Reportage dalla rotta dei disperati. Sui monti dove affiorano i corpi di chi non ce l’ha fatta, braccati dalle polizie dei due paesi dove per sfuggire ai controlli  si marcia spesso di notte e al buio, accanto ai  burroni

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Vincent è un pizzaiolo di Les Vigneaux, un piccolo comune montano sul versante francese delle Alpi. Si presenta all’appuntamento con una felpa grigia con la scritta sul petto, a caratteri cubitali, “Italia”. Per le strade è ancora pieno di bandiere tricolori e di ragazzi alticci non ancora tornati a casa dopo i festeggiamenti. Il giorno prima la Francia ha vinto il mondiale.

Vincent racconta: «Faccio le pizze, sono un montanaro e un uomo cresciuto in territorio di frontiera. Ho l’Italia a un passo e Parigi a centinaia di chilometri». Questo è stato un inverno duro, Vincent dice di aver aiutato i migranti che volevano attraversare il confine italo-francese: «Semplicemente per paura che le mie montagne diventassero un cimitero». Aggiunge: «Qui sulle Alpi non si da molto peso alla politica. Noi, che ci siamo mobilitati durante l’inverno, siamo persone semplici. Nessuna esperienza di volontariato o di militanza politica alle spalle». In montagna, come nel mare, la solidarietà è il primo dovere: «Il governo vuole criminalizzare chi aiuta, ma per un montanaro la sola idea di lasciar morire qualcuno di freddo è impensabile. I rifugi che ci sono qui, sono come le scialuppe nel mare». Da queste parti, sui sentieri, la polizia francese non cerca solo i migranti, ma anche chi li aiuta: «Il motto della Francia è Liberté, Égalité, Fraternité, quest’inverno ho visto con i miei occhi che quel motto non significa nulla. Molti di noi sono stati schedati. Ho un amico che è stato trovato nella sua auto insieme a una migrante sul punto di partorire, è stato messo in custodia dalla polizia e presto andrà a processo. Andrà a processo per il semplice fatto di aver aiutato un altro essere umano a sopravvivere. Se non ci fossimo stati noi, il numero dei morti venuti fuori con lo scioglimento della neve sarebbe stato 10, 20 o 30 volte superiore».
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Si scioglie la neve e affiorano i corpi
In primavera si scioglie la neve e affiorano i corpi. Sono i migranti che hanno provato ad attraversare il confine durante l’inverno. Se nella valle, a Bardonecchia, si è registrata una temperatura di venti gradi sotto lo zero e fino a tre metri di neve, sui sentieri di montagna, percorsi da chi deve nascondersi per raggiungere la Francia, i pericoli mortali sono aumentati.

Il 26 gennaio smettono le trasmissioni dal telefono di Mohamed Fofana, l’autopsia conferma che quella è la data della morte e ne accerta la causa: ipotermia. Il 26 gennaio è anche la data sul foglio di respingimento trovato nel suo giubbotto. «Morire di freddo è una morte lenta, la data del respingimento coincide», raccontano i volontari della zona. Mohamed era già in ipotermia quando si è imbattuto nei gendarmi, nessuno lo ha aiutato.

Fofana parte dalla Guinea Conakry, paese francofono, insieme a Sylla Kerfala. I due sono insieme in Libia, durante la traversata del Mediterraneo, e poi ancora nel centro di accoglienza straordinaria di Teramo, da cui si allontanano lo stesso giorno. «I migranti si muovono a piccoli gruppi su questi sentieri», spiegano i carabinieri di Susa. Ipotizzano che Mohamed e Sylla fossero insieme anche sull’orrido del Frejus, dove è stato ritrovato il corpo da un cacciatore: «Da lì, d’inverno, non si esce vivi».

Sylla non risulta negli elenchi dei soccorsi a Bardonecchia. Non è arrivato nel rifugio oltralpe dell’associazione Tous Migrants, né da nessun’altra parte in Francia: «Le condizioni meteo di quest’inverno obbligavano a chiedere aiuto. Sylla non lo ha chiesto né ricevuto». E come lui tanti altri: «Pensiamo che il numero dei cadaveri su queste montagne sia molto alto», spiegano i militari.

La presenza della polizia e della Gendarmerie, che ha cominciato a presidiare i sentieri che costeggiano la montagna, ha fatto sì che i migranti provassero vie sempre più ripide: «I cadaveri sono stati trovati su piste che non pensavamo fossero percorse». Terreni impervi, come spiega il Soccorso alpino di Bardonecchia: «Qui è tutto pericoloso, se non sai dove mettere i piedi. Quest’inverno il Colle della Sala era chiuso alle macchine e non si poteva percorrere alcun sentiero, neppure quelli bassi e vicini alle valli, figuriamoci gli altri». Uno dei motivi di preoccupazione sono proprio i fuoripista, dove il rischio valanghe, quello di cadere o di perdersi e morire per ipotermia, è più alto.
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«Da queste parti - racconta un cacciatore di Susa - è pieno di lupi. E se un lupo cattura un cerbiatto, o azzanna un corpo, la mattina dopo ci trovi lo scheletro e giusto due uccelli che puliscono. Di quello (Mohamed), s’è trovato il corpo tutto intero per puro caso, perché si era appena scongelato».

La montagna uccide anche d’estate
È il 9 maggio e nel paesino di La Vachette, sul versante francese, si verifica un problema alla diga. Basteranno poche ore per scoprire che a ostruirne i filtri è il cadavere di una ragazza nigeriana di 21 anni, Blessing Matthew. Blessing aveva iniziato la traversata dall’Italia il 6 maggio, raggiungendo i boschi vicino a La Vachette all’alba del giorno successivo. La polizia francese sa che i migranti preferiscono muoversi di notte, quando è più difficile vederli, e li attende all’arrivo. Blessing e i suoi compagni vengono sorpresi alle cinque di mattina. Alcuni riescono a fuggire subito, altri si nascondono tra gli alberi nel buio. Lei, che aveva sofferto di crampi ai polpacci durante il tragitto, resta indietro. A proposito di quella notte, gli abitanti racconteranno di aver sentito un “finimondo”, mentre i compagni di viaggio della ragazza consegneranno la loro ricostruzione dei fatti all’avvocato di Tous Migrants e a quello di Christina, sorella della vittima, migrante regolare che vive a Bari. «La caccia dei poliziotti è durata parecchio, avevano torcia e pistola alla mano», raccontano. «L’abbiamo cercata dopo che la polizia era andata via, ma nulla». Durante l’inseguimento, Blessing era caduta nel fiume Durance, ed era affogata.

In assenza di neve, i sentieri di montagna restano pericolosi. I migranti li percorrono la notte, quando è più facile perdersi o cadere. Tra loro, quelli più organizzati sanno che valicare il confine non è sufficiente. L’autorità francese può respingere in Italia non solo alla frontiera, ma fino a 50 chilometri di distanza. Per questo restano sulle montagne d’oltralpe anche per giorni, cercando di superare questa ulteriore linea invisibile. Camminano sui sentieri a lungo, mal equipaggiati e senza scorte sufficienti. Alcune volte così a lungo da costringere il Soccorso alpino a intervenire per un caso di ipotermia anche in piena estate. È successo il 14 luglio, mentre a valle, nelle piazze, si festeggiava con i fuochi d’artificio la Rivoluzione.
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Sempre nel mese di maggio, al rifugio di Tous Migrants arriva un altro ragazzo, Ibrahim, che le autorità francesi riconosceranno come minore non accompagnato. Ibrahim è sconvolto. Secondo il medico volontario Max Duez, non mangia da molto tempo. Ha appena visto il suo compagno di viaggio, Mamadou Alpha, cadere da una roccia. Erano partiti insieme, dallo stesso villaggio. Come Mohamed e Sylla avevano attraverso, senza mai separarsi, la Libia e l’Italia. Quella notte sono stremati, si perdono sulle montagne e vagano a vuoto per tre giorni. Mamadou cade in un burrone, Ibrahim lo chiama, non ha risposta. Agnès Antoine, anche lei volontaria di Tous migrants, sostiene che le autorità francesi, nonostante abbiano a disposizione la testimonianza del minore fin da fine maggio, non abbiano mai iniziato a cercare il corpo dell’amico.

Negli stessi giorni Christina, sorella di Blessing, parte da Bari per andare a riconoscere il corpo in Francia. Anche lei viene fermata alla dogana, nonostante i documenti in regola. Non le viene permesso di superare il confine per vedere Blessing, può solo consegnare un campione del suo Dna nel commissariato della dogana: «Verificheremo se è compatibile con quello della ragazza trovata morta». A Christina sarà poi concesso di entrare in Francia per partecipare ai funerali di sua sorella. «Se la solidarietà in Francia è un reato, noi continueremo a commetterlo», dirà il vescovo di Briançon durante la cerimonia.

“Reato di solidarietà”
Nelle piccole dogane in legno che erano state abbandonate nel 1995, da poco più di due anni si sono reinsediati i poliziotti francesi. Per permettere alla Francia la sospensione di Schengen, uno degli accordi fondanti dell’Unione, è stato necessario il consenso italiano. Concesso in cambio dell’immediata riforma di un altro trattato, quello di Dublino sulla spartizione dei richiedenti asilo. Una riforma poi rimasta in sospeso, fino ad essere definitivamente messa nel cassetto dopo l’ultimo consiglio europeo, il primo del governo Conte.
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La fine dell’accordo che garantiva la libera circolazione delle persone non è l’unica cattiva notizia per chi vede l’Italia come terra di passaggio, e la Francia - repubblica più antica, che parla la loro stessa lingua e si presenta come ricca e multietnica - come una terra promessa.

La notizia peggiore è stata l’introduzione del “reato di solidarietà”, in vigore durante tutto l’inverno. Prevedeva fino a 5 anni di carcere e 30 mila euro di multa per chi avesse aiutato«direttamente o indirettamente uno straniero irregolare a entrare, circolare o soggiornare in Francia». Prescindendo dall’esistenza di una contropartita, eliminando ogni distinzione tra aiuto umanitario e passeur che sfruttano i migranti. «I passeur ci abbordano a Porta Nuova, a Torino», racconta un ragazzo fermo alla stazione di Oulx, Italia. Da Torino offrono un passaggio fino alla Francia. Il costo del viaggio varia dai 150 ai 300 euro: «Ma sempre più spesso ti lasciano su qualche strada di montagna italiana, dicendoti che sei in Francia. Quando te ne rendi conto, scopri che lo stesso viaggio costava sette euro su un treno regionale». Evitando di avvicinarsi al confine, i passeur non rischiano il carcere o le multe. Che rischiano, invece, i volontari che portano un paio di scarponcini Decathlon a un migrante in ciabatte nella neve. Che rischia Max Duez, un chirurgo in pensione che si è offerto di curare i ragazzi stremati dalla traversata. II 5 luglio il Parlamento europeo ha chiesto l’eliminazione del reato di solidarietà in tutti gli stati dell’Unione. Il giorno successivo è arrivata la sentenza del Consiglio costituzionale francese: «Una persona è libera di aiutare gli altri, per scopo umanitario, indipendentemente dalla regolarità del loro soggiorno sul territorio nazionale. In nome del principio costituzionale di fraternité».
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Eppure Michel, coordinatore di Tous Migrants, rischia ancora. Perché la solidarietà non è più reato solo se fatta “individualmente” e “puntualmente”.

Michel ha dovuto coordinarsi con altri, tra cui Vincent e il medico in pensione Duez, per fare in modo che il suo aiuto portasse a risultati concreti. Il 17 luglio è sotto la Gendarmerie di Briançon. Dentro ci sono quattro ragazzi, tutti fermati con l’accusa di favorire l’immigrazione irregolare. «Oggi ci sono dentro loro - racconta - ma domani potrei esserci io». Andranno a processo a novembre, insieme ad altre tre persone fermate in aprile. Tra loro anche l’attivista italiana Eleonora Laterza, che dopo essere stata arrestata in territorio francese, è stata detenuta in custodia cautelare nel carcere di Marsiglia. Oggi è di nuovo libera e attende il processo, il pm chiederà per tutti l’aggravante di “banda organizzata”. Anche loro, come Michel, Vincet, e Max, hanno agito insieme.

Le partenze dall’Italia
Dall’inizio della primavera i tentativi di sconfinamento non sono diminuiti, ma aumentati. La traversata non parte più da Bardonecchia, troppo conosciuta e presidiata dopo i fatti di questo inverno. Militarizzata dopo il commissariamento per mafia, la questione Tav e la questione migranti. Oggi conta una presenza contemporanea di carabinieri, Guardia di Finanza e polizia sconosciuta alla gran parte dei comuni montani di tremila abitanti.
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La principale stazione di arrivo è diventata quella di Oulx (secondo Mussolini e secondo la metà dei suoi residenti “Ulzio”), un altro comune italiano in terra di confine, poco più a sud di Bardonecchia. Da lì si prende la navetta per Claviere, un paese piccolo, molto ricco, che d’estate vive grazie ai campi da golf, d’inverno alle piste da sci. È l’ultimo paese italiano prima del confine. Da qui inizia la traversata delle montagne a piedi.

Francia campione del mondo
«Questa domenica abbiamo registrato un picco nelle partenze, circa 80», spiegano i Carabinieri di Susa all’indomani della finale dei mondiali. «Questo è il giorno buono, speriamo di avere fortuna» dicevano, durante il weekend, alcuni migranti sui sentieri che oltrepassano il confine.

A 200 chilometri di distanza, in quel momento, da uno stabilimento balneare del centro di Ventimiglia scompare un pedalò. Riappare il lunedì sulla spiaggia di Cap Martin, mentre nel traffico si sentono ancora i rumori dei clacson, e il tricolore resta incastrato tra il finestrino posteriore e la portiera. Il nome sulla fiancata del pedalò è quello dello stabilimento ligure. Non è danneggiato, quindi non può essere arrivato lì da solo, trasportato dalle onde. È probabile che alcuni migranti non si siano lasciati sfuggire l’occasione di una Francia momentaneamente distratta per passare il confine.

Loro via mare, molti altri per i sentieri di montagna. «Figurati se i poliziotti, stasera, si perdono la Francia che vince la coppa del mondo», dice Abu, mentre cammina in salita nei boschi che costeggiano il campo da golf di Claviere. «In Francia ci sono stati gli attacchi terroristici, stasera, con la gente in strada e nelle piazze, la polizia avrà altro da fare che cercarci nei boschi», racconta Ibrahim, un ragazzo del Mali, mentre si arrampica sul Colle della Scala.