I fascisti pro-Trump pronti a scendere in piazza armati
I Proud Boys, dell'estrema destra americana, sono in crescita nel Paese. Vedono nella superiorità della razza bianca un mantra e nel superamento delle forze federali un obiettivo. E non è mai stato così alto il rischio di attacchi nei seggi e nei giorni subito dopo le elezioni
Quando William Luther Pierce, scrittore suprematista bianco di Atlanta, terminò nel 1978 il suo romanzo “The Turner Diaries”, il mondo distopico raccontato in quelle pagine sembrava destinato a rimanere finzione. Quarant’anni dopo però il libro, che racconta della rivoluzione da parte di un gruppo di nazionalisti antisemiti contro il governo federale americano e dello sterminio delle «razze non ariane», è ancora la Bibbia di diversi gruppi di estrema destra negli Stati Uniti. E una parte dei messaggi presenti in quelle pagine sta influenzando la mente di chi, la notte del 3 novembre, potrebbe non accettare il risultato delle elezioni qualora Donald Trump dovesse perderle.
National Alliance, National Movement, Michigan Liberty Militia. E poi ancora: Creativity Alliance, Aryan Nations e White America. Senza dimenticarsi dello storico Ku Klux Klan e soprattutto del movimento sotto i riflettori oggi, i Proud Boys. I gruppi di estrema destra americana sono diversi, frammentati, in crescita nel Paese. Vedono nella superiorità della razza bianca un mantra e nel superamento delle forze federali un obiettivo. Possono essere milizie paramilitari, fondazioni o movimenti. «In particolare i Proud Boys sono galvanizzati dalla recente menzione pubblica del presidente Trump e stanno mostrando una grande volontà di affermarsi come gruppo leader», spiega all’Espresso Tenold Vegas, ricercatore del Center on Extremism dell’Anti-Defamation League, un’organizzazione no-profit che studia le violenze della destra negli Stati Uniti. Vegas si riferisce a quando, nel corso del primo dibattito contro Joe Biden a Cleveland, Trump chiamò in causa i Proud Boys: «Stand back, stand by», disse loro. Tradotto: «Fate un passo indietro, state in attesa», senza precisare però in attesa di che cosa. Secondo i numeri condivisi da Vegas, le persone appartenenti a gruppi come questo sono qualche migliaio in tutto il Paese. Una minoranza nella minoranza, insomma, ma in espansione. Chattano e si organizzano su Telegram. In centinaia si riuniscono a cadenza settimanale. Strizzano l’occhio alle teorie complottiste di QAnon. Organizzano marce. E soprattutto sono armati fino ai denti.
«Per capire l’universo dell’estremismo di destra bisogna fare un distinguo tra due macro-categorie: i nazionalisti che operano sulla base di ragioni razziali e i gruppi che rifiutano gli apparati governativi federali nel loro complesso», spiega il professor Lawrence Rosenthal, a capo del Berkeley Center for Right-Wing, in California. «Dall’inizio dell’era Trump ci sono stati diversi tentativi di queste due correnti di compattarsi». Il principale è avvenuto a Charlottesville, in Virginia, con l’evento Unite the Right dell’agosto 2017, quando il suprematista bianco James Alex Fields Jr. investì con la sua macchina un gruppo di contro-manifestanti, uccidendone uno. La riunificazione delle correnti non riuscì.
Tre anni dopo, le proteste contro il lockdown durante la pandemia e le iniziative in risposta alle marce Black Lives Matter dopo la morte di George Floyd hanno riacceso però il morale delle due correnti e regalato una seconda chance per ritrovarsi. «La possibilità che gruppi di persone si presentino per le strade o nei seggi, armate, dubitando del risultato delle elezioni non è mai stata così alta da decenni», continua Rosenthal. In particolare, secondo gli osservatori, il rischio è che membri estremisti si possano infiltrare nell’iniziativa dell’organizzazione Army for Trump, grazie alla quale almeno 50 mila volontari, supporter del presidente, si presenteranno ai seggi ufficialmente per verificare che non ci verifichino brogli.«Il suprematista bianco Richard Spencer teorizza che la partita in America si giocherà tra estrema destra e estrema sinistra, con il centro che andrà svanendo e la destra patriottica che salverà il Paese dal socialismo», spiega Rosenthal. «Se ci si ferma un attimo, questo pensiero è diventato il messaggio-chiave della campagna elettorale di Trump».
A settembre il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha evidenziato al Congresso come sia proprio il suprematismo bianco la frangia più pericolosa del terrorismo interno negli Usa. Solo nell’ultimo anno, sono state almeno 120 le persone arrestate. Tra queste, i tredici uomini che stavano pianificando un colpo di stato nel Michigan e il rapimento della governatrice Dem Gretchen Whitmen, appartenenti probabilmente al gruppo paramilitare dei Wolverine Watchmen, legata alla Michigan Liberty Militia. Una milizia che ad aprile si presentò armi in braccio davanti all’ufficio della governatrice, per protestare contro la chiusura dell’economia durante il primo picco di contagi da coronavirus. Erano le ore in cui Trump aveva dato carta bianca ai singoli Stati di gestire autonomamente le riaperture degli esercizi commerciali dopo il lockdown, salvo poi twittare in maiuscolo “Liberate il Michigan!” e sostenere la protesta. «Non c’è un collegamento diretto tra il presidente e questi gruppi», precisa all’Espresso David Schanzer, direttore del Triangle Center on Terrorism and Homeland Security di Duke University. «Trump è soprattutto ossessionato dalla sua popolarità, quindi supporta qualsiasi movimento che sostiene le sue posizioni, sia estremista o meno». L’assenza di una condanna nei loro confronti, però, viene interpretata da diverse organizzazioni come un lasciapassare per agire a mano libera. E a subirne l’influenza sono anche giovani come Kyle Rittenhouse, 17 anni, che a Kenosha in Wisconsin ha partecipato a una contro-protesta Black Lives Matter e, fucile in spalla, ha ucciso due manifestanti.
Il timore è che gli eventi in Michigan e Wisconsin possano essere solo un assaggio di una situazione più grande. «Non mi aspetto un’insurrezione su larga scala però perché questi gruppi non sembrano capaci di innescare una mobilitazione di massa», prosegue Schanzer. Se la partita elettorale dovesse rimanere incerta e lo spoglio dei voti dovesse subire delle difficoltà, però, «potremmo comunque vivere un periodo di instabilità che non ha precedenti negli Stati Uniti dalla guerra civile a oggi». Specialmente se il presidente dovesse continuare a non impegnarsi a una transizione pacifica dei poteri in caso di sconfitta. «Il paradosso per la sinistra in America è che a garantire stabilità democratica la notte delle elezioni potrebbero essere gli ufficiali dell’Esercito, visti spesso in passato come nemici della democrazia», conclude Lawrence Rosenthal. Nel romanzo “The Turner Diaries” i militari venivano considerati dall’autore alleati dei bianchi nazionalisti rivoluzionari. «Nel mondo reale, invece, non è così», dice Schanzer. E la notte del voto sarà un test di tenuta istituzionale senza precedenti per il Paese: «Dovremo essere bravi a gestirlo».