Negli Stati Uniti delle marce antirazziste contro Trump, la sindaca di Chicago e la sindaca di Washington sono le due personalità da cui i democratici possono ripartire

Chicago Mayor Lori Lightfoot leaves the McCormick YMCA after meeting with Chicago Public Schools students affected by the first day of a teacher strike in Chicago on Thursday, Oct. 17, 2019. A walkout in the nation's third-largest school district canceled instruction across Chicago. (Joshua Lott/The New York Times)
«Si sono fatte dal nulla», questo vuole lo stereotipo. Erano povere, nere, giovani e donne, nate in comunità ancora in lotta con il razzismo. Oggi, invece, Lori Lightfoot e Muriel Bowser non soltanto si sono elevate dalle loro umili origini per diventare sindache di due città americane tra le più importanti, ma stanno anche sfidando alcune delle istituzioni più indocili del Paese: i reazionari sindacati della polizia e la presidenza autocratica di Donald J. Trump.
 
Lori Lightfoot, sindaca di Chicago che ha vinto il mandato soltanto 14 mesi fa, e Muriel Bowser, in politica a Washington da sempre e al suo secondo mandato come prima cittadina, sono soltanto due delle sette donne di colore del Partito democratico che al momento guidano una tra le cento città più popolose in America. Nel 2014, secondo Higher Heights for American PAC, un’associazione di attivisti politici che si batte per le candidate nere progressiste, negli Stati Uniti c’era una sola sindaca di colore.
 
Tutte queste donne hanno provato sulla loro pelle, fin dentro le ossa, il dolore per un omicidio di uomini e donne di colore, soprattutto Lightfoot, probabilmente, sindaca lesbica dichiarata con un fratello in carcere per un colpo legato al traffico di cocaina.
 
«Per me, donna di colore presa di mira dal razzismo più indecente per tutta la vita, è impossibile non considerare l’assassinio di George Floyd come una questione personale» ha detto Lori Lightfoot all’Associated Press. Da quando Trump ha sfruttato una visita a Chicago nello scorso ottobre per fare un discorso e istigare la polizia ad abbattere il tasso di criminalità della città, lei ha manifestato la sua contrarietà alle politiche anti-immigratorie dell’Amministrazione ed è in guerra aperta con il presidente.  
 
«Non sorprende che @realDonaldTrump abbia portato a Chicago i suoi modi ignoranti da cialtrone insolente» ha twittato dopo la partenza del presidente Trump.
 
«Per fortuna, in questa città noi conosciamo la verità e non permetteremo a nessuno – non importa quanto in alto nella catena di comando – di denigrare chi siamo come persone o il nostro status di città accogliente».
 
Parimenti, a Washington lo scontro di Muriel Bowser con Trump ha trasformato la sindaca – di norma misurata e “mite burocrate” – in una “celebrità anti-Trump”: così ha titolato il Washington Post. La sindaca di Washington e il presidente hanno mantenuto per mesi rapporti precari mentre lei andava in cerca di aiuti federali per gestire l’epidemia da Covid-19 che dilagava nella capitale e l’economia al collasso, perfino quando Trump accusava i democratici per la sua stessa impreparazione nei confronti della pandemia e minacciava di revocare i fondi di aiuto nel caso in cui «non fossero stati gentili con lui». Poi, dopo il video che mostra la morte di un uomo di colore, George Floyd, per soffocamento a causa dell’intervento della polizia di Minneapolis, ecco che sono esplose proteste di massa e, con esse, i saccheggi.
 
Quando Trump ha sminuito su Twitter il suo operato e ha minacciato di sguinzagliare “cani feroci e armi potenti” in tutta Washington, Muriel Bowser ne ha avuto abbastanza e ha risposto con un tweet in cui ha definito il presidente “niente più che un uomo impaurito, spaventato e solo” nella Casa Bianca.
 
Il suo tweet deve aver fatto centro, perché Trump ha trascorso la notte rinchiuso nel bunker sotterraneo della Casa Bianca e il giorno seguente, come è tristemente risaputo, agenti federali e poliziotti armati di gas lacrimogeni, spray urticanti, scudi e mazze, hanno costretto alcuni manifestanti pacifici e i giornalisti a evacuare Lafayette Park, proprio dirimpetto la Casa Bianca.

Muriel Bowser ha reagito nell’unico modo che le era possibile: con una sfida simbolica. A notte fonda, la sindaca – in passato attivista della comunità – ha mandato una squadra di persone in centro a dipingere la scritta “Black Lives Matter” in caratteri gialli giganteschi sul selciato della strada deserta. Sorto il sole, è poi andata di persona in centro per ribattezzare l’incrocio “Black Lives Matter Plaza”, e nel suo discorso commemorativo ha dichiarato: «Oggi diciamo no. A novembre diremo ‘avanti il prossimo’».
 
Nel frattempo, a Chicago, Lori Lightfoot ha usato espressioni ancora più forti nei confronti di Trump, dopo che il presidente ha fatto tutt’uno di manifestanti pacifici e saccheggiatori a Minneapolis chiamandoli “feccia” e sibilando in modo eloquente e minaccioso: «Quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare».
 
In una conferenza stampa, la sindaca ha detto che la sua risposta «inizia per ‘F’ e finisce per ‘you’» (in italiano “vaffa”, NdT).
 
Non lo ha detto scherzando: nel tono di voce misurato che era solita usare quando era legale di una multinazionale e poi pubblico ministero federale, ha aggiunto: «Noi sappiamo a quale gioco sta giocando. Il suo scopo è estremizzare e scatenare istinti razzisti. Non possiamo assolutamente permettergli di avere la meglio».
 
Lori Lightfoot ha “raccolto il guanto di sfida della crisi” fin dal suo insediamento dell’anno scorso, ha raccontato all’Espresso Pete Giangreco, consulente politico di lungo corso che risiede a Chicago. Per le strade si susseguivano manifestazioni violente; poi c’è stato uno sciopero di massa degli insegnanti e poi ancora molte dimostrazioni di protesta contro le politiche anti-immigratorie e i raid di Trump. Lightfoot si è trovata alle prese con un deficit di budget di 200 milioni in più rispetto a quanto previsto. Ha dovuto cacciare via per cattiva condotta il capo della polizia locale. E, nel frattempo, ha dovuto far fronte anche a continui scontri pubblici con il reazionario sindacato della polizia comandato da bianchi.  
 
«Infine» ha riassunto Giangreco, «è arrivata la crisi del coronavirus, e poi ancora le manifestazioni per George Floyd». Se si tiene conto che un recente sondaggio le attribuisce un tasso di gradimento del 75 per cento tra la popolazione, dobbiamo dedurne che Lightfoot svolge bene il suo lavoro. «Ha dimostrato di essere più che adeguata alla posizione che occupa» dice Giangreco.
 
Soltanto il tempo ci dirà se riuscirà a riformare la polizia, che ha una lunga storia alle spalle di casi di corruzione e prepotenza, e anche episodi di tortura di sospetti in un nascondiglio segreto destinato agli interrogatori.
 
«Chicago è stata soprannominata la capitale delle incarcerazioni illegittime della nazione» dice Giangreco, «e purtroppo è una nomea che si è meritata». A carico del capo del sindacato della polizia, rieletto da poco, si sono accumulati nel corso degli anni una quarantina di procedimenti legali e, come ha scoperto il Chicago Tribune, le sue sospensioni dal servizio sono state numerose.

epa08463646 Mayor of the District of Columbia Muriel Bowser responds to a question from the news media as people, who gathered in protest of the death of George Floyd, peacefully face off with law enforcement personnel near the White House in Washington, DC, USA, 03 June 2020. A bystander's video posted online on 25 May, shows George Floyd, 46, pleading with arresting officers that he couldn't breathe as one officer knelt on his neck. The unarmed black man soon became unresponsive, and was later pronounced dead. According to news reports on 29 May, Derek Chauvin, the police officer in the center of the incident has been taken into custody and charged with murder in the George Floyd killing, on 03 June the other three officers on scene were charged with aiding and abetting murder of second degree. EPA/SHAWN THEW

Lori, il papà operaio e lustrascarpe
Lori Lightfoot fa risalire il merito della sua forza in queste battaglie alla sua infanzia a Massillon, in Ohio, una città di operai dove i suoi genitori si erano trasferiti dopo aver lasciato il sud, profondamente razzista. Suo padre sognava di diventare avvocato, ma una malattia lo privò dell’udito. Si trovò così a lavorare in una fabbrica da addetto alle pulizie, e per guadagnare qualche soldo in più faceva anche il barbiere e il lustrascarpe. La persona che più di altre le ha “spianato la strada” verso il successo che ha riscosso, ha detto Lightfoot una volta, è stata però sua madre, che lavorava come assistente sanitaria di basso livello negli ospedali per le malattie mentali ma si rifiutava di vivere nel ghetto dei neri della città. Fu lei a decidere di iscrivere la sua piccolina (alta appena 1,55 m.), la minore dei suoi tre figli, alla Washington High School frequentata perlopiù da bianchi: alle superiori, Lori entrò a far parte della squadra di basket, imparò a suonare la tromba nella banda della scuola, cantò nel coro e fu eletta rappresentante di classe per tre anni di fila.
 
Da lì Lightfoot passò alla prestigiosa università del Michigan e infine alla facoltà di legge dell’università di Chicago, ancora più prestigiosa. L’anno scorso, durante un’intervista televisiva, ha detto che la miseria e la delinquenza dilaganti nell’intera zona “erano strazianti”. A differenza di Barack Obama – che una volta terminata l’Harvard Law School divenne un operatore sociale di South Side – Lori Lightfoot entrò in uno dei più influenti e illustri studi legali che rappresentava grandi aziende.  In netto contrasto con quello che alla fine sarebbe diventato il suo mandato pubblico, assunse le difese di una società finanziaria dalle accuse di discriminazione razziale, quelle di un agente di polizia fuori servizio coinvolto in una rissa in un pub e, secondo l’emittente televisiva di Chicago WTTG, lavorò per un gruppo di legislatori repubblicani che sfidavano le proposte di legge dell’Illinois”. Le sue tariffe le consentirono di far uscire dalla povertà la sua intera famiglia, ma passò sull’altro versante soltanto alcuni anni dopo e accettò un posto di pubblico ministero federale. Nel 2015, l’allora sindaco Rahm Emmanuel la nominò presidente del Civilian Police Board impartendole l’ordine di fare pulizia e gestire le ripercussioni dell’assassinio di un adolescente inerme, Laquan McDonald, commesso da un agente bianco.
 
Nel frattempo, le disuguaglianze per i neri hanno assunto per lei una piega personale: suo fratello Brian è stato condannato a 17 anni di reclusione per commercio di cocaina. «È stata dura, molto dura» dice Lightfoot, che nell’intervista rilasciata alla televisione ha trattenuto a stento le lacrime. In quel periodo anche la sua vita personale è stata segnata da momenti difficili, al termine dei quali ha fatto coming out e trovato una partner che in seguito ha sposato in una cerimonia pubblica di massa.
 
Durante la sua campagna per l’elezione a sindaca, il suo rivale ha fatto spesso allusione alla sua sessualità e in «alcuni quartieri circolavano opuscoli omofobi che la prendevano di mira con toni offensivi», si legge sull’Advocate Magazine che si schiera con i gay. Nonostante tutto, però, Lori Lightfoot si è aggiudicata una vittoria pioneristica. Giangreco attribuisce la sua popolarità al classico approccio pragmatico di molte donne di colore e dice che «sembra proprio una mamma, una vicina di casa, una zia che ti ama, ma non esita a darti contro, se hai commesso qualcosa di sbagliato».
 
Muriel, il coraggio di dire no
La vita personale della sindaca di Washington Muriel Bowser, al contrario, è una sorta di ‘tabula rasa’, ha scritto nel 2014 un giornalista locale di lungo corso. «Dice che esce con gli uomini, ma non rivela nulla di più delle sue relazioni. È cattolica da tutta una vita, ma dice che la religione non ha avuto una grande influenza su di lei». Sei anni dopo, la sindaca è tuttora molto riservata e di lei si sa molto poco, tranne che ha presentato ufficialmente una bambina che ha adottato nel 2018. A un’emittente televisiva locale ha detto che «diventare madre l’ha aiutata, come membro della legislatura, a comprendere meglio cosa voglia dire essere genitori. E adesso vorrebbe organizzare un convegno di sindaci per aiutare le madri prima e dopo la nascita di un figlio».
 
L’attenzione riservata dalla sindaca Bowser a questioni così basilari ha caratterizzato buona parte della sua amministrazione, finché il mese scorso la città non è implosa per le manifestazioni di protesta.
 
Secondo Tom Sherwood, un giornalista di Washington che da decenni si occupa di questioni di governo nella capitale, Muriel Bowser «si è giostrata in modo sapiente tra un furibondo presidente Trump e gli arrabbiati manifestanti locali di Black Lives Matter che, un giorno sì e uno no, l’accusano di essere troppo tenera nei confronti degli agenti della sua polizia». «Ancora non è chiaro» ha detto all’Espresso, «se sarà favorevole a chi vuole mettere un freno ai poteri della polizia, come suggeriscono alcuni membri della giunta municipale». Muriel Bowser e il suo capo della polizia amano ripetere che stanno riformando le forze dell’ordine “da 18 anni”, da quando alcuni tafferugli e arresti di massa portarono alla riforma legislativa del 2004.
 
Kathy Patterson, ex consigliera bianca democratica del consiglio municipale, a capo di quel tentativo di riforma, ha lodato Bowser perché «ha saputo trovare il giusto equilibrio».
 
«È stata forte per la sua città» ha detto all’Espresso Kathy Patterson, oggi funzionaria addetta alle operazioni di revisione delle procedure municipali. «Ha tenuto testa agli sforzi della Casa Bianca di militarizzare la situazione, come è di prassi a Washington, gestendo le manifestazioni pacifiche. La nostra polizia sa che ha il dovere di proteggere la libertà di espressione proprio come la proprietà del singolo: lei è stata molto chiara in proposito».
 
Anche Muriel Bowser ha attinto forza dai suoi genitori, che l’hanno cresciuta in uno dei quartieri per la classe media di colore della città. Suo padre era impegnato nella politica locale, sua madre un’infermiera che ha tirato su «cinque figli lavorando a tempo pieno a basso salario» ha detto. I genitori la iscrissero a una scuola superiore cattolica, dopo la quale si laureò in storia in un piccolo college per materie umanistiche della Pennsylvania, prima di conseguire un master in ordine pubblico presso l’American University di Washington. Da lì ha quindi iniziato a dare la scalata al mondo politico di Washington.
 
Al suo primo comizio da sindaca, la sera in cui ha vinto le elezioni del 2014, la folla iniziò a fischiarla non appena il suo avversario mise piede nello studio televisivo. Sua madre Joan, 78 anni, si alzò in piedi dalla poltrona e “con le mani fece segno a tutti di tacere. Quel gesto, probabilmente accompagnato anche da un’occhiataccia, doveva essere tipico di quella donna, madre di cinque figli cresciuti in una modesta casa a schiera, e zittì tutti i fischi e le urla” si legge in un resoconto pubblicato su Ebony.
 
Sei anni dopo, Muriel Bowser ha detto alla folla di manifestanti, accorsi nella “Black Lives Matter Plaza” da lei tenuta a battesimo, di aver affrontato Trump in onore della sua bambina Miranda di due anni.
 
«Voglio che cresca e sappia che sua madre ha avuto la possibilità di dire ‘no’ e lo ha fatto» ha detto alla folla.

Traduzione di Anna Bissanti