Oriol Junqueras: «La mia Catalogna sarà libera»

«Il nostro cammino è irreversibile. E riguarda tutta Europa, minacciata dalle destre sovraniste». Una filosofa incontra il leader indipendentista in carcere da tre anni. Che dice: «Vi mentono quando vi dicono che siamo come Salvini e la Lega. È il contrario: siamo di sinistra e anti autoritari» (Foto di Marc Puig Pérez)

di Donatela Di Cesare - foto di Marc Puig Pérez   16 ottobre 2020

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Oriol Junqueras, 51 anni, presidente del partito Esquerra Republicana de Catalunya, già vicepresidente della Generalitat de Catalunya, è in prigione dal 2 novembre 2017 con una condanna a 13 anni per aver contribuito a proclamare il referendum sull’indipendenza della Catalogna. Ed è da lì, nel carcere di Lledoners, un’ora di auto da Barcellona, che ha concesso questa intervista esclusiva all’Espresso.

Signor Junqueras, vorrei cominciare dalla prigione in cui lei è recluso ormai da anni. Di recente le sono stati negati persino alcuni normali permessi. Lei è insomma un prigioniero politico condannato al carcere duro, uno dei sette del “procés”, quelli che in catalano vengono chiamati ovunque i “presos políticos”. Come sta vivendo questa privazione completa di libertà?
«Può forse immaginare che cosa significhi subire il carcere duro, essere privati della libertà, della possibilità di incontrare altre persone. Mi mancano soprattutto i miei figli, che posso vedere 40 minuti a settimana, solo attraverso un vetro. Questa è la risposta vendicativa dello Stato spagnolo a quei politici rei di aver commesso un unico delitto: permettere democraticamente un referendum».

Nell’opinione pubblica italiana è rimasto indelebile il ricordo dei giorni del referendum in Catalogna: quelle scene inammissibili in un paese democratico europeo, quando la Guardia civil ha cercato di fermare con la violenza le cittadine e i cittadini che andavano a votare. Poi è arrivata la proclamazione della Repubblica catalana il 27 ottobre 2017 - durata poche settimane. Madrid ha quindi sciolto il parlamento catalano; alcuni membri del governo della Generalitat sono andati in esilio, altri come lei, sono stati arrestati. Infine, si è svolto il processo ed è arrivata la durissima condanna per “sedizione”...
«Mi fa piacere sapere che quegli avvenimenti restino indelebili nell’opinione pubblica italiana. Per me è importante. Soprattutto per l’amore che ho per l’Italia, un paese a cui sono profondamente legato. Ho studiato alla scuola italiana di Barcellona! Tornando al referendum, la cui legittimità è stato tanto dibattuta, per noi si è trattato di una scelta democratica. È impossibile dimenticare l’entusiasmo, la mobilitazione e il coinvolgimento della gente. Tutti i cittadini catalani - la minoranza che ha votato contro, come la maggioranza che ha votato a favore - si sono comportati pacificamente. Purtroppo, però, sono arrivate le manganellate dello Stato, e poi la repressione, la prigione, l’esilio. Quel giorno ha segnato comunque una grande vittoria della democrazia. E oggi pensiamo che il cammino dell’indipendenza è certo più lungo e difficile di quel che pensavamo, ma è irreversibile».

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Dopo la prima ondata emotiva, la stampa e i media italiani non sono stati vicini alla causa catalana. E hanno dato spazio quasi esclusivamente a voci anti-indipendentiste. Si è affermata la narrazione del “tradimento” verso il governo centrale, si è lasciato trapelare lo spettro delle piccole patrie, si è avallato un singolare cortocircuito che ha avvicinato gli indipendentisti ai leghisti. Ma lei guida il partito di maggioranza Esquerra Republicana, cioè Sinistra Repubblicana di Catalogna. Non ci sono dubbi sulla parte in cui voi siete schierati - semmai avete contro una destra aggressiva come quella di Vox.
«Sa che Vox aveva chiesto 74 anni di prigione per me? Siamo un partito di sinistra e un movimento caratterizzato dalla lotta antifascista - oggi e in tutta la nostra storia. Lottiamo per la democrazia, contro qualsiasi tipo di fascismo e di populismo. I democratici europei devono sapere che i nemici degli indipendentisti, cioè l’estrema destra rappresentata da Vox, sono anche i nemici dell’Europa. E sono Salvini, Orbán, Le Pen e Abascal, il leader di Vox. Difendere la democrazia in Catalogna significa difendere l’Europa e la sua sopravvivenza. Non sprechiamo questa opportunità».

Ma in che modo lei vede nella lotta per l’indipendenza una chance per minare l’egemonia delle forze conservatrici? La concepisce anche come uno scontro tra una monarchia nazionalista e una repubblica democratica?
«Noi crediamo che l’indipendenza sia l’unico modo per costruire un paese migliore, più giusto, più libero. E repubblicano. Mi piace guardare all’indipendentismo come un movimento che cerca di sommare e di includere, senza distinzioni di origine, di etnia, di lingua. Credo che anche per questo si sia andato affermando negli ultimi anni, in particolare fra le nuove generazioni. Buona parte dell’area socialista è ora indipendentista e sostiene Esquerra Republicana. Ha certo influito l’immobilismo dello Stato spagnolo che, se per un verso ha avuto mano pesante con i propri cittadini, per l’altro si è mostrato permissivo con la monarchia corrotta».

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Oriol Junqueras: "My Catalonia will be free"
16/10/2020
A proposito di monarchia, anche al netto degli ultimi scandali, com’è possibile, dopo tutto quel che è avvenuto, accettare ancora una monarchia borbonica di derivazione franchista?

«È davvero paradossale! Non c’è dubbio che sia una monarchia corrotta e per di più, come lei dice, di derivazione franchista. Ciò dimostra quanto retrograde siano le politiche dello Stato spagnolo che, alla fin fine, non è riformabile. Non stupisce che ci lascino in carcere. A dominare lo Stato è una élite erede del franchismo che impedirà sempre qualsiasi cambiamento. Anche per questo siamo indipendentisti e repubblicani. Molti cittadini hanno smesso di credere e di fidarsi dello Stato e vedono nell’indipendenza anche una possibilità per costruire un paese libero dalla corruzione e dal clientelismo».

Non basta togliere i resti del Caudillo dalla Valle de los caídos, se poi il suo fantasma ispira un nazionalismo aggressivo, come quello che portò al golpe del 1936 e all’odio contro baschi e catalani. Non sono servite due dittature per imporre un’unica nazione. È difficile capire perché lo Stato spagnolo non si riconosca plurinazionale…
«Togliere il dittatore dalla Valle era necessario - anche se dopo molti anni! Più importante sarebbe, però, eliminare il franchismo dalle istituzioni, dal modo di agire di questo Stato. E riscattare così la memoria di coloro che furono assassinati da una dittatura criminale. Lo Stato ha cercato di voltare pagina come se niente fosse, mentre c’è ancora chi non sa neppure dove siano finiti i propri cari. La strada è ancora molto lunga».
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Credo che l’Europa non sia rimasta a guardare, ma abbia scelto di difendere lo Stato-nazione. Ma era nata per superare gli Stati in una forma politica postnazionale e sovranazionale. È questo, in fondo, il dilemma contenuto nella questione catalana.
«L’Europa è un club di Stati che si proteggono tra loro. Sapevamo che si sarebbero comportati così; e tuttavia è un peccato. Noi siamo europeisti, ma allo stesso tempo vorremmo un’Europa più sociale, più giusta, democratica e di sinistra. Penso che non meritavamo il carcere! Questa detenzione arbitraria (come ha ricordato di recente anche l’Onu) è una grande vergogna per lo Stato spagnolo».

Come vede oggi la situazione, che sembra quella di un difficile stallo? Ha ancora fiducia nel dialogo? Soprattutto ha ancora una speranza? Quali sono le prospettive?
«Crediamo nel dialogo. Io ci ho sempre creduto - ora più che mai. Anche alla violenza dei manganelli o dei tribunali è giusto rispondere con più democrazia e più dialogo. Non ha senso lo scontro sterile. La pazienza, però, non è infinita. Di recente il Tribunale Supremo ha confermato la sentenza che interdice per 18 mesi Quim Torra dalla sua carica di Presidente della Generalitat. Il suo reato sarebbe quello di non aver rimosso gli striscioni che per le strade e nelle piazze chiedevano la libertà per i prigionieri politici. Questo vorrà dire, fra l’altro, che ci saranno nuove elezioni in Catalogna a febbraio. Resta una tensione molto forte. Lo Stato spagnolo continua sulla via giudiziaria anziché affrontare politicamente la questione. È un grave errore».

Lei ha scritto per i suoi figli un libro di favole, che peraltro ha avuto molto successo ed è stato tradotto in diverse lingue. Perché questa scelta? Sta scrivendo ancora?
«Quel libro è stato un modo di rimanere in contatto con loro. Prima di entrare in prigione raccontavo ai miei figli storie, favole, curiosità. Ho voluto scriverle perché le ascoltassero dalla voce della madre. Quel che mi pesa di più in prigione è la separazione dai miei figli; sono loro le vere vittime di tutto questo. Quasi ogni giorno mi dedico alla scrittura. Recentemente ho pubblicato un libro con Marta Rovira in cui delineiamo il progetto di Esquerra Republicana per i prossimi anni».
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