
I soldi non hanno colore, né confini. Così oggi almeno cento profughi di quelle ondate umanitarie accolte da mezza Europa hanno citato in tribunale a Londra i due fratelli e la Doha Bank, il più grande istituto bancario dell’emirato: Moutaz e Ramez al-Khayyat, oggi importanti uomini d’affari di 37 e 36 anni, sono accusati di avere finanziato su larga scala l’organizzazione terroristica Jabhat al-Nusra in Siria attraverso triangolazioni con Turchia e Libano che, sempre secondo le contestazioni, la potente banca avrebbe dovuto denunciare e bloccare.
I due ricchi imprenditori e Doha Bank smentiscono categoricamente ogni coinvolgimento. Ma intanto, tutti insieme, sono chiamati davanti all’Alta Corte di Inghilterra e del Galles a rispondere dei danni fisici, psicologici e morali inflitti ai profughi da jihadisti e combattenti, affiliati fino al 2016 alla rete di Al Qaeda, per poi perseguire gli stessi obiettivi dell’Isis nella fondazione di uno stato islamico. L’appello per aderire alla causa civile viene esteso ora ai rifugiati siriani oggi residenti in Italia, Svizzera e nel Sud Europa.
Quanti hanno perso le loro case, i propri familiari o sono stati costretti a fuggire per colpa di Jabhat al-Nusra sono invitati a contattare il team legale all’indirizzo syrianvictims2020@protonmail.ch.
La prima richiesta di risarcimento, non ancora quantificata, è stata depositata nel 2019 davanti all’Alta Corte di Londra, dove sia i fratelli al-Khayyat sia la banca sono titolari di ingenti proprietà. Ma c’è ancora tempo per estendere il numero delle parti offese e quindi delle testimonianze sui danni subiti. Il caso è stato affidato al famoso legale Ben Emmerson, avvocato con il grado di consigliere della regina, già relatore speciale alle Nazioni Unite dal 2011 al 2017 per i Diritti umani e l’Antiterrorismo e difensore di Julian Assange contro la richiesta di estradizione in Svezia.
«Sto agendo per conto delle vittime», spiega a L’Espresso l’avvocato Emmerson, «chiedendo un giudizio di responsabilità contro quegli interessi che hanno finanziato l’organizzazione per commettere atrocità. Questo non comprende soltanto i finanziatori internazionali e le banche, ma anche le multinazionali che hanno pagato tangenti o tasse ai terroristi, per continuare le attività commerciali in parti della Siria sotto il controllo dello Stato islamico. È inutile sconfiggere l’Isis sul campo di battaglia senza inseguire i loro sostenitori finanziari ed è quello che ora stiamo cercando di fare. Lo scopo non è solo ottenere risarcimenti per questi crimini indicibili, ma anche dissanguare l’economia terroristica della sua linfa vitale e privare gli sponsor di Stato dei vantaggi politici che hanno percepito».
Quando i quotidiani britannici hanno pubblicato la notizia, Richard Whiting, rappresentante della filiale di Londra di Doha Bank ha smentito le circostanze: «Riteniamo che le accuse sostenute contro l’istituto siano infondate». Lo stesso dichiarano le aziende di Moutaz e Ramez al-Khayyat. Gli avvocati di Doha Bank hanno presentato un’istanza per trasferire il procedimento in Qatar. Altre cause legali contro istituzioni del ricco emirato sono state nel frattempo avviate negli Stati Uniti.
Per evitare ritorsioni da parte delle cellule di al-Nusra, sia in Europa sia ai parenti eventualmente rimasti in Medio Oriente, l’Alta Corte di Londra ha emesso un ordine di anonimato: con questo provvedimento viene protetta l’identità dei ricorrenti che può quindi essere conosciuta soltanto dai giudici e dai difensori, ma non può essere rivelata agli accusati o resa pubblica.
Non tutti i profughi siriani (o curdi) possono comunque aderire: «Il procedimento è aperto ai rifugiati ora residenti in Europa che sono rimasti feriti, e/o hanno subito perdite, e/o sono stati sfollati dal Fronte al-Nusra. Sono ovviamente consapevole che molti profughi hanno lasciato la Siria per varie ragioni. Ma i ricorrenti nella nostra causa sono soltanto le persone che ricadono in questa categoria», spiega un assistente legale, incaricato di svolgere le indagini per conto degli esuli siriani.
È l’ennesima accusa che colpisce l’emirato del Qatar, già alle prese con le inchieste sulla corruzione nella campagna per ottenere i prossimi Mondiali di calcio. Doha Bank, che come i fratelli al-Khayyat comunque ribadisce l’infondatezza delle contestazioni, è guidata da parenti stretti dell’emiro al potere, il quarantenne Tamim bin Hamad al-Thani. Secondo i profughi che hanno presentato ricorso all’Alta Corte, i manager della banca non potevano non sapere o altrimenti avrebbero dovuto controllare meglio le attività delle filiali. Da lì sarebbero state prelevate le ingenti somme di denaro contante: soldi da consegnare, alla fine della triangolazione, a corrieri che a loro volta li avrebbero fatti entrare nelle zone controllate da Jabhat al-Nusra attraverso i confini turco e libanese. Senza quel denaro, sostiene l’accusa, i jihadisti non avrebbero avuto la possibilità di armarsi e quindi di infliggere sofferenze e lutti alla popolazione, costretta poi a emigrare.
Moutaz e Ramez al-Khayyat sono alla loro seconda vita. La prima è cresciuta all’ombra del potere di Damasco, con legami fin dentro le strette cerchie del regime di Bashar al-Assad, grazie anche al padre imprenditore e alle parentele importanti della famiglia. Ma quando nel 2012 in Siria la rivolta contro Assad diventa definitivamente una guerra civile, con la risposta armata dell’esercito e la costituzione delle milizie, i fratelli al-Khayyat sono già ricchi imprenditori al sicuro in Qatar. E da lì, come ricostruisce nel 2015 un’inchiesta della prestigiosa rivista americana “Foreign policy”, sostengono la rivoluzione partecipando anche a una donazione per l’invio di medici oltre le prime linee: si mobilitano alcuni tra i più importanti esuli, rivela l’articolo, «compresi due dei più ricchi siriani di Doha... la cui impresa di costruzioni “UrbaCon Trading and Contracting” aveva vinto appalti come la costruzione di infrastrutture per i Mondiali 2022».
A Doha si racconta che i fratelli al-Khayyat non abbiano trovato ostacoli sia per la loro bravura negli affari, sia per l’amicizia di Moutaz con la donna più potente del mondo arabo: Mozah bint Nasser, 61 anni, seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al-Thani, a capo del ricchissimo Stato dal 1995 al 2013, e madre dell’attuale emiro. Il catalogo on line della società di costruzioni dei due fratelli elenca l’Abdullah Bin Khalifa Stadium di Doha, i nuovi hotel di lusso che ospiteranno squadre e spettatori dei Mondiali come lo Sheraton e l’Hilton, il resort sull’isola artificiale di Banana Island, il nuovo aeroporto internazionale dell’emirato, il monumentale centro commerciale Mall of Qatar, grattacieli, ponti, scuole. Le infrastrutture simbolo portano la loro firma.
Da anni il Qatar viene accusato da alcuni Paesi arabi di aver finanziato il terrorismo jihadista e i movimenti islamisti nei conflitti regionali, dallo Yemen alla Libia, e di intrattenere relazioni fin troppo amichevoli con l’Iran. Questa volta non è la Casa Bianca a sostenerlo, anche perché gli Stati Uniti occupano nell’emirato, con la Royal Air Force britannica, la base aerea più armata del Golfo. Lo dichiara invece una coalizione che comprende Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Arabia Saudita, unico Stato confinante con il Qatar e non certo illibato per quanto riguarda i rapporti con gruppi jihadisti. Questi governi dal giugno 2017 non hanno più rapporti commerciali con il regno degli al-Thani. Ma per un Paese ricco di gas e petrodollari, l’embargo è solo un grattacapo passeggero.
Proprio in quelle prime settimane di isolamento, Moutaz e Ramez al-Khayyat diventano eroi nazionali. Per risolvere la penuria di latte, yogurt e formaggi organizzano un ponte aereo da Australia e Stati Uniti per trasferire nell’emirato quattromila mucche. Così, dopo appena un mese, garantiscono la produzione di circa un terzo del fabbisogno quotidiano di latte fresco, per una popolazione di due milioni e mezzo di abitanti e un reddito medio tra i più alti al mondo. La North Farm della società Baladna, che come le altre imprese degli al-Khayyat fa capo alla Power International Holding, è oggi un allevamento intensivo ultra automatizzato in mezzo al deserto.
I rifugiati siriani che per primi hanno avviato la causa a Londra sono consapevoli che i fratelli al-Khayyat e Doha Bank respingono le accuse e annunciano azioni legali di risposta: «Per questa ragione», aggiungono nel loro appello, «c’è da aspettarsi che la denuncia venga vigorosamente contestata. Ogni dichiarazione deve essere provata. Ogni ricorrente deve dimostrare che lui o lei hanno sofferto le ferite e le perdite che dichiarano di aver subito». Se la richiesta venisse accolta, sarebbe un precedente per i profughi di tutto il mondo: punire ovunque sotto il profilo economico governi, multinazionali, famiglie, signori della guerra che con le loro ricchezze trasformano la vita tranquilla di milioni di persone in un bagno di sangue.