I due candidati alla presidenza si sono scontrati su economia, sicurezza e temi sociali. Il repubblicano accusato di sessimo, volgarità e razzismo. Meno efficaci gli affondi della democratica sul tema del commercio internazionale

Calma e preparata come da sempre ci ha abituata. Per una volta anche sorridente, con il vestito rosso a fornire quel tocco di assertività in più che alle sue parole non è concessa in quanto donna. Così Hillary Clinton ha vinto il dibattito presidenziale più atteso dell'ultimo mezzo secolo contro un Donald Trump travolgente ma aggressivo, entusiasta ma confusionario e impreparato.

Dimostrando calma e sangue freddo ha lasciato fare, quasi sedendosi a bordo campo, mentre Trump, imbastendo parole a casaccio ha rivelato il suo temperamento umorale e fumentino, poco presidenziale, interrompendo continuamente sia il moderatore che la rivale, perdendosi dietro i suoi slogan: gli immigrati che abbracciano le armi e creano violenza negli Usa; il taglio alle tasse ai più ricchi che, dopo decenni comprovati di fallite politiche in tal senso, dovrebbe ora generare posti di lavoro; le bugie sulla non americanità del presidente Obama che Trump avrebbe costretto a produrre il certificato di nascita  (reso pubblico nel 2011); la sua mancanza di strategia nella lotta contro l'Isis.

[[ge:rep-locali:espresso:285232654]]In un paio di occasioni Hillary è stata anche ironica, strappando sorrisi e applausi all'audience. Quando nel tentativo a volte riuscito da parte di Trump di trasformare i sue decenni di esperienza politica in una debolezza (con il mantra “se non c'è riuscita in tutti questi anni perché dovrebbe riuscirci ora”) ha risposto sorridendo e ammiccando al pubblico: «Per la fine del dibattito mi avrà addossato ogni colpa».

Certo Hillary avrebbe potuto attaccare e finire l'avversario, soprattutto verso la fine dei 90 minuti, e non l'ha fatto. E forse questa è stata la delusione peggiore del dibattito e il motivo di riserva nell'assegnarle una vittoria completa. Nei momenti in cui Trump era in difficoltà lei si è limitata ad ascoltare e a sorridere in sottofondo, lasciando sì che il rivale is facesse male da solo ma concedendogli anche una perdita di misura. Eppure non è detto che nel caso di Hillary, per la quale l’eloquenza non è una dote naturale, sia stata una strategia sbagliata: troppe volte in passato è stata attaccata frontalmente per un atteggiamento percepito come eccessivamente aggressivo che spaventa l'elettorato maschile bianco abituato alle urla e al decisionismo di un uomo ma non ancora a quello di una donna.

Trump lo sa bene, ha ben chiaro a chi si rivolge e infatti senza esitazioni esclama: «Il mio asset migliore è il mio temperamento. Io ho un temperamento vincente e lei no!»

In campo economico Trump è riuscito a mettere sulle difensive Hillary sul tema del commercio internazionale: un tema per decenni caro a tutti i leader di entrambi gli schieramenti politici che nel libero scambio vedevano la fonte di ricchezza per gli Usa ma che con la travolgente ascesa della Cina e di altri paesi emergenti, e la relativa perdita di milioni di posti di lavoro americani, è diventato un inviso alle masse che ormai invocano a gran voce un ritorno al protezionismo. Clinton ha dovuto ammettere che ci sono delle differenze tra lei e il presidente Obama.

Molto più incisiva Hillary è stata nell'accusare Trump di maschilismo e volgarità facendogli a volte perdere le staffe o battere in ritirata. Che si fosse preparata per questo dibattito molto più a lungo e molto più seriamente dell'avversario che si è affidato soprattutto al suo istinto clownistico e ha riposto tutta la sua fiducia nel desiderio del popolo per “il leader forte e carismatico che rivoluziona l’establishment”, non solo si è notato dalle risposte date ma la dice lunga sullo stile con cui i due candidati abbraccerebbero la presidenza degli Stati Uniti.

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