Il malore della candidata democratica alla Casa Bianca irrompe nel dibattito pubblico. E si porta dietro tutti i pregiudizi sulla ex first lady, che ora molti accusano di essere bugiarda per aver taciuto sul suo stato di salute. Un segnale di quanto in basso sia finito lo scontro politico

Usa, la polmonite di Hillary Clinton e l'infimo livello della campagna elettorale

Hillary Clinton ha fatto campagna elettorale per giorni pur avendo contratto la polmonite. Ha preso aerei, fatto comizi, indossato pesantissimi giubbotti anti proiettile pur non stando troppo bene. Non ci sono mai stati spazi perché lei potesse essere debole. Mai.

Quando le chiesero giorni fa del perché di quella tosse persistente lei rispose che stava bene. Che erano le sue allergie. Ma domenica non ce l'ha fatta. E durante le celebrazioni dell'11 settembre si è sentita male, come si nota in un video che fatto il giro del web. Si è poi fatta riprendere sorridente mentre usciva dall'appartamento della figlia a New York e andava a riposarsi a casa sua fino a domani.

Ma il modo in cui ha gestito la – non grave - malattia (negando ogni problema fino alla prova dei fatti) ha fatto sì che in America si parlasse nuovamente di bugie. «Dopo le bugie sulle email inviate al di fuori del server di Stato, adesso ha mentito anche sulla sua salute», dicono gli avversari: «È una bugiarda matricolata». Così la stampa Usa ha fatto presto a titolare che in questo momento, già difficile per via dei sondaggi favorevoli in calo, la sua lotta per la presidenza degli Usa potrebbe risultare vana.

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Eppure la polmonite non è altro che un'infezione batterica. Spesso provoca tosse e una leggera febbre. La vita per la maggioranza delle persone continua come sempre. Certo gli antibiotici (che rendono non infettiva la malattia) indeboliscono l'organismo e richiederebbero qualche giorno di riposo. Ma Hillary non poteva permetterselo. Non in questa campagna elettorale. E ha lavorato come sempre. Il che le fa solo onore. Tra l'altro, in passato, l'ex segretario di Stato ha rivelato più dettagli sulla sua salute del candidato repubblicano che ha dato alla stampa settimane fa solo una paginetta che il suo dottore aveva scritto in cinque minuti assicurando sulla bontà del suo stato.

Però un errore sì l'ha commesso. Quello di fornire paglia al fuoco dell'opposizione. Essendo da mesi accusata, a torto o a ragione, di essere "bugiarda" avrebbe dovuto essere più sincera sulle sue condizioni di salute venerdì scorso, quando ha appreso di avere la polmonite, così da estirpare sul nascere ogni teoria complottista, oltre che ogni sospetto sulla sua capacità di guidare il mondo alla sua età (da notare che se Hillary ha 68 anni, Donald Trump ne ha 70).

E invece. Invece adesso al centro del dibattito politico nazionale è stata nuovamente imposta l'attenzione sulle "bugie" di Hillary, cavallo di battaglia del plotone di Trump. E questo nonostante il "vero bugiardo", alla conta dei fatti, sembrerebbe essere proprio lui: dall'affermazione che Barack Obama e Hillary Clinton siano stati i fondatori dell'Isis alla dichiarazione per cui il Messico invia negli Usa soprattutto criminali e violentatori di donne, passando per la stima del livello di disoccupazione Usa che secondo lui avrebbe raggiunto il 42 per cento e anche i dati peggiori non pongono al di sopra del 15 per cento.

Come spiega l'Economist di questa settimana, in America siamo entrati in una fase del dibattito politico che prescinde da ogni verità, da ogni fatto. Dopo anni di teorie complottiste lanciate dalla destra reazionaria per screditare gli avversari con l'obiettivo dichiarato di fare almeno insorgere il dubbio che ci potesse essere "qualcosa di vero", l'obiettivo è stato raggiunto. In politica non conta più la verità, ma contano soltanto i pregiudizi. Quello che importa sono le impressioni, i sentimenti del popolo, soprattutto quando manifestano rabbia contro il sistema delle élite che fino ad oggi ha governato il mondo.

Nel caso di Hillary, il fatto che lei si sia sentita male e non lo avesse detto non la rende una persona coraggiosa, determinata a lottare fino in fondo, e non la pone in una luce migliore, come sarebbe successo in altre epoche. Rafforza invece il pregiudizio che lei sia una mentitrice che tace la verità per raggiungere i suoi obiettivi. A tal punto il pregiudizio si rafforza e allarga che su Twitter c'è chi l'accusa perfino di diffondere volontariamente l'infezione, senza rendersi conto che gli antibiotici la rendono non infettiva.

Il fatto che la polmonite, una malattia così "sopportabile" che in tanti ragazzi non è diagnosticata per settimane, sia finita al centro della campagna politica americana sancisce l'infimo livello raggiunto dal dibattito pubblico. E dai suoi commentatori. Che da esempio per il resto del mondo occidentale rischia di trasformarsi in una sua tristemente mediatica parodia.

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