Dall’Inghilterra all’Italia, dall’Austria alla Francia, ?i partiti anti-Ue hanno nel leader russo il loro punto di riferimento. E lui li coccola. Anzi, a volte li finanzia

Vladimir Putin
Nella campagna elettorale americana l’ultimo incubo del Partito democratico si chiama Vladimir Putin. In giugno il quotidiano “Washington Post” aveva rivelato che pirati informatici legati all’intelligence russa hanno spiato per mesi la rete dei computer dei democratici, accedendo in particolare alle ricerche che i sostenitori di Hillary Clinton avevano effettuato sul rivale repubblicano Donald Trump.

Quando poi, venerdì 22 luglio, è stata diffusa una serie di mail da cui emergevano le mosse di alcuni funzionari del partito per favorire la stessa Hillary nello scontro interno contro Bernie Sanders, la Russia è finita nuovamente nel mirino. Robby Mook, il manager della campagna, ha sostenuto che dietro la divulgazione di documenti tanto delicati c’è l’obiettivo di Mosca di «aiutare Trump». «Gli esperti ci dicono che sono stati i russi a rubare le mail», ha ribadito Mook, parlando al programma “State of the Union”.

C’è un leader che, nella «crisi radicale» delle classi dirigenti occidentali descritta da Massimo Cacciari sull'Espresso, sembra muoversi benissimo. Per Putin, al potere da 15 anni e mezzo, le ultime settimane hanno visto due eventi congeniali alla sua politica estera. Prima c’è stato il referendum pro-Brexit in Gran Bretagna; poi il fallito golpe in Turchia, con la risposta autoritaria da parte del regime di Recep Erdogan e la gelata nei rapporti fra Istanbul e gli Stati Uniti.

Colpi durissimi per istituzioni come l’Unione europea e la Nato, che nella Turchia hanno un alleato cruciale, ma che al Cremlino sono viste come il fumo negli occhi. «Dal punto di vista russo», ha scritto Walter Russell Mead, professore di Foreign Affairs al Bard College di New York in un report dell’Istituto di studi politici Ispi, l’Unione europea e la Nato lavorano «per isolare la Russia e impedirle di esercitare la sua influenza».

Ecco il motivo per cui, sostiene Mead, l’uomo forte di Mosca garantisce il suo supporto ai partiti anti-euro, soprattutto di estrema destra. Ed ecco perché, grazie al rapporto privilegiato con loro, ha potuto cavalcare gli sconquassi politici provocati in Europa dai profughi in fuga dalla Siria, un disastro umanitario che il suo schieramento pro-Assad ha contribuito ad alimentare: «Per certi versi Putin capisce l’Occidente meglio di quanto facciano Bruxelles e Washington. Guarda all’Europa con occhi non sentimentali e ne vede i punti deboli che noi preferiamo ignorare», ha scritto il politologo.

È dunque da qui, dall’Europa dove cresce l’insofferenza nei confronti dell’Unione e dove attentati e immigrazione creano un mix politicamente esplosivo, che si può partire per raccontare uno dei leader che stanno raccogliendo i frutti del «disordine globale» descritto da Cacciari. Ormai da anni, i cittadini europei si sono abituati a un flusso ininterrotto di politici che si mettono in viaggio per Mosca al fine di sostenere lo zar. Le motivazioni sbandierate sono gli interessi delle aziende europee, minacciati dalle sanzioni che l’Occidente ha inflitto alla Russia dopo l’invasione della Crimea, come in Italia dice da tempo la Lega di Matteo Salvini. Oppure, ed è la più recente versione del Movimento 5 Stelle, la ragione va individuata nella ricerca di un’equidistanza che l’Europa dovrebbe trovare tra Russia e Stati Uniti, in modo da poter rivendicare la propria autonomia.


IL CONTO DI MARINE

L’attrazione fatale fra il presidente russo e i partiti europei, estrema destra in primis, presenta però diversi aspetti, articolati in interessi economici, politici, ideologici. Tra i precursori, in Europa, ci sono certamente i Le Pen, la famiglia che si identifica da sempre con il Front National francese. Si racconta che il vecchio fondatore Jean-Marie avesse rapporti più o meno nascosti con il regime di Mosca già dai tempi della guerra fredda, mentre la figlia Marine e la nipote Marion non hanno mai avuto alcun imbarazzo nel battersi pubblicamente in favore di Putin.
Marine Le Pen

La giovane Marion Maréchal-Le Pen era l’unica deputata francese presente a un incontro interparlamentare organizzato nel 2012 a Mosca da Sergey Naryshkin, presidente della Duma e fedelissimo di Putin, quando le diplomazie erano già alle prese con la guerra in Siria e, da Parigi, il presidente François Hollande aveva criticato l’appoggio di Mosca alla dittatura di Bashar al-Assad.

Qualche mese dopo, nel 2013, in straordinario anticipo rispetto all’insurrezione filo-russa in Crimea appoggiata da Mosca del febbraio 2014, tocca poi direttamente a Marine Le Pen, leader del Front, recarsi nella penisola del Mar Nero, ora strappata all’Ucraina. Il motivo è una serie di conferenze sulla diplomazia internazionale. In seguito, quando la separazione è compiuta, Marine va a difenderne le ragioni a Mosca: «Putin è un patriota, legato alla sovranità del suo popolo, cosciente che difendiamo dei valori in comune, quelli della civilizzazione europea», dice a un giornale austriaco.
Marine Le Pen

Qualche tempo dopo si scopre che proprio nel 2014 una banca russa, la First Czech Russian Bank, molto vicina al Cremlino, aveva prestato 9 milioni al Front per la campagna elettorale. Un meccanismo diventato un’abitudine: ora che il partito ha bisogno di nuovi finanziamenti per le presidenziali e le legislative del prossimo anno (si parla di 27 milioni), si è rivolto nuovamente all’istituto moscovita. Nessuna remora per Marine, che interpellata da “l’Espresso” per i soldi del 2014 aveva detto: «Abbiamo chiesto a tutte le banche francesi di farci un prestito, poi ci siamo rivolti a quelle europee. Tutte ce lo hanno rifiutato. Una banca russa ha accettato. Se domani una banca italiana o americana vuole prenderne il posto, per noi va benissimo. Non mi sento debitrice nei confronti del Paese della banca che mi ha concesso il prestito».

Peter Kreko, responsabile del think tank Political Capital Institute, di Budapest, ha analizzato i 14 partiti di estrema destra presenti nel Parlamento europeo e li ha divisi tra “committed”, impegnati, a favore della Russia, “open”, aperti, e infine ostili. Ebbene, gli ostili sono solo due, mentre tra i “committed” ci sono Lega Nord, l’ungherese Jobbik, il Front National, Alba Dorata in Grecia e il Partito della libertà in Austria (Fpö). Kreko ha elencato i benefici che nascono da questa attrazione. Per i partiti europei, Putin costituisce un potente alleato che li aiuta ad avere voce, sottraendoli all’isolamento. E, sul piano ideologico, presenta caratteristiche che si sposano con quelle dell’estrema destra, l’ideologia nazionalista e la retorica tradizionalista, la “mano pesante” e l’autoritarismo.

C’è chi, come il ministro degli Esteri ceco, Lubomir Zaorálek, si dice sicuro che la Russia di Putin finanzi direttamente i partiti euroscettici. Leonid Bershidsky - giornalista che ha fondato il quotidiano “Vedomosti”, un’iniziativa in Russia del britannico “Financial Times” e dell’americano “Wall Street Journal” ma che nel 2014 si è trasferito a Berlino con una commiato intitolato “Non è rimasta nessuna speranza, lascio la Russia” - si dice convinto che i finanziamenti di Mosca contino poco: «Così come l’Urss non si aspettava che i partiti comunisti occidentali facessero davvero la rivoluzione, Putin non sembra chiedere troppo ai suoi alleati di destra», ha scritto Bershidsky su “Bloomberg”, sostenendo che Putin è interessato solo alle pressioni che i partiti anti-europeisti possono fare sui governi quando si toccano gli interessi di Mosca. Ma che, oggi, basta il loro successo e questioni come disoccupazione e immigrazione per creare le condizioni politiche ideali per la Russia.


FARAGE E IL MILIARDARIO

In Europa gli esempi di questa comunione d’intenti sono numerosi. A Londra Nigel Farage, uno dei leader del movimento pro-Brexit, ha definito Putin «il leader mondiale che ammiro di più». Ora che Farage ha lasciato la guida del partito Ukip e la lotta per la sua successione prosegue tra infiniti colpi di scena, l’attenzione di molti osservatori è per Aaron Banks, imprenditore ed ex grande finanziatore dei Tories, da cui però si allontanò nel 2014, quando donò un milione di sterline alla formazione di Farage. Le sterline di Banks sono state cruciali per la campagna del “Leave” e lui non ha escluso di poter correre per la guida dello Ukip, che a suo giudizio dovrebbe trasformarsi in qualcosa di «più ampio» e ispirarsi al Movimento 5 Stelle, che in un editoriale su “The Guardian” ha definito «rivoluzionario».
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Nel 2005, lasciata la politica attiva, Schröder è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza di North Stream, la società controllata al 51 per cento dal colosso pubblico moscovita Gazprom che ha collegato la Russia alla Germania con un nuovo metanodotto nel Baltico. L’abbraccio fraterno tra Schröder e Putin davanti allo Jussopow Palais di San Pietroburgo, per il settantesimo compleanno di Schröder nell’aprile 2014, ha scioccato i tedeschi. Con modi meno esibiti, tuttavia, anche Sigmar Gabriel - presidente della Spd e vice-cancelliere della Merkel - può vantarsi di essere uno dei pochi ministri europei dell’Economia a essere stato accolto nella residenza di Putin a Novo-Ogarjovo, lo scorso ottobre. A tavola c’era Alexei Miller, potentissimo capo di Gazprom, visto che Gabriel è uno dei più convinti promotori di North Stream 2, il raddoppio del gasdotto esistente, aspramente criticato nell’Est Europa, oltre che dal premier Matteo Renzi.

Se il rapporto con i socialdemocratici della Spd resta dunque solido, resta il fatto che anche in Germania la Russia flirta sempre più con il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd). «Putin e il suo partito rappresentano la maggioranza in Russia e il nostro legame con loro è negli interessi nazionali tedeschi»: così Markus Frohnmaier, capo della federazione giovanile di Afd spiega l’alleanza appena siglata a Berlino con “Giovane Guardia”, la formazione giovanile del partito di Putin, Russia Unita, un esercito di 150 mila iscritti con spiccate tendenze anti-Usa, omofobe e razziste. Marcus Pretzell, eurodeputato di Afd e fidanzato di Frauke Petry, presidente del partito estremista, è stato ospite d’onore allo “Yalta International Economic Forum“, accanto a manager e politici russi nella lista delle sanzioni internazionali. Finora Frauke Petry ha negato d’aver ricevuto finanziamenti diretti da Mosca. Ma i poster, manifesti e giornali di Afd alle ultime tre elezioni regionali sono stati finanziati anche da sponsor russi. E il viaggio a San Pietroburgo nel dicembre scorso di Alexander Gauland, vicepresidente di Afd, è stato pagato dalla Fondazione di carità San Basilio il Grande dell’oligarca Konstantin Malofeev, uno dei più estroversi seguaci dello zar.

Una delle creature di Malofeev, il centro studi Katehon, è il punto di riferimento di chi diffonde in Europa il verbo di Putin. Ha un sito anche in italiano, a cui rimanda l’Associazione Lombardia Russia di Milano, guidata da Gianluca Savoini, ex portavoce del governatore lombardo Roberto Maroni. Savoini è uno dei molti leghisti che si danno da fare per tenere i rapporti con i russi, assieme all’europarlamentare Lorenzo Fontana, che a Bruxelles ha diviso l’abitazione con Salvini, e a Luca Bertoni, che in alcune uscite si è definito “consigliere personale di politica estera” del segretario. Bertoni nel 2015 ha partecipato a San Pietroburgo al “Forum russo consevatore internazionale” organizzato dal partito neofascista Rodina.

IL PROFETA NERO DELLA LEGA

Se l’attivismo di questi ambasciatori è indubbio, i risultati lo sono meno. Lombardia Russia si propone alle aziende come un intermediario per fare affari nella terra di Putin ma è difficile tracciare i successi ottenuti. Savoini ha anche partecipato alla fondazione di un’agenzia d’informazioni battezzata Agielle News, che aveva il proprio focus proprio sulla Russia. Il sito web non è più attivo, e la pagina Facebook non viene aggiornata dal 17 maggio.

L’iniziativa forse era pensata per inserirsi in quel network informativo di cui fa parte anche Katehon, che vuole diffondere in Europa la dottrina Eurasiatica di Aleksandr Dugin, ideologo di un movimento che vede in una Russia autoritaria e nazionalistica la risposta alla decadenza dell’Occidente e dei suoi valori liberali. Tuttavia, nel Carroccio, queste iniziative non sembrano godere di molto consenso e nella sede di via Bellerio si dice che i contatti presi in Russia siano stati piuttosto inconcludenti.

In giugno Salvini non è andato a Mosca al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, dove invece è stato invitato il deputato Manlio Di Stefano, portavoce del Movimento 5 Stelle alla Camera. Che a “l’Espresso” spiega: «Il nostro obiettivo è difendere gli interessi nazionali italiani. Le sanzioni alla Russia sono inaccettabili: colpiscono il popolo e non il governo, che sta concentrando i suoi commerci in Africa. Noi spingiamo per un dialogo non ideologizzato, perché le sanzioni sono state imposte dagli Stati Uniti attraverso l’Unione europea». Domanda: ma non si sentiva fuori posto, con partiti populisti e di estrema destra? «Il viaggio nasceva da un invito di Russia Unita. Nessun imbarazzo: Putin e il suo partito si fanno sostenere da chi li vuole sostenere. Noi non abbiamo niente a che fare con gli altri partiti». A Roma, i Cinque Stelle hanno presentato una mozione ad hoc, sottoscritta anche da Alessandro Di Battista del direttorio grillino, per togliere le sanzioni alla Russia.