Silenzioso, grigio, semi nascosto per mesi. Ha lasciato che Trump si distruggesse da solo con i suoi tweet. E l'America lo vede come un rassicurante patriarca

GettyImages-1229265068-jpg
«Will you shut up, man?». Quando nel primo dibattito televisivo Joe Biden ha invitato Donald Trump a stare zitto, dopo che il presidente Usa si era preso il palcoscenico con attacchi e insulti mai sentiti nei duelli presidenziali tv, qualche opinionista ha scritto che il candidato democratico non avrebbe dovuto accettare provocazioni.

The Donald lo martella ogni giorno su Twitter, lo irride col nomignolo di “Sleepy Joe”, Joe il dormiglione, lo accusa di essere una “marionetta” nelle mani della perfida Kamala Harris e dell’ala socialista del partito. Lui, otto anni alla casa Bianca come vice di Barack Obama, 36 anni negli scranni del Senato o al Congresso, un paio di volte candidato (senza successo) alla Casa Bianca, alla bella età di 78 anni sembra aver finalmente trovato la ricetta per il successo.

Diventando, complice un’America per mesi semi-paralizzata dalla paura del virus e dalle rivolte di piazza, il volto per bene, tranquillo e rassicurante da vecchio patriarca. A cui si perdonano decenni di politica politicante, qualche legge sbagliata, molte gaffe e il ruolo (non vero) da perenne secondo.

In tempi difficili come questi Joe “Sleepy” Biden, che a febbraio sembrava politicamente morto e a marzo è improvvisamente risorto, incarna l’americano medio, quello che nella vita ha dovuto combattere, che è passato indenne fra drammi personali e sconfitte politiche, riuscendo alla fine sempre a rialzarsi.

E così tra la primavera e l’estate 2020 nasce un nuovo Biden. Chiuso nel suo seminterrato, senza batter ciglio di fronte alle velenose ironie di The Donald («mi piacerebbe vederlo uscire dal sottoscala e sentirlo parlare»), Biden lascia che il tempo scorra e che il suo avversario inizi una sorta di autodistruzione: con i suoi tweet frenetici e contraddittori, gli attacchi gradassi al dottor Anthony Fauci, le minacce ai media e ai suoi (ex) collaboratori, le sfuriate allo staff della Casa Bianca.

Entrato nel tunnel della pandemia - che negli Stati Uniti ha già fatto 230 mila morti, oltre il 20 per cento del totale mondiale - Biden il moderato, il politico vecchio stile, il vecchio lupo di mare del Congresso, l’uomo dalle mille gaffe, ha subìto una metamorfosi imprevista. Ha intuito, aiutato da uno staff di prim’ordine e dalle punzecchiature della sinistra radicale, che la sfida per la Casa Bianca 2020 stava diventando la scontro epocale dell’America contemporanea. Ha capito e lo hanno aiutato a capire, che era il momento di presentarsi come una sorta di piccolo Roosevelt del nuovo secolo, pronto a fare un nuovo New Deal di fronte alla crisi con cui un virus subdolo, sconosciuto e maledetto ha messo alle corde anche la superpotenza del pianeta Terra.

Dal seminterrato nel suo Delaware - lo Stato che non gli ha dato la nascita ma che ha forgiato la sua vita personale e politica - ha seguito da vicino le gravi ricadute economiche della pandemia e l’esplodere delle proteste contro il razzismo. E ha osservato i danni di una diseguaglianza salariale e sociale che ha definitivamente allontanato “the people” (l’americano medio di ogni etnia, ceto e religione) dai disprezzati politicanti del Congresso e dagli odiati lobbisti di Washington.

È il gran finale di un impegno politico che ha attraversato mezzo secolo. Tanto è passato da quando Joseph Robinette Biden Jr. - nato al St. Mary’s Hospital di Scranton, Pennsylvania in piena guerra mondiale (20 novembre 1942), laureato in Storia e Scienze politiche alla University of Delaware, poi divenuto avvocato al Syracuse College of Law, si è insediato al Consiglio di Contea di New Castle, la piccola cittadina del Delaware dove era cresciuto. Fu in quell’ormai lontano 1970 che il brillante studente, che due anni prima aveva iniziato a lavorare nello studio legale di un noto esponente del Grand Old Party («in cuor mio pensavo di essere un vero repubblicano»), sceglie il partito cui resterà fedele tutta la vita: quello democratico.

Il seggio al New Castle County Council lo conquista presentando un programma liberal che appoggia in pieno il progetto di edilizia popolare in un “suburb”, un’area di classe media benestante. Con duemila voti strappa il quarto distretto (tradizionalmente repubblicano) al favorito candidato del Gop, primo scalino di una carriera politica che lo catapulterà due anni dopo al Congresso degli Stati Uniti.

Che un trentenne consigliere di contea potesse sfidare il già tre volte rieletto senatore repubblicano J. Caleb Boggs nessuno lo poteva lontanamente immaginare. Il giovane Biden decise di provarci. Con una campagna elettorale fatta praticamente senza un dollaro (venne gestita dalla sorella Valerie con i risparmi familiari), concentrando i suoi sforzi sul ritiro dal Vietnam, sulle prime richieste ambientaliste, sui diritti civili, sulla sanità e sui trasporti per tutti, divenne ben presto una figura popolare: e il 7 novembre 1972, per poco più di tremila voti, sconfisse a sorpresa il notabile repubblicano. Non fece però in tempo a gustarsi fino in fondo quella clamorosa vittoria. Poco più di un mese dopo (il 18 dicembre 1972) sul più giovane senatore Usa si abbatté il primo grande dramma della sua vita: in uno spaventoso incidente d’auto rimasero uccise la moglie Neilia e la figlioletta di un anno Naomi. In auto c’erano anche gli altri due bambini, il primogenito Joseph, detto “Beau” si ruppe una gamba, Robert, chiamato “Hunter” se la cavò con qualche ferita superficiale.

Il giovane Joe aveva conosciuto Neilia a bordo di una piscina alle Bahamas ai tempi dell’università e se ne era innamorato a prima vista («quando si voltò verso di me, vidi che aveva un bellissimo sorriso e splendidi occhi verdi», ha scritto nel suo libro di memorie “Promesse da mantenere” pubblicato poco prima di diventare vicepresidente nel 2008). Si innamorarono e lui riuscì a vincere le iniziali resistenze della famiglia di lei, più benestante, politicamente all’opposto (erano repubblicani), di fede religiosa diversa (loro presbiteriani, lui cattolico).

Quel 18 dicembre Joe Biden era nel suo ufficio a Washington. Voleva rinunciare al Senato (doveva giurare il 5 gennaio successivo), ma venne dissuaso dal leader democratico Mike Mansfield. Fece però un giuramento, a se stesso: ogni sera, in ogni giorno dell’anno sarebbe tornato a casa per stare vicino a Beau e Hunter. Fu grazie ai figli e grazie alla seconda moglie Jill - sposata nel 1977 con il pieno appoggio di Beau e Hunter - che divenne uno degli uomini politici più influenti di Washington, nel periodo del neo-liberismo democratico, a fianco di Bill Clinton e di Al Gore. Ma Biden era un neo-liberista a modo suo, se durante gli anni di Obama i sindacati lo consideravano il loro miglior alleato all’interno della Casa Bianca. Nel 2016, quando tutti davano per scontata una sua candidatura alla presidenza, arriva il secondo grande dramma familiare, la morte dell’amato figlio Beau, ucciso da un tumore. È il colpo (insieme alla candidatura di Hillary) che lo convince ad abbandonare.

Non era facile per lui, che del vituperato establishment è stato un protagonista per decenni, misurarsi con il presidente che quattro anni fa ha conquistato la Casa Bianca a colpi di antipolitica e populismo. In silenzio - non certo dormendo - ha messo a punto quel Green New Deal che prevede duemila miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico, ma anche un milione di nuovi posti di lavoro e un milione e mezzo di case a prezzi popolari. Quanto alla sinistra radicale, agli “orfani di Sanders”, Biden offre un programma più che progressista. Anche i più scettici, quelli che ancora non gli perdonano di aver votato nel 1994 la discussa legge sulla criminalità, sono adesso (magari solo in chiave anti-Trump) schierati con lui. È quello che conta, visto che come ama ripetere bisogna che «ogni singolo voto venga contato».

Anche se Biden non lo ha mai detto, vista la sua età, il suo comportamento di una vita e la scelta di affidare la candidatura alla vicepresidenza a una donna capace e risoluta come Kamala Harris, tutti pensano che il vice di Obama non correrà per un eventuale secondo mandato nel 2024. Una scelta che non lo limiterà, ma che gli darà più energia da spendere, raccontano gli amici che lo conoscono meglio. Avrà solo quattro anni per affrontare le sfide immani del terzo decennio del Duemila. E Joseph Robinette Biden Jr. vorrà dimostrare, se gli elettori lo premieranno il 3 novembre, di non essere affatto “Sleepy”.