Il professor Olivier Roy, 67 anni, francese, è tra i massimi esperti di Islam mondiali. E riflette con “l’Espresso” sui nuovi attacchi nel suo Paese

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«L’attacco è all’Occidente in generale. E in tutte le date: lo hanno fatto il 14 luglio, una festa nazionale laica, ora un prete, toccherà a dei militari, poco importa. Non bisogna credere che a ogni attacco ci sia dietro per forza una nuova strategia. Non bisogna troppo razionalizzare. L’appello dei terroristi era stato fatto tempo fa. I giovani rispondono uccidendo magari chi gli sta vicino. Uno dei terroristi della chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray era nato nella regione». Il professor Olivier Roy, 67 anni, francese, è tra i massimi esperti di Islam mondiali e riflette con “l’Espresso” sui nuovi attacchi nel suo Paese.

Professor Roy, l’omicidio del parroco dunque non segna, come molti credono, un salto di qualità?
«No. Col suo giornale l’Is invita ad attaccare tutti. Non sono ?le chiese a essere nel mirino ma chiunque. L’appello è ad armarsi di coltello e uccidere. L’esempio è il militare inglese ucciso in strada tre anni fa. È quello che l’Is propone come modello d’azione».

Il prete non è un simbolo?
«Non è un attacco alla Chiesa in sé. Hanno colpito tutti ?i simboli, soldati, scuole. ?Una scalata quantitativa e qualitativa. E tra i vari obiettivi, c’è anche la Chiesa. Ma questo non significa che la Chiesa sia diventata target privilegiato. Altre volte progetti di attentati contro religiosi erano stati sventati. Ora ci sono riusciti».

Lei sostiene che spesso ?i politici non utilizzano le parole giuste, perché parlare di guerra rende più forte l’Is.
«C’è un punto in comune tra Nizza, il Bataclan, Saint-Etienne-du-Rouvray. I terroristi, che spesso hanno storie diverse, sono affascinati dall’immagine dell’Is, dalla narrazione dell’eroismo. ?Tutti dicono la stessa cosa: “Raggiungendo l’Is, si diventa eroi”. Continuando a ripetere che siamo in guerra e che l’Is è la minaccia principale significa dare importanza a giovani che cercano la gloria e il suicidio. Tutti si uccidono. Non è un caso se muoiono tutti».

Quali sono le parole giuste allora, secondo lei?
«Evitiamo parole come “guerra” che sono inadatte. Dal punto di vista metaforico, certo, siamo in guerra, ma in realtà è un problema di sicurezza. Poi bisogna sgonfiare l’immagine eroica, mostrare che questi ragazzi non sono dei super uomini, né dei superdotati o degli eroi. Sono dei buoni a nulla, dei piccoli delinquenti: bisogna sottolineare il loro aspetto di perdenti. ?L’Is va combattuto, certo. ?Ma mostriamo che si sta indebolendo tra Siria e Iraq. ?E per questo reagisce così ?in Europa».

Perché la Francia è il bersaglio privilegiato?
«La Francia fa parte della coalizione e parla molto, fa grandi dichiarazioni sulla guerra. Ma hanno attaccato anche la Germania e i tedeschi non fanno parte della coalizione. Dieci anni fa fu la volta dell’Inghilterra, nel 2004 della Spagna. Attenzione dunque a dire che questo o quello è nel mirino. Perché in Francia più attentati? Perché ?ci sono più potenziali militanti qui che altrove. I francofoni sono i più rappresentati tra ?i radicalizzati. In Belgio sono ?più del 60 per cento. E si distinguono quelli di origine magrebina. In Olanda e in Germania c’è una numerosa comunità turca ma pochi sono radicalizzati. Perché? Non solo a causa della laicità francese ma anche perché i Paesi del Maghreb hanno vissuto uno choc culturale molto più importante che l’Egitto o la Siria. C’è un effetto di quella che si chiama “deculturazione del religioso” che spiega la “santa ignoranza”. La quale è, potenzialmente, un fattore di violenza. Non è per caso se la maggior parte dei terroristi sono di seconda generazione o convertiti. Nella seconda generazione degli immigrati la rottura è più forte. La terza generazione parla francese con i genitori. Nella seconda invece c’è un problema di trasmissione dell’Islam culturale. È là che l’Is trova terreno fertile».

Perché i governanti europei non sembrano all’altezza della sfida? Perché non hanno saputo rispondere all’esigenza di sicurezza del cittadini?
«Questo tipo di terrorismo è praticamente impossibile da impedire. Non si può mettere un poliziotto davanti a ogni Chiesa o un gruppo di tiratori scelti tutte le volte che c’è una festa. Ed è difficile intervenire e prevenire ogni attacco. Quanto alla prevenzione più profonda, quella che affronta le radici della questione, bisogna prima stabilire una diagnosi. Su questo i politici hanno grosse lacune. Usano una terminologia ampollosa: guerra, barbarie, civilizzazione... ma in concreto non riescono a identificare dov’è il problema».

E torniamo all’importanza delle parole. La colpa è anche dei mass media?
«Certo. L’Is non esisterebbe senza i media. Tutti, compresi i social network. La genialità dell’Is è nella comunicazione: è di rilevante modernità».

Come deve reagire la Francia?
«Non ci sono soluzioni a breve termine. Bisogna incoraggiare le voci musulmane a parlare con i preti per esempio. Il prete assassinato era in buoni rapporti con l’imam locale... Se si attacca l’Islam in toto è poi difficile dialogare coi moderati. E l’Is punta proprio su questo, sulla divisione tra l’Islam dei notabili, degli imam e l’Islam dei giovani, degli emarginati».

Uno dei motivi di polemica sta nel fatto che un assassino del parroco aveva il braccialetto elettronico, lo si conosceva come pericoloso.
«Molti urleranno ma non si può mettere tutti in prigione. Senza considerare che le pene per chi è andato in Siria senza aver commesso dei crimini sono molto pesanti: 7, 10 anni. Certo però bisogna migliorare ?a livello tecnico nella fase di raccolta delle informazioni utili alla polizia, di prevenzione».

Se non c’è una soluzione a breve, cosa bisogna fare per trovarne una a lungo termine?
«La radicalizzazione dei giovani è un problema non esclusivo dell’Islam, si trova ovunque. C’è un ritorno dell’estrema sinistra, dei “casseur” nelle manifestazioni. Un aumento ?dei comportamenti suicidi ?e aggressivi. Ma bisogna soprattutto privare l’Is di un’aura di legittimità. Bisogna puntare su un Islam centrista, di classe media, occupare lo spazio per non dare all’Is la presunzione di rappresentare
la comunità musulmana».

I moderati cosa devono fare?
«Parlare di più. C’è la tendenza a emarginarli, a volerli “smascherare”. Così si fa il gioco dell’Is. Al contrario vanno più considerati. Bisogna che le loro moschee siano visibili».

Quali parole, infine, usare per regalare la speranza ?di un futuro migliore?
«Quello che i giovani radicalizzati intraprendono è un cammino disperato e suicida. Cerchiamo di dare loro e di avere soprattutto noi fiducia ?nei valori dell’Occidente, nella democrazia, nella libertà. Non è con la paura che si può fare dei passi in avanti. Coraggio, anche se le nostre società in questo momento sono molto fragili».