Diritti umani violati in Egitto ma Al-Sisi rimane l’amico di tutti
Ondata di arresti e accuse alle Ong. Ma il regime sa che le democrazie occidentali non faranno pressioni. Perché in ballo ci sono sempre gli investimenti da difendere
di Francesca Mannocchi
30 novembre 2020
644273814973902ee0ed65a2dab6e526-jpgAbbiamo visto Gasser portato via, fuori dalla procura, su un furgone della polizia. Ha fatto in tempo a gridare alla moglie: “Miriam, saluta i ragazzi, ti amo”».
A scrivere queste parole lo staff di Eipr, Egyptian Initiative for Personal Rights, dopo l’ondata di arresti che li ha investiti nelle ultime settimane.
L’uomo portato via dalla polizia è Gasser Abdel-Razek, direttore esecutivo dell’organizzazione che svolge attività di ricerca in difesa delle libertà civili, con cui collaborava anche Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna detenuto al Cairo da febbraio con l’accusa di propaganda sovversiva.
Le forze di sicurezza hanno arrestato prima Mohamed Basheer, direttore amministrativo di Eipr, poi è stata la volta di Karim Ennarah, direttore della giustizia penale. Abdel Razek ha subito denunciato gli arresti: «Sono la risposta all’incontro tenuto dall’organizzazione il 3 novembre con 13 diplomatici occidentali». Il giorno dopo è stato arrestato anche lui.
Accusati di appartenere a un’organizzazione terroristica e diffondere false notizie minacciando la pubblica sicurezza, si trovano ora nella prigione di Tora, dormono su letti di ferro, senza materassi né abiti invernali e vanno ad aggiungersi ad altri 60 mila detenuti politici egiziani.
Prima di essere arrestato Abdel Razek aveva dichiarato di «essere scioccato che le forze di sicurezza si sentissero minacciate da un incontro con degli ambasciatori», soprattutto perché i delegati rappresentano paesi con cui l’Egitto ha ottimi rapporti: Francia, Germania, Canada, Svizzera, Regno Unito. Dopo gli arresti il ministro degli Esteri francese ha espresso «profonda preoccupazione», così il portavoce dell’ufficio consolare britannico «i difensori dei diritti umani dovrebbero essere in grado di lavorare senza timore di rappresaglie». Anche l’Ue ha comunicato la sua «significativa preoccupazione» e così Antony Blinken, nuovo segretario di Stato americano scelto da Joe Biden.
Ma l’Egitto rilancia, confermando le accuse all’Ong. Al-Sisi dichiara che in Egitto non ci siano prigionieri politici e che la stabilità e la sicurezza vengano prima di tutto.
Il messaggio degli arresti, è tutto qui. Non solo un’intimidazione agli attivisti ma un avvertimento alle diplomazie occidentali: sedetevi a negoziare sui giacimenti e sulla vendita di armi, ma sugli affari interni non mettete bocca. Fa la parte del duro, al-Sisi, perché il tempo gli ha dimostrato che nonostante le dichiarazioni allarmate dopo ogni ondata di arresti, le diplomazie occidentali non sono state in grado di fare alcuna pressione. Lo sa bene l’Italia che aspetta la verità di Regeni e la scarcerazione di Zaki.
Il 24 novembre Matteo Renzi, premier quando Regeni è stato sequestrato e torturato al Cairo, ha tenuto un’audizione nella commissione d’inchiesta che si occupa dell’assassinio del ricercatore: «Se avessimo saputo prima, forse, avremmo potuto intervenire», ha detto.
Non si è fatta attendere la precisazione della Farnesina: «Le istituzioni governative italiane furono informate sin dalle prime ore successive alla scomparsa di Giulio, il 25 gennaio 2016».
Secondo la Farnesina il governo sapeva, così come l’ambasciata al Cairo. Renzi ha anche rivendicato la mediazione affinché al-Sisi accettasse di farsi intervistare da Repubblica «abbiamo preteso che fosse il presidente a rispondere». Delle risposte pretese siamo ancora in attesa, ma Renzi continua a difendere l’azione del suo governo.
D’altronde era stato il primo capo di governo occidentale a fare visita a Sisi nel 2014 e a definirlo nel 2016 “un grande leader”.
La strage di piazza Rabia’a c’era già stata.
Era l’estate del golpe, l’estate del 2013. Novecento persone, sostenitori del governo eletto di Morsi, furono massacrate dalle forze di sicurezza egiziane sotto il comando di al-Sisi.
La difesa dei diritti umani in Egitto si scontra, spesso, con gli investimenti da difendere.
Si scrive 60 mila detenuti politici, si legge giacimenti di petrolio.
La doppia faccia della politica estera. Diplomazie abili a condannare la repressione, ma ben più abili nel non menzionare abusi e violazioni ai tavoli delle trattative economiche con un regime sempre più autoritario. Ma tollerato.