
Già, ma in ogni caso queste elezioni non sono state una vera débâcle per il Presidente…
«Il voto ha detto che l’era dell’interruzione di ogni comunicazione razionale nella politica americana e del corto circuito nel sistema della Costituzione americana sono finiti. Da oggi infatti, e contro il brusco volere quasi infantile di Trump, lo spirito della Costituzione torna a soffiare perlomeno nella Camera dei deputati negli Usa. Dove, ripeto, vediamo giovani volti, specialmente di donne, salire sugli scranni dei democratici».
Il Senato è sempre saldamente in mano al Grand Old Party. L’anima americana dunque è sempre più tormentata e divisa?
«Ma è stato Trump che, negli ultimi due anni, ha tentato in tutti i modi di metter fuori gioco le migliori tradizioni costituzionali e democratiche americane, e ora ha raccolto una chiara sconfitta per questa sua politica quasi eversiva. È stato il presidente a voler spaccare in due l’anima americana, seminando ovunque dissidi nella società civile e smontando sistematicamente, sia nella Camera che al Senato, il sistema americano di check and balance. E ora è un segno di maggiore equilibrio per la politica e società americana che almeno la Camera avrà più potere di controllo sullo smodato presidente. Anche per noi in Europa d’altronde, dove si afferma sempre di più la crisi della anti-politica insieme al sovranismo trionfante, questa che ci viene dagli Usa è una buona notizia».
L’onda blu democratica, prevista da alcuni sondaggi, però non c’è stata, e il trumpismo regge ancora. Come mai?
«Perché Trump, lo si voglia o no, rappresenta quel lato tendenzialmente isolazionista sempre presente e più o meno accentuato nella politica Usa. Dopo il 1945 non era poi così scontato che gli americani restassero in Europa e si impegnassero a fondo nel Vecchio Continente con forti contingenti militari e piani finanziari. Un’idea di fondo dell’immaginario politico Usa è infatti quella di sentirsi ed essere una potenza marittima; una forza che interviene sì globalmente con i suoi marines, ma che poi si ritira sempre all’interno delle sue coste. Ecco, Trump è ermeticamente chiuso in questa tradizione politica di stampo insulare, anche se il suo protezionismo radicale è un azzardo controproducente che sta compromettendo le basi stesse dell’economia americana».
Il nuovo biennio sarà sempre più scomodo per il presidente: cosa può fare l’opposizione per bloccarlo?
«Ai deputati democratici basterà ora far leva su tutti gli strumenti offerti dalla Costituzione per frenare ad esempio e prima di tutto l’insensata guerra economica scatenata da Trump contro la Cina. La Camera si trasformerà in un sistema di freni per correggere le vane promesse e i vari errori sinora fatti da Trump, in particolare sulle questioni decisive del sistema sanitario e della politica fiscale. È su questi due temi centrali per la vita del cittadino e della democrazia americana infatti, e non sulle questioni della Nato o dell’Europa, che si sono tenute queste elezioni».
Il suo stile brutale di macho antifemminista, i suoi tweet intrisi di odio, gli attacchi alla stampa, Trump di sicuro non li cambierà dopo questo voto…
«Certo che no, la politica che sinora lui ha esercitato, spesso anche contro i vertici e i rappresentanti del suo stesso partito, corrisponde al suo modo di essere, al suo carattere impulsivo. Trump non è un uomo aperto al mondo. Nella sua miope visione il gioco della politica si riduce a un banale scontro amico/nemico. Per lui l’America è accerchiata da nemici che altro non tramano e vogliono che ingannarla. Ed è questo il segnale più incisivo uscito dalle consultazioni, e cioè che la Camera degli Adulti, come viene chiamata quella dei Rappresentanti non è più disposta a seguire queste ossessioni del presidente. Nei prossimi due anni insomma i democratici riusciranno a sedare le manie caratteriali più impulsive del presidente».
Hillary Clinton aveva preannunciato: “Today we say enough”. Gli Usa ne avevano davvero abbastanza di Trump?
«Diciamo le cose come stanno: che l’America sia ancora oggi divisa in due vuol dire che Trump non ha appunto né un’enorme maggioranza né un granitico consenso dietro di sé. Già contro Hillary Clinton aveva vinto due anni fa non in modo eclatante. Dopo queste elezioni nel prossimo biennio le nuove forze dei democratici non riusciranno magari a bloccarlo del tutto, ma da qui al 2020 Trump dovrà fare spesso i suo conti con la Camera dei deputati. Un presidente frenato appunto».
Insomma, una specie di Gulliver alle prese con i nuovi volti emergenti della sinistra americana...
«Non esageriamo le sue forze e le sue capacità, Trump sicuramente non è né resterà nella nostra memoria come un gigante della politica americana».
Fino ad oggi il suo rapporto con l’Ue non è stato positivo. Dopo queste elezioni il protezionismo di Trump si inasprirà ulteriormente?
«Sia con le istituzioni e i politici europei che con la Cina Trump non è riuscito a stabilire relazioni positive o non conflittuali. Unica eccezione nel suo quadrante globale negativo resta la Russia di Putin, un altro mistero che forse si può spiegare solo con il suo carattere e quelle sue ossessioni da macho al di là d’ogni regola e costume democratico. Ma sono convinto che d’ora in avanti anche un Trump dovrà rivedere il suo protezionismo e smetterla con i suoi continui attacchi alle istituzioni della Ue. Dopo questo chiaro segnale elettorale persino un impulsivo come lui dovrà cercare di comprendere perché i democratici hanno riacquistato più seggi alla Camera. E come mai abbia perso queste elezioni a metà mandato».
Nonostante l’incrementata forza raggiunta al Senato, vedremo quindi un Trump più debole nei prossimi due anni?
«Certo, persino Donald Trump dovrà cambiare atteggiamento vedendosi una Camera e un partito democratico usciti così rinvigoriti da questo voto. Non dimentichiamoci poi che, tranne pochi casi, questo presidente è riuscito ad unire la stragrande maggioranza dei media, e non solo quotidiani come il New York Times, contro la sua politica conflittuale. Certo, Trump può anche decidere di infischiarsene della nuova situazione ed insistere più che mai sul suo corso protezionista contro Europa e Cina. Ma in questo caso si scontrerà contro il muro sempre più alto e resistente dell’opinione pubblica americana».
Per tutti i sovranisti qui in Europa, da Matteo Salvini a Marine Le Pen a Orban, cosa significano le elezioni negli Usa?
«Per tutti i nostri populisti qui in Europa queste elezioni americani sono una notevole lezione politica che non può lasciarli indifferenti, ma che i sovranisti dovranno studiarsi ed analizzare sino in fondo».
Quale sarebbe per i sovranisti di mezza Europa la lezione americana?
«Correggete il vostro corso estremista e non seminate ulteriori dissidi e paure nella società. La saggia lezione che ci viene oggi dall’America è la stessa che il cancelliere Helmut Kohl ripeteva sempre: le elezioni si vincono al centro della società. È nel centro che devi riuscire a fondare il tuo messaggio politico se vuoi unire la società e spuntarne il consenso. E questa è una lezione che non solo Trump sembra aver dimenticato, ma tutti quei sovranisti che - da voi in Italia come in Francia - puntano a polarizzare le società, ad alimentarne le paure ai margini, rischiando poi di perdere come ora Trump il consenso al centro».