I dati sui grandi centri urbani degli Usa segnalano un importante incremento di aggressioni e scene da far west. E si teme un ritorno ai drammi degli anni Ottanta

Un negozio incendiato a Minneapolis
Il momento più difficile della giornata di Francisco Suarez è quando il sole tramonta. Vicino a K-Town, cuore del quartiere sud-coreano di Manhattan, le luci dei palazzi vuoti prendono il posto del cielo azzurro pastello. Per Francisco, ogni secondo è cruciale: «Devo proteggere il mio posto per dormire stanotte», dice da Greeley Square Park, tra la 34esima e Broadway. Un tempo, a quest’ora, il flusso di pendolari riempiva i tavolini in piazza, le linee della metropolitana straripavano. Macy’s, lì a due passi, dava il benvenuto a migliaia di clienti. Ora, nell’estate del virus, le strade sono vuote. Francisco ha 57 anni, ma ne dimostra venti di più. È un homeless, originario di Porto Rico. Uno dei tanti in questa zona di Manhattan, trasformatasi in un centro di degrado da quando la pandemia ha segnato i destini della città.

Il Covid ha cambiato le vite quotidiane anche dei non molti newyorkesi che passano di fianco a Francisco. Sono diversi i ritmi della città: nonostante l’accesso alla “fase 4”, la metropoli è ancora ferma e vuota. Teatri e cinema sono chiusi. Vietati i ristoranti con l’aria condizionata, aperti solo quelli con i tavolini all’aperto. Ed è diverso l’approccio con cui la città ha affrontato il destino di chi è rimasto senza casa: gli shelter sono impossibilitati a rispettare il distanziamento fisico, anche i più grandi come il The Palace on the Bowery.

Così ora le stanze di 139 hotel di New York, rimasti vuoti in assenza di turisti, sono riempite dai senzatetto, attraverso un programma coordinato dal sindaco Bill de Blasio. Ma i dati parlano di un aumento degli episodi di violenza in città: il numero di sparatorie è aumentato del 72 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il numero di omicidi del 30 per cento. Solo lo scorso weekend, 32 sparatorie hanno ferito 43 persone, secondo i dati della polizia di New York: una di queste nella centralissima stazione Grand Central, a Manhattan, in piena mattina.

Così c’è chi ha detto e scritto che sembra di essere tornati agli anni Ottanta, il periodo più buoio della Grande Mela per scippi, aggressioni, rapine. «Ma non è così», dice Ric Curtis, esperto di criminologia newyorchese. «La città di oggi è spettrale, in quella di quarant’anni fa sapevi quando uscivi di casa ma non se ci ritornavi. Da febbraio la situazione è peggiorata, certo, ma non c’è una competizione tra gang, non sono omicidi tra organizzazioni strutturate come nell’epoca del crack», aggiunge. Oggi «i fattori da considerare sono due: il basket e l’alcool», prosegue. I campetti urbani per la pallacanestro infatti sono il luogo dove molte delle tensioni si trasformano poi in tragedia e ad aizzarle non è chi gioca, ma chi guarda e ci sta intorno, quasi sempre spacciatori. «Ma non è più questione di ristabilire il controllo del territorio, come avveniva nella New York prima del sindaco Giuliani», aggiunge Curtis, perché oggi chi spaccia lo fa sempre più spesso offrendo un servizio di delivery, non si compra quasi droga per strada. Lo spaccio a domicilio, ideato tra i primi dalla la gang messicana dei Xalisco Boys, «con il Covid e il distanziamento fisico è pure cresciuto, neanche gli spacciatori vogliono ammalarsi».

L’aumento della violenza però fa paura in tutte le maggiori metropoli ameriane. Come a Chicago, dove ci sono stati 336 omicidi fino al 2 luglio, nove ragazzini sotto i 18 anni sono stati uccisi a colpi di pistola in meno di due mesi. Mentre a Los Angeles gli omicidi sono aumentati del 14 per cento rispetto allo scorso anno. Lo ha evidenziato la polizia a luglio, mese particolarmente violento soprattutto verso i minorenni: l’ultima a perdere la vita è stata Semaj Miller, 14 anni, vittima di una sparatoria perpetrata da un membro di una gang.

Ma è New York a preoccupare di più. «Perché il sindaco de Blasio sta sbagliando tutto e non ha mai lavorato con noi», dice a L’Espresso Frank T., agente speciale della NYPD, che condivide i suoi pensieri a patto di tenere anonimo il cognome. Di origini italiane, ha visto la città e la polizia di cui fa parte cambiare, negli ultimi tempi: «Si è sfilacciato il tessuto sociale delle famiglie, i figli lasciano casa troppo in fretta e con sempre meno sensibilità civica. Questo si vede nel modo in cui diventano poi cittadini», sostiene Frank, che non nasconde l’importanza di gestire l’aspetto psicologico di homeless e tossicodipendenti: «La pandemia ha scoperchiato una situazione di fragilità che già c’era: molti dei senzatetto soffrono di problemi psicologici e andrebbero aiutati da unità specializzate». Mentre Frank non pensa che le proteste per la morte di George Floyd in sé siano tra i motivi dell’aumento degli episodi di violenza: «Non ho problemi con Black Lives Matter, a patto che non si infiltrino gruppi anti-sistema violenti. Dovesse accadere, come a volte è già successo, le tensioni esploderebbero».

Una delle aree di New York dove il degrado è più aumentato è l’area residenziale di Upper West Side, irriconoscibile rispetto a febbraio. Qui si trovano due degli hotel riconvertiti in shelter: The Lucerne, tra la 79esima strada e Amsterdam Avenue, e l’Hotel Belleclaire, tra la 76esima e Broadway, dove vivono circa 300 homeless. Dieci di questi, lo ha riportato il New York Post, sono persone condannate e con precedenti penali a vario titolo. «Upper West Side ha sempre accolto i senzatetto con orgoglio e umanità: il problema è che ora ci sono anche persone violente. Assieme a queste, stanno tornando in quartiere gli spacciatori», dice Gabriella Contestabile, italo-americana nata ad Avezzano nel 1949, dal 1976 residente di Upper West Side. «Le persone hanno paura a uscire di giorno e si rinchiudono di notte», dice Contestabile, che fa parte di un gruppo Facebook nato per raccogliere tutti gli episodi di violenza nel quartiere, “Upper West Siders for Safer Streets”. La violenza, qui, non è mai stata così in aumento, dice. E la pandemia ha fatto esplodere una condizione di disuguaglianza sociale già presente: «Il tema della cattiva gestione delle vittime di malattie psicologiche e homeless esiste da decenni e non è mai stato adeguatamente affrontato. Con il Covid, è dilagato, anche per colpa della scarsa capacità manageriale di Trump e de Blasio, due ideologi alle prese con il loro ego».

Ma c’è chi anche pensa che questa crisi possa essere un’occasione. «Spero che l’opinione pubblica si focalizzi sul tema: adesso abbiamo una grande opportunità per costruire una società diversa», dice Mario Merone, attore di 41 anni. Nel 2018 ha iniziato a lavorare con l’organizzazione Bronx Works, che utilizza il teatro per supportare i senzatetto: «Lavoro dalle 8 del mattino alle 8 della sera, fianco a fianco a loro: parto dagli insegnamenti dei miei maestri di teatro per mostrare loro che esiste una libertà mentale e fisica, un luogo del mondo dove possono vivere senza essere giudicati per quello che sono». Gli homeless con cui lavora sono stati trasferiti dal loro shelter a un hotel a Times Square, a causa del Covid. E la maggior parte soffre di problemi di bipolarismo, depressione, schizofrenia. «Ora si notano di più, perché prima della pandemia il continuo flusso di persone li oscurava. Ma erano già ben presenti». Uno di questi era proprio Francisco. «E ora tutto più difficile, anche perché in giro non c’è nessuno a cui chiedere l’elemosina», dice seduto su un tavolino verde a K-Town, pallido quanto il suo viso.