Russia

Mosca e i dossier su Trump, ora il Cremlino teme per i rapporti con gli Usa

di Riccardo Amati   12 gennaio 2017

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Le presunte rivelazioni compromettenti sul presidente eletto sono un sintomo della crisi interna dell'America, dicono gli osservatori russi. Un addetto ai lavori: "Il kompromat è da sempre un arma del Cremlino, ma questo documento è poco credibile".  Ma ora si teme un inasprimento dei rapporti Mosca Washington

L'America è davvero nei guai, se l'intelligence strategica fornita al suo presidente comprende un dossier contro il presidente-eletto, commissionato da avversari politici di quest'ultimo e mai verificato: è questo che si pensa a Mosca, e non solo tra i fedeli di Putin, della vicenda del "kompromat", la parola russa per "informazioni compromettenti", su Donald Trump.

Il caso alimenta un dibattito che riguarda il ruolo degli Usa nel mondo, si allarga alla crisi delle democrazie occidentali, e vede spesso su posizioni simili intellettuali dell'opposizione e osservatori vicini al governo. Mentre l'ira di Trump contro gli stessi servizi di sicurezza che dovranno lavorare per lui, l'opposizione all'interno del suo stesso partito repubblicano, e le dichiarazioni del suo segretario di Stato in pectore contrastanti le idee del capo, allontanano ogni illusione che i rapporti tra Russia e Stati Uniti possano diventare rose e fiori col nuovo inquilino alla Casa Bianca.

ORGE AL RITZ
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Che la storia dei festini di The Donald a base di prostitute e sesso strano nella suite presidenziale del Ritz  di Mosca sia una balla, nella capitale russa dubitano in pochi. Come in ogni grande hotel o grande azienda, il servizio di sicurezza del Ritz comprende ex agenti dell'Fsb, erede del Kgb sovietico, che continuano a lavorare anche per il vecchio padrone. Consolidata usanza locale.

Non che l'hotel a cinque stelle sulla via Tverskaya sia famoso come covo di spie o come tempio di pratiche erotiche eccentriche: più che per il bondage è noto per il sabrage delle bottiglie di champagne sul terrazzo del lounge bar con vista sul Cremlino. Ma pensare che Trump sia così ingenuo da abbandonarsi ai peggiori istinti nella camera dove avevano dormito gli Obama sperando di non essere inquadrato da qualche telecamera nascosta non appare credibile.

"Donald Trump è un imprenditore del settore alberghiero, sa come funzionano le cose in un hotel del genere e avrebbe il terrore di esser spiato", dice all'Espresso un esperto del settore sicurezza con 22 anni di esperienza di intelligence in Russia, oggi co-titolare di una società di investigazioni con sede a Londra.

"Il dossier è troppo dettagliato: nessun operativo dell'Fsb darebbe informazioni così precise, neanche se fosse un asset acquisito da tempo e strapagato da chi lo interroga", secondo l'esperto: "Per mia esperienza, si può contare su allusioni o dritte da parte di fonti russe del tipo citato nel documento, ma non su tutti quei dettagli".
L' addetto ai lavori, che nella sua carriera ha spesso gestito informatori russi, ritiene il dossier nella parte sul Ritz "troppo perfetto per essere vero". E più in generale appare "privo di stress test e di verifiche".


"KOMPROMAT"
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Il telefono dell'azienda privata di intelligence Orbis, anch'essa londinese, da un giorno suona a vuoto. Il direttore Christopher Steele, ex funzionario dei servizi segreti di sua maestà, secondo il Wall Street Journal è l'autore del dossier su Trump. Il cinquantaduenne Steele ha indubbiamente una vasta esperienza professionale e la Orbis ha clienti importanti. Se Mosca non crede alle orge al Ritz e il "kompromat" sembra al massimo "una prima raccolta di informazioni in attesa di controlli incrociati", come dice l'esperto con cui abbiamo parlato, il documento non è da considerare del tutto inverosimile.

Le smentite del portavoce di Vladimir Putin Dmitri Peskov e della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova lasciano parecchi dubbi sia quando recitano che il Cremlino "non raccoglie 'kompromat' sia quando affermano che il diplomatico Mikhail Kulagin citato nel dossier fosse impegnato negli Usa solo per una breve missione strettamente economica.

Sul primo punto, è il caso di ricordare che solo nell'aprile scorso la carriera politica di Mikhail Kasyanov, leader del partito di opposizione liberale Parnas, fu compromessa dal video che lo riprendeva in intimità con l'amante (la sua segretaria) e che fu fatto circolare da sconosciuti. Se qualche dubbio che sia stata opera dell'Fsb nel caso di Kasyanov rimane, è certo che nel 1999 il maggior rivale dell'allora presidente Boris Eltsin, il procuratore generale Yuri Skuratov, fu fatto fuori politicamente da un video di un suo rapporto sessuale con due prostitute girato a tradimento dall'Fsb. E in quel periodo il capo dell'Fsb era Vladimir Putin. "Da almeno duecento anni i servizi segreti russi sono specializzati nel raccogliere 'kompromat' da utilizzare eventualmente al momento giusto", dice il nostro esperto di intelligence. "Sono i più abili al mondo nel farlo".

Per quanto riguarda poi il diplomatico Kulagin, sarà senz'altro un semplice funzionario esperto di economia come afferma la Zakharova. Ma è anche vero che sarebbe del tutto normale per una spia avere una copertura diplomatica, soprattutto nel caso di missioni limitate nel tempo come quella di cui si parla nel dossier. Non c'è bisogno di esser esperti di spionaggio per capirlo.

Val la pena di notare che il corrispondente da Washington della Bbc Paul Wood riferisce di aver ricevuto nei mesi scorsi da fonti dell'intelligence americana conferme sull'esistenza di informazioni e registrazioni video e audio compromettenti per Trump in mano ai servizi russi. Il dossier compilato dall'ex spia britannica era infatti in circolazione da alcuni mesi, anche se solo ora la Cnn e poi BuzzFeed lo hanno reso noto.


NERVOSISMO USA

Il fatto che Trump abbia tacciato di nazismo le agenzie di spionaggio americane, di cui sceglierà nuovi capi ma da cui dovrà dipendere per le informazioni su cui prendere decisioni cruciali quando sarà presidente, è visto come una cosa molto più grave del "kompromat". Una guerra interna a livelli così alti nell'amministrazione Usa non fa prevedere niente di buono riguardo alla già temuta imprevedibilità decisionale del tycoon.

E un'impressione che lascia poco spazio all'ottimismo sui futuri rapporti con Washington l'ha data anche l'insistenza quasi feroce con cui il senatore della Florida Marco Rubio, repubblicano, ha interrogato il candidato segretario di Stato Rex Tillerson sui presunti crimini di guerra russi in Siria e più in generale sulla politica estera di Mosca.

L'establishment repubblicano non cederà sulla politica internazionale, è il messaggio recepito in Russia. Intanto, Trump ha dovuto cedere riconoscendo che l'hackeraggio elettorale russo c'è stato. Il suo peggior nemico all'interno del partito, quel senatore John McCain che ha consegnato al capo del Fbi il dossier sul Ritz e il resto, ha riconosciuto che gli hacker del Cremlino e la simpatia per Putin non delegittimano il presidente-eletto. Ma il conflitto interno resta, e le conseguenze sono difficili da prevedere. "Non è chiaro come conciliare una cosa con l'altra, gonfiare la portata e l'efficacia dell'ingerenza spionistica russa porta inevitabilmente a chiedersi se Trump sia un vero re", scrive uno dei massimi esperti russi di politica internazionale, Fyodor Lukyanov.

L'uscita delle indiscrezioni da tempo in fuga sul dossier, le azioni e le parole degli americani in questi ultimi giorni della presidenza Obama vengono lette come un segnale di nervosismo che ha radici profonde, sotto l'innegabile desiderio dei democratici di mettere Trump e la Russia di fronte a fatti compiuti che possano evitare una virata della politica estera Usa.

SINDROME DA PERDUTA ONNIPOTENZA?

"Sia i perdenti che i vincitori delle presidenziali statunitensi hanno raccontato agli elettori che l'America deve difendersi da forze esterne ostili", nota il politologo Alexander Baunov del think tank moscovita Carnegie. Si accusa la Russia, già demonizzata dalla Clinton, di attacchi informatici per influenzare le elezioni, e dall'altra parte la retorica di Trump è contro la Cina, il Messico, l'Islam e gli immigrati. "Ma il problema non è all'esterno, è annidato nel profondo della politica americana", dice Baunov. Gli Stati Uniti, per la prima volta nei 25 anni seguiti alla vittoria nella Guerra fredda, "non sono più in grado di espandere la loro influenza" nel mondo. Gli elettori hanno tirato fuori la loro "xenofobia latente" premiando il leader populista e isolazionista. L'intellighenzia, dice l'analista della Carnegie, anestetizza la "perdita di onnipotenza" degli Usa cercando un nemico a Mosca.


"L'attuale escalation del confronto non è semplicemente un tentativo dell'establishment democratico e repubblicano di fermare Trump e difendere così il ruolo dell'America nel mondo, evitando la revisione del risultato della Guerra fredda", spiega Lukianov. Secondo cui "Trump non è la causa", ma l'effetto di "una crisi ideologica" e "di un conflitto grave all'interno del sistema politico statunitense".


Non resta che constatare come la recente iperattività quasi bipartisan di Washington riguardo alla Russia conferma come il Cremlino stia un certo senso dominando la politica americana. E non solo con gli attacchi informatici, ma come nemesi dell'unilateralismo interventista Usa, scontratosi con realtà internazionali e interne mutate, e poi sconfitto dagli stessi elettori americani. "Al di sopra della propria testa non si può saltare", spiega Baunov citando un proverbio russo.