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Mondo
gennaio, 2021

Xi Jinping, l'affabulatore che vuole farti amare la sua Cina

Xi Jinping
Xi Jinping

Il leader ricorre allo storytelling per presentare se stesso e il suo Paese come un’opportunità da cogliere, facendo tabula rasa di visioni alternative alla sua. E dove non funziona il "soft power", ci pensano i soldi

Xi Jinping
Nel 2014 negli uffici di Facebook, negli Stati Uniti, è andato in scena un incontro particolare: Mark Zuckerberg ha risposto - in mandarino - a una serie di domande di studenti cinesi. Nelle foto pubblicate sui media nazionali di Pechino è stato notato subito un particolare: sulla sua scrivania faceva bella mostra “The governance of China”, il libro di citazioni e discorsi del presidente cinese Xi Jinping. «Ne ho regalate diverse copie ai mie colleghi, è importante che sappiano cosa è il socialismo con caratteristiche cinesi», ha poi spiegato Zuckerberg al Washington Post.

Dire 2014 significa dire un’era fa, ormai, ma la mossa di Zuckerberg oltre a provare a sondare gli umori dell’epoca circa l’ennesimo tentativo di Facebook di entrare nel mercato cinese, sdoganò Xi Jinping come l’affabulatore, il cantore della Cina contemporanea. Ruolo, per altro, nel quale il leader cinese si è sempre immedesimato, chiedendo in modo schietto a tutto il partito comunista di cominciare a raccontare a tutti che cosa sia la Cina e quale sia il suo nuovo posto nel mondo: «Raccontare storie», ha specificato Xi, «è la migliore forma di diffusione internazionale». E lui per primo ha contribuito non poco al clamoroso sforzo cinese di parlare al mondo occidentale, nel tentativo di dare la propria versione dei fatti, ovvero quella del partito comunista cinese, sia per quanto riguarda la lettura della storia, la scelta dei “classici” e i riferimenti politici e culturali, sia per dipingere un paese alle prese con il tentativo di diventare la «guida responsabile» della globalizzazione mondiale.

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Xi Jinping ha fatto partire questo «processo epico» da se stesso, dalla sua storia, dalla sua adolescenza. Il meccanismo è tipico della narrazione: un passato mitico, diventato subito cardine del racconto della sua ascesa, l’adolescenza trascorsa in campagna, a causa della purga subita dal padre che pure fu un funzionario rilevante in epoca maoista, la vicinanza al popolo, la capacità, per questo suo passato, di comprendere il popolo.

Si tratta di un grande scarto rispetto al passato anche più recente, quando i leader cinesi apparivano chiusi nel loro mondo burocratico. Xi Jinping ha riportato in auge il racconto epico e la politica, ponendo all’interno della commissione centrale del Politburo personalità non solo “tecniche”, ma ideologiche, come Wang Huning che già nel 1993 sottolineava la necessità di un soft power in grado di intercettare la comprensione occidentale della Cina. Xi Jinping si è presentato ai cinesi e al mondo come una persona che ha lottato per arrivare al vertice, attraverso una carriera lunga e che ha attraversato numerose fasi. Come in tutti i racconti epici si omettono alcuni particolari: le amicizie, specie con i militari, che ha ereditato dal padre, e i suoi dieci tentativi di entrare nel Partito comunista. Ma il racconto epico allaccia tempi ed epoche diverse, è mito, dunque atemporale. Xi Jinping fa emergere la sua carriera per rappresentare ai cinesi e al mondo una verità cui in tanti credono, ovvero la Cina come la terra della meritocrazia, delle opportunità e fondamentalmente come un Paese pacifico e sinceramente devoto al benessere collettivo.

Come ha scritto la rivista economica Caixin (spesso protagonista di reportage e inchieste non viste di buon occhio dal Pcc), «dal 18° Congresso nazionale del partito comunista cinese, in più di 10 discorsi pubblici durante le visite all’estero, Xi Jinping ha raccontato molte storie commoventi, riducendo la distanza psicologica tra cinesi e stranieri e ridefinendo la nuova temperatura del linguaggio diplomatico ufficiale».

In un discorso all’Università Nazarbayev in Kazakistan, durante il quale Xi Jinping ha annunciato per la prima volta il progetto della nuova via della seta, il presidente cinese ha raccontato la storia di Ruslan, uno studente kazako che ha donato sangue gratuitamente mentre studiava in Cina. In quell’occasione raccontò anche la storia di una madre e un figlio in Cina e Kazakistan che furono finalmente in grado di riunirsi dopo mezzo secolo di ricerche. In Germania ha raccontato la storia di un esperto di viticoltura che gratuitamente ha impartito lezioni agli agricoltori dello Shandong. In Australia si soffermò sulla vita di un professore dedito all’amicizia tra Cina e Australia: «Il professor Maclin ha visitato la Cina più di 60 volte». Chen Lidan, professore alla School of Journalism della Renmin University of China, a proposito dell’arte dello “storytelling” ha affermato che «è necessario concentrarsi sull’esplorazione di nuovi concetti, nuove categorie e nuove espressioni nella comunicazione esterna. Le storie cinesi dovrebbero essere raccontate in modo semplice e avere per protagonisti le persone semplici: storie, non parole vuote generali e propaganda». E Xi Jinping sembra in grado di farlo perfettamente, secondo il preside dell’Istituto di diplomazia pubblica della Renmin University of China: «Nei suoi discorsi, Xi Jinping ha raccontato la storia dell’amicizia tra popoli dal punto di vista della gente comune, rafforzando la comunicazione culturale e spirituale tra i popoli e dando alle persone un senso di vicinanza».

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, non più chiusa ermeticamente all’esterno e soprattutto in grado di porsi come paese «responsabile» e fautrice di un futuro «win win», nel quale tutti possono guadagnarci qualcosa.

Per fare questo Xi Jinping ha uniformato la storia cinese ai voleri del Partito comunista, ponendo il tema come centrale anche all’interno del Paese. Walter Benjiamin sosteneva che la storia è l’inventario del vincitore, e mai come in Cina questo è vero. Pensiamo alla Nuova Via della Seta: quando il presidente Xi Jinping ha presentato il suo progetto “One Belt One Road”, ha descritto l’antica strada carovaniera come qualcosa di essenzialmente cinese.

In realtà il termine fu creato da un occidentale (il geografo tedesco Ferdinand von Richtofen) e per lungo tempo la lingua parlata lungo le rotte commerciali era il persiano. La storia, dunque, oggi più che mai serve al Partito comunista per legittimare una linea di continuità, in alcuni casi con chiari accenti di natura etnica, con il passato e confezionare così una base per la comunicazione di questa storia all’esterno. E come sempre accade in questi casi il Pcc non ammette discussioni, anche per quanto riguarda la storia recente.

Nel 2018 Xi Jinping ha fatto approvare una legge dall’Assemblea nazionale (quanto di più simile esiste in Cina ai nostri parlamenti, benché abbia solo la funzione di ratificare quanto deciso dal Consiglio di Stato, l’organo esecutivo, a sua volta controllato in toto dal partito comunista) che impone a «tutta la società» di onorare gli eroi rivoluzionari e i martiri approvati dal Partito, rendendo la diffamazione un potenziale reato punibile dalle legge.

Chun Han Wong, commentatore di fatti cinesi sul Wall Street Journal, a questo proposito ha scritto che «rafforzare il controllo sulla storia cinese è una priorità per il presidente Xi Jinping, che ha rivendicato la legittimità del governo comunista affermando che lui e il suo partito al governo stanno guidando il ritorno della Cina alla grandezza del passato». Per questo eroi e martiri hanno un posto di rilievo nelle campagne di propaganda che spesso risalgono alle radici rivoluzionarie del partito. «I funzionari hanno affermato che è necessaria una legislazione forte per promuovere il patriottismo e reprimere il nichilismo storico, termine ufficiale per lo scetticismo sui contributi del partito al progresso della Cina». Insieme alla legge è arrivata la censura di libri, articoli, saggi.

Se Xi Jinping ha preso per sé la parte dell’affabulatore e del politico teso a «rassicurare» il mondo circa le intenzioni dei cinesi, ai suoi diplomatici è toccato invece il ruolo di «agitatori». Come in un romanzo cinese di cappa e spada, i funzionari cinesi sparsi nei ministeri o nelle ambasciate in giro per il mondo da tempo picchiano come fabbri, utilizzando toni aggressivi e muscolari per rispondere alle critiche che vengono mosse alla Cina. Sono stati definiti «Wolf Warriors», dal titolo di un blockbuster cinese e hanno più volte scosso le relazioni diplomatiche tra Cina e altri paesi.

L’ultimo caso è stato quello del portavoce del ministero degli Esteri cinese e l’Australia: i rapporti tra i due paesi sono piuttosto tesi di recente a causa di diatribe riguardanti tanto le reti 5G quanto la decisione di Pechino di cacciare alcuni giornalisti australiani dal Paese. In occasione della scoperta della strage da parte di soldati australiani in Afghanistan, Zhao Lijian ha pubblicato su Twitter (vietato in Cina) l’immagine shock di un soldato australiano che taglia la gola a un bambino afghano. Pechino ha rifiutato, in seguito, di rimuovere l’immagine. È il doppio binario scelto da Xi Jinping nella nuova epica cinese: il presidente rassicura, i diplomatici attaccano. Stando alle ricerche e ai sondaggi pubblicati di recente, però, l’immagine della Cina in Europa non avrebbe tratto giovamento da questa narrazione, perché gli europei sembrerebbero piuttosto scettici circa le reali intenzioni di Pechino. Nonostante gli sforzi, infatti, alla Cina manca un vero e proprio soft power come quello che gli Stati Uniti hanno messo in mostra nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale: Pechino non riesce a introdursi nei discorsi politici occidentali, non riesce a trovare il tono di voce necessario a farsi davvero comprendere.

E laddove non arriva con il sentimento, la Cina prova a rimediare con i soldi, tanto che si parla più di “smart power” che non di “soft power”: di recente Pechino ha lanciato una massiccia campagna di cooperazione con i media internazionali (l’ultimo accordo sottoscritto è con la Reuters) per provare a “bucare” sistemi informativi che, secondo i cinesi, sarebbero sfavorevoli alla narrativa cinese.

Per ora questi sforzi non sembrano ripagare, all’esterno. All’interno del paese, al contrario, l’epica di Xi Jinping ha avuto successo, facendo tabula rasa di visioni della Cina e del mondo alternative alla sua.

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