa. La nuova strategia del Califfo in Europa

Il reverendo Jacques Hamel, 84 anni, è stato ucciso questa mattina nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia. Secondo l'agenzia di informazione dell'Isis, Amaq, i due assalitori erano «soldati dello Stato islamico». É l'ennesimo attacco nella Ue, frutto di una consapevole scelta strategica 

Il parroco della chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nei pressi di Rouen, cittadina della Normandia, è stato ucciso questa mattina. Due aggressori sono entrati nella chiesa intorno alle 10, armati di coltelli, prendendo in ostaggio il reverendo Jacques Hamel, 84 anni, e altri cinque ostaggi, uno dei quali rimasto ferito in condizioni gravi. Circondati dalla polizia, gli assalitori sono stati uccisi.

Ci sono volute soltanto quattro ore e mezzo prima che lo Stato islamico rivendicasse l'attentato, attraverso il consueto canale di informazione, l'agenzia Amaq. «I due autori dell'attacco alla chiesa in Normandia, Francia, erano soldati dello Stato islamico. Hanno condotto l'esecuzione in risposta agli appelli a colpire i paesi che fanno parte della coalizione dei crociati». La formula usata dall'agenzia Amaq riprende quella già adottata nei giorni scorsi per mettere il cappello sugli attentati di Ansbach e Würzburg in Germania, oltre che per quello di Nizza, avvenuto appena 12 giorni fa sulla Promenade des Anglais durante la parata nazionale per le celebrazioni del 14 luglio.

Una formula ormai rituale, alla quale corrisponde una lunga scia di sangue. Destinata ad allungarsi. Perché gli attacchi in Europa, che siano diretti o soltanto ispirati dalla leadership del gruppo, riflettono una vera e propria strategia dello Stato islamico. Dettata dal principale reclutatore del gruppo, Abu Mohammed al-Adnani, portavoce dell'Is. É lui che a più riprese ha invocato attacchi indiscriminati in Occidente, nei paesi coinvolti nell'offensiva militare contro l'Is in Iraq e Siria.

Il primo appello risale al settembre 2014. E segna l'inizio dell'evoluzione tattica del gruppo del Califfo: non più e non soltanto concentrato sullo State-building in Iraq e Siria, ma capace di proiettare forza anche all'estero. Con i metodi propri del Califfo: gli attentati terroristici. Allora, Al-Adnani invitava i seguaci del movimento a «uccidere un miscredente americano o europeo – specialmente il perfido e schifoso francese – o un australiano, o un canadese, o qualunque altro miscredente che sia tra i Paesi che hanno dichiarato guerra». E a farlo «in qualunque modo», senza chiedere consigli e senza «cercare il giudizio di nessuno». «Se non siete in grado di rimediare un ordigno esplosivo improvvisato», dichiarava allora il portavoce del gruppo, «allora individuate l'infedele americano, francese, o qualunque altro loro alleato». E poi «spaccategli la testa con una pietra, sgozzatelo con un coltello, passategli sopra con la vostra automobile». Strumenti poi effettivamente usati da attentatori che hanno dichiarato di riconoscere fedeltà al Califfo.

Alla base dell'invito di al-Adnani del 2014, c'è il vecchio sogno di uno dei più importanti ideologi del jihad contemporaneo, il siriano Abu Musab al-Suri, che negli anni Novanta, dopo aver contribuito a stabilire i primi network qaedisti in Europa e aver conosciuto in Pakistan Osama bin Laden, aveva proposto l'idea di un jihad decentralizzato, non gerarchico, una sorta di rivolta popolare, auto-organizzata, senza strutture fisse. Capace di colpire ovunque. Come avviene oggi in Europa.

Nel settembre 2014, l'appello del portavoce del Califfo venne preso per semplice propaganda. Oggi le sue parole assumono un valore diverso, tragicamente profetico, e minaccioso, alla luce delle sue invettive più recenti. Come quella del maggio scorso, con cui sollecitava i simpatizzanti dell'Is a trasformare il mese del Ramadan, sacro per i musulmani, in «un mese di calamità» per gli occidentali. In quell'occasione, al-Adnani ha aggiunto alcuni elementi, essenziali per capire l'evoluzione del gruppo. Ha sostenuto infatti che lo Stato islamico non può essere ridotto alle terre che governa. Perché, oltre che erede di una storia che comincia all'inizio degli anni Duemila, è portatore di un'ideologia e di un'utopia che resistono alla pressione militare. Ha dichiarato inoltre che anche se dovesse perdere le città principali in Siria e Iraq, il gruppo continuerà a operare, e a espandersi. Perché la vera sconfitta avviene «quando si perde la volontà e il desiderio di combattere».

I due assalitori della chiesa in Normandia avevano voglia e desiderio di combattere. E lo hanno fatto in nome dello Stato islamico, come ha ammesso lo stesso presidente francese, Francois Hollande. Secondo le prime informazioni diffuse dalle autorità francesi, uno dei due aggressori era stato arrestato in Turchia nei mesi scorsi dopo aver tentato di raggiungere gli uomini dell'Is in Siria. Spedito in Francia, rilasciato lo scorso marzo, era controllato con un braccialetto elettronico. Un dato che, se venisse verificato, confermerebbe quanto rimanga difficile monitorare perfino coloro che sono sulla “lista nera”. Lo dimostra anche la storia dei fratelli Said e Cherif Kouachi, i responsabili della strage nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015, entrambi finiti sotto i radar degli investigatori nei mesi precedenti all'attentato, così come Amedy Coulibaly, autore dell'attacco del giorno successivo nel supermercato kosher alle porte di Parigi.

É su questa nebulosa di cosiddetti “lupi solitari” - individui radicalizzati, cresciuti nella cultura dell'estremismo, con legami indiretti o superficiali con i gruppi terroristici - che sembra contare il Califfo al-Baghdadi, con tre obiettivi principali: incutere timore tra i nemici dell'Occidente apostata; conquistare le prime pagine e, di conseguenza, accrescere l'autorevolezza del marchio dello Stato islamico nel mercato del jihad globale, favorendo il reclutamento. Da questo punto di vista, che gli attentati siano soltanto ispirati o direttamente organizzati dall'Is è secondario: l'importante è che proiettino un'immagine di forza militare, di espansione. Dimostrando allo stesso tempo l'inefficacia delle misure di contro-terrorismo.

Per mostrarsi un cavallo vincente, le conquiste territoriali non sono più sufficienti. Gli attacchi indiscriminati contro i civili in Siria e Iraq o nel mondo arabo-musulmano scontano un effetto di ritualità, che ha finito per anestetizzare il pubblico occidentale. Gli attentati nel cuore dell'Europa, anche quelli minori, servono invece perfettamente alla causa. Perché condizionano le percezioni: il Califfo appare come attore protagonista, anche se sotto scacco in Medio Oriente, mentre i governi occidentali sembrano sempre più inerti, incapaci di garantire la sicurezza dei cittadini. Non è un caso che il fronte di solidarietà nazionale che si era creato in Francia a ridosso dei clamorosi attacchi del novembre 2015 a Parigi sia solo un ricordo. Dopo ogni attacco, le divisioni crescono. All'interno dello spettro politico e nella società francese. Che guarda con sempre più sospetto a chi ha un'origine diversa, a chi viene da fuori, a chi è musulmano. La speranza di Abu Bakr al-Baghdadi è proprio quella di dividere, creare fratture, e lucrare sul caos.

Per colpire l'Europa, fa affidamento a due canali privilegiati: il primo è quello delle cellule “dormienti” composte dagli ex foreign fighters che, dopo essere stati addestrati nel Califfato, rientrando nei paesi di origine hanno portato con sé nozioni e know-how per condurre operazioni complesse, a volte coordinate dalla casa-madre, come gli attentati di Parigi nel novembre 2014 e quello all'aeroporto di Bruxelles del 22 marzo 2016; il secondo è il grande bacino dei simpatizzanti, degli aspiranti jihadisti. Spesso si tratta di singoli individui. Che però rispondono a un richiamo ideologico reale e collettivo, centrale nell'orientare il tiro dei potenziali terroristi. Un richiamo costruito giorno dopo giorno dalla macchina della propaganda del Califfo, attraverso i diversi canali di informazione. Dopo aver diffuso per mesi il verbo del salafismo-jihadista più settario e violento, giustificato con richiami teologici e ancorato a una visione apocalittica della storia, il Califfo ora getta la rete, a strascico. Sa che può tirarne fuori qualcosa di utile. Per lui, lo è anche l'uccisione di un prete di 84 anni.

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