
I blackout servono per assalire i verdurai – "Preferiamo che ci sparino che morire di fame" – ma spengono anche le attrezzature negli ospedali, dove nelle nursery le infermiere trovano i neonati morti nelle incubatrici. Mancano gli antibiotici e i farmaci anche per i ricoverati più gravi come i trapiantati o i malati di cancro.
La scarsità è dovuta alla mancanza di dollari per le importazioni e alla quasi inesistente produzione locale. È mai possibile che manchino i dollari nelle casse di un paese Opec e in più quello con le più grandi riserve? Sì, per una perversa dinamica economica innescata dalle scelte di chi ha governato il Venezuela negli ultimi 17 anni. Una di queste è stata permettere che la dipendenza dal petrolio arrivasse al 96 per cento.
Il crollo del prezzo del greggio è stata la ciliegina sulla torta della crescita negativa (-10 per cento l'anno scorso – peggio del Sudan e della Guinea Equatoriale), che peggiorerà, dice il Fondo Monetario Internazionale. Scendendo dai 108 dollari del 2014 a minimi di 25 dollari al barile quest'anno, la grande risorsa del paese ha messo a nudo tutti gli errori del chavismo, il movimento fondato dal militare in carriera Hugo Chávez, che ha governato il paese senza alternanza dal 1999.
L'idea era progressista: sostenere i lavoratori e i poverissimi in un paese estremamente disuguale, feudo lungo tutta la sua storia di una élite economica, che era anche classe dirigente e aveva come solo riferimento economico, politico e sociale il capitalismo degli Stati Uniti.
Il chavismo ci riuscì tirando fuori dalla povertà un 16-17 per cento della popolazione e organizzando per il popolo l'istruzione e la sanità che non aveva mai avuto. Negli anni del tenente colonnello Hugo Chávez (1999-2013), il greggio venezuelano viaggiava però tra i 110 e i 120 dollari al barile. Per finanziare i programmi sociali, le misiones, non occorreva molta contabilità.
Poi vennero i sussidi, come quello alla benzina che costa alla pompa 28 volte meno che produrla, o quello del riso, che si vende a 7 bolivar il kg mentre al produttore costa 15. Costrette a vendere sottocosto, lentamente ma inesorabilmente le imprese private sono state costrette a ridurre la produzione o a chiudere. Poco male, perché il governo le espropriava continuando a finanziare la differenza tra costo e prezzo di vendita. La spesa dello Stato lievitava, ma per pagarla era sempre aperto il "bancomat" Pdvsa, l'impresa statale petrolifera.
Già nel 2008, la benzina sussidiata pesava sullo Stato per 26 miliardi di dollari l'anno, secondo l'economista Asdrúbal Oliveros, direttore di Ecoanalítica a Caracas. "Chávez e Maduro [al governo dal 2013] hanno potuto disporre discrezionalmente di tutte le risorse dello Stato, per un 'regno dei sussidi' nel quale si sono comprati i voti a suon di regali", commenta la sociologa Isabel Pereira, autrice di Il fallimento morale di un paese. "Qui si è creata una cultura del mendicante, va bene la spesa sociale, ma non renderne tutti dipendenti", è il commento di Héctor Landaeta, giornalista e autore di Chavismo, narcotraffico e militari.
Dei progressi sociali della "rivoluzione bolivariana", che fossero assistenzialistici o meno, non è rimasto niente. Ubriachi di potere, i militari si sono mangiati la gallina dalle uova d'oro: mungendo la Pdvsa a suon di 50 miliardi di dollari l'anno, hanno generosamente regalato cibo, frigoriferi e addirittura case, ma si sono scordati di investire nell'infrastruttura del petrolio. Gli impianti ora sono obsoleti e chiudono. Per produzione il Venezuela è solo 12° al mondo ed è costretto a importare greggio leggero (diluente) perché non lo produce più.
Se non fosse per la Cina, che compra a prezzi stracciati ma senza troppe questioni e fornisce liquidità per pagare gli interessi sull'enorme debito dello Stato, il default ci sarebbe già stato. Complica le cose un sistema valutario basato su tre tassi di cambio, che oltre a essere costato già 50 miliardi di dollari (secondo Merrill Lynch), ha messo in ginocchio i produttori locali e fornito una formidabile opportunità di speculazione.
Senza industria e agricoltura e sempre meno valuta per le importazioni, l'inflazione è decollata brutalmente a un ciclo forse già iperinflattivo. La povertà è quindi raddoppiata. Solo in tre municipi dello Zulia sono stati individuati quasi 1000 bambini in situazione critica di malnutrizione: una bambina di cinque anni pesava cinque chili e mezzo.
Chi può permettersi di fare la spesa quando l'inflazione ha raggiunto il 969,9 per cento (dati Prodavinci) e supererà il 1000 per cento alla fine del 2016? Non certo i poveri, prima nella media latinoamericana del 28 per cento e ora al 60. Sì, invece, i ricchi, l'establishment, gli ammanicati con il potere chavista e chi si occupa di commerci più sicuri come il narcotraffico.
"Il Venezuela è il corridoio preferito per il 90 per cento della cocaina prodotta in Colombia", spiega Javier Mayorca, giornalista esperto di narcotraffico e corruzione. E poiché "dove passa la droga c'è corruzione", nella graduatoria mondiale il paese caraibico sta al 161° posto su 174, ed è anche il più corrotto dell'America Latina. Ha il record anche di essere tra i più violenti: Caracas è tristemente la regina assoluta della violenza con 535 assassini all'anno. Si accoltella o si spara per un'auto – o per cibo.
Il presidente Obama, l'Organizzazione degli Stati americani, Ban Ki-Moon, la Ue e papa Francesco sono preoccupati per la situazione. Si auspica che si autorizzino aiuti per risolvere la crisi umanitaria (che il governo nega); che si liberino i prigionieri politici; che si ripristini lo stato di diritto e si permetta un referendum sul governo, come previsto dalla Costituzione. Il governo lo sta ostacolando in tutti i modi, consapevole del crollo della sua approvazione: è all'11,6 per cento dal 72 del 2005 e il 50 del 2012, secondo Keller & Asociados.
La situazione è complessa, dicono i ricercatori di Datincorp, perché per quanto disorientato e diviso, il chavismo conta su un partito con 4 milioni di militanti organizzati e agguerriti; tranne il Congresso, controlla tutte le istituzioni: la Corte Suprema, il Comitato Elettorale, le Forze Armate, le milizie e i collettivi armati, quasi tutti i governi locali e i sindacati.
L'opposizione era divisa. Quando si è presentata invece in coalizione alle elezioni di fine 2015, ha conquistato facilmente l'Assemblea Nazionale che il governo di Maduro ignora regolarmente. Stanca dei giochetti di un governo senza contrappesi, l'opposizione ha indetto una manifestazione per il 1° settembre. La chiama "la grande presa di Caracas" e la vuole pacifica e massiccia. Per chiedere il referendum stanno arrivando cittadini da tutto il paese, tra cui, a piedim rappresentati di 20 etnie indigene dal remoto stato di Amazonas, lontano 700 km dalla capitale.
Il governo non ha smesso di provocare, intimidire e minacciare da settimane. Chuo Torrealba e altri dirigenti dell'opposizione chiedono con forza che i manifestanti non cadano in provocazioni. E sollecitano il mondo a tenere alta l'attenzione sul Venezuela: il regime è al tramonto ma il cambiamento deve avvenire con gli strumenti della Costituzione. I venezuelani non ne possono più di censura, violenza e sofferenze.