Pubblicità

"Mi chiamo Caroline e sono la prima trans a capo di un'azienda"

Trans-jpg
Trans-jpg

Era un figlio e marito perfetto, ma si sentiva donna. Un giorno ha deciso che doveva "togliersi il sassolino dalla scarpa". E ha gestito anche il cambiamento di sesso come una brava manager (Foto di Massimo Di Nonno per l'Espresso)

Trans-jpg
«Ecco: è stato come aver camminato per cinquant’anni con un sassolino nella scarpa», dice la signora Caroline Farberger, mentre procediamo guardinghi su un acciottolato bagnato e in leggera discesa verso il lago Mälaren. Gli stivali eleganti col tacco piuttosto alto le impongono una particolare cautela. «Immagina di essere in marcia con gli altri per tutta la vita e senti questo dolore al piede, continui a tenere il passo, stringi i denti, speri che il sassolino se ne vada. Ma sai che non succederà, al massimo si sposta leggermente, continua a far male e a ferire ad ogni singolo passo, ogni giorno, ogni anno. L’unica cosa da fare è fermarsi, slacciare la scarpa e togliere la pietruzza».

È quello che Caroline ha fatto una sera di marzo del 2017, quando era ancora Carl. È bastata una domanda di sua moglie Ylva Rönnqvist a farlo uscire dai ranghi. «Carl, mi ha chiesto lei, non è che vorresti essere una donna? Ho provato un brivido. Certo che no! ho replicato. Ylva vedeva che mi depilavo le gambe e con quale piacere indossassi i miei pigiami di seta, intuiva l’esistenza d’un male insondabile. Poi, dopo un paio di mesi, mi rifece la domanda e allora ho capito che era arrivato il momento di arrestare la marcia e togliermi il sassolino».
[[ge:rep-locali:espresso:285350554]]
Siamo a Sigtuna, villaggio a meno di due ore a Nord di Stoccolma: «Qui è nata la Svezia», si legge su un’insegna all’esterno delle rovine di quella che fu la prima reggia vichinga, fondata nel 970 da re Erik Segersäll. La via principale è la più antica del Paese, le abitazioni e le locande in legno datano vari secoli. «Questa è la Svezia più tradizionale», dice Caroline, «chi ha deciso come me di abitare qui lo fa anche per senso d’appartenenza alla nostra tradizione». Mentre passeggiamo in molti la salutano - «buon giorno signora Farberger» - con il rispetto dovuto a un personaggio in vista, cioè al capo di una delle più importanti società svedesi quotate in borsa, il gruppo assicurativo collegato alla catena di supermercati Ica.

Giovedì 13 settembre 2018 è stato l’ultimo giorno in cui è entrato in ufficio come Carl. Il giorno successivo, a borsa chiusa, Caroline ha fatto il suo ingresso con un tailleur color panna. È il primo caso al mondo d’un amministratore delegato che ha compiuto un cambio radicale di sesso, e forse non poteva che accadere in Svezia, la quale interpreta, quasi come carattere identificativo nazionale - dalle questioni di genere, all’emergenza climatica con il movimento di Greta e fino alla (fallimentare) strategia anti-Covid - il ruolo d’avanguardia del contemporaneo nel mondo.

Caroline ha pianificato tutto nei minimi dettagli per molti mesi, ha applicato su di sé le strategie aziendali costi-benefici e gestito la comunicazione, affidando il racconto-scoop della sua trasformazione a Dagens Industri, il principale quotidiano economico-finanziario: «Rischiavo di perdere tutto, moglie, figli, parenti, amici, colleghi, il mio ruolo sociale, costruito senza aver mai fatto nulla di controverso», dice. «Ho sempre vissuto secondo la norma e come Caroline dovevo essere riconosciuta dalla mia comunità come una nuova normalità».

La norma di cui parla Caroline è ben presente a casa sua. Sediamo sotto i ritratti ieratici di un trisnonno e un bisnonno, entrambi comandanti di reggimento. Il nonno invece, racconta Caroline, era direttore di un liceo di Göteborg, il padre un importante commerciante di carne, la mamma insegnante nel liceo del nonno: «Secondo i canoni famigliari dovevo diventare qualcuno, impegnarmi per essere un giorno un uomo rispettato per il suo titolo».

Di là in cucina la moglie Ylva e uno dei tre figli nati dal loro matrimonio stanno pranzando in totale silenzio. Caroline, vestita in blusa e pantaloni color cipria, spiega che gli accordi con la moglie prevedono una serie di condizioni e di confini; al piano di sopra ha il suo studio con camera da letto e un ampio spazio riservato al guardaroba e al trucco, tutto ordinato come può esserlo un’officina di chi da bambino giocava col meccano e finalmente ha un banco pieno d’attrezzi veri. «Invidiavo i vestiti delle bambine, ricordo l’euforia nell’indossare una gonna. Nel 1976 nascondevo le riviste del matrimonio dei reali, fantasticavo guardando gli abiti delle damigelle. Mi comportavo come ci si aspetta da un bambino, odiavo gli scooter ma ebbi anch’io il mio».
TRANS03_2308755_154626

Il servizio militare non gli basta, entra in accademia e si diploma primo cadetto del reggimento. Diventa ingegnere elettronico. «Non volevo essere uno dei tanti, dovevo essere speciale, e parallelamente mi sono anche laureato alla business school di Stoccolma». Entrato alla McKinsey, in pochi mesi guida la squadra dei progetti riservati. Si sposa con una collega, «solo perché era quello che andava fatto a quel punto nella vita di un uomo con la mia posizione. Ciò che apparivo non corrispondeva a ciò che ero. Ma chi ero non lo sapevo. Vivevo con il freno a mano tirato».

Racconta dei weekend nella foresta tra colleghi maschi per fare team-building, mostra le foto della caccia al cinghiale, lo sforzo per rivaleggiare con un ritratto virile e vincente degno degli avi, l’iscrizione alla loggia massonica di Sigtuna. Arrivano il divorzio, la guida della compagnia d’assicurazioni Ica Försäkring, il nuovo matrimonio e i figli: continua a macinare tanta strada Carl, ma la pietruzza resta una tortura.

Poi, un sabato di giugno del 2017, vede una «persona bellissima». È Caroline, o quasi. Si trova su Kungsgatan, una delle vie più eleganti di Stoccolma; dopo una lunga seduta in un salone di bellezza, entra in una boutique, vi lascia i vestiti da uomo e si fa ritrarre sul marciapiede dalla commessa, quella foto apre l’album al centro della biografia “Jag, Caroline” (Io, Caroline): «Per la prima volta vedevo chi ero, non chi mi aspettavo di essere. Nell’incontrare me stessa mi sembrava di volare».

Da lì inizia un percorso di transizione fisica, il trattamento ormonale, le operazioni a Marbella, in Spagna, le sedute con un team di medici, psicologi, logopedisti dell’università Karolinska. L’analista finanziario calcola i rischi sociali e decide di condividere il suo “viaggio” con un diario su Facebook, il gruppo parte dalla cerchia più ristretta, moglie, madre, fratelli e pochi amici selezionati. Il 24 febbraio 2018 annota: «Oggi sono andato per la prima volta dai miei genitori come Caroline. È meraviglioso sedersi su un aereo come Caroline e non dover sentire la disforia di genere quando guardo altre donne».

Accompagna i figli al campo di calcio in tailleur, loro tranquillamente continuano a chiamarla “papa”. Il Ceo compie la transizione di leadership da Carl a Caroline coinvolgendo in modo graduale i vertici del gruppo Ica, alcuni banchieri e politici, fino ai colleghi del consiglio d’amministrazione. E fino a quel venerdì in cui, dotata di nuovi documenti, si presenta come il nuovo amministratore delegato. Carl passava il testimone del comando a Caroline. «C’è stata una totale adesione, sia in famiglia che nella comunità economico finanziaria svedese», dice.

«Ho voluto fare la differenza per tutta la vita e ora ho la possibilità di farla, sul serio. Più alta è la tua posizione, più puoi influire», spiega. «So che cosa significa il privilegio di essere uomo nel mondo del lavoro, gli uomini giocano in casa, le donne in trasferta. Prima ero convinta che esistessero solo due tipi di leadership, quella buona e quella cattiva, ma entrambi maschili».

Improvvisamente le donne hanno cominciato a confidarsi con la Ceo Caroline: «Ho capito molto sulla disparità di trattamento, le molestie sessuali. Perché non ne avevano parlato a Carl? Perché temevano che sarebbero diventate un problema per Carl. Io avevo contribuito ad alimentare questi meccanismi perversi». Quando era Carl non teneva conto delle opinioni delle colleghe donne, era il primo a sostenere che a loro non interessassero più di tanto le posizioni di potere con gli stipendi più alti: «Ripetevo che, nonostante tutto, in Svezia abbiamo una legge contro le discriminazioni di genere e che chiunque può fare carriera. In realtà solo una su dieci delle società quotate in borsa è guidata da un Ceo donna, occupano solo il 15 per cento delle posizioni apicali delle 10 più grandi aziende».

La “nuova normalità”, celebrata con la storia di Caroline, rappresenta l’ultima frontiera per un Paese che sta già in cima a tutte le classifiche della parità di genere – pensiamo solo ai 420 giorni di permesso di maternità, all’80 dei neo-babbi che accedono ai congedi di paternità, al 96 per cento degli uomini svedesi che si definisce femminista, a un gap degli stipendi tra i due sessi di soli 6 punti.

Time ha definito la Svezia «l’Arabia Saudita del femminismo», diventato una sorta di “religione di Stato”, e si riferisce soprattutto all’esperimento di neutralità di genere, al superamento del concetto maschio-femmina, applicato in scuole come Egalia, nel centro di Stoccolma, dove sono abolite le parole bambino e bambina, tutti vestono in modo neutro e l’unico pronome usato è il neutro Hen, un’invenzione linguistica ormai adottata dai media nazionali. «Siamo individui prima di tutto, il sesso è una gabbia», dice Caroline. Stordisce camminare con lei per le viuzze vichinghe di Sigtuna.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità