Aveva assicurato di mettere mano alla drammatica situazione alla frontiera meridionale appena seduto alla scrivania dello studio ovale. A quasi un anno dall’insediamento, però, per il presidente Joe Biden il problema immigrazione resta un nodo complesso e irrisolto. Secondo i detrattori, addirittura peggiorato.
Primo atto era stato la sospensione dei lavori per la costruzione del famigerato muro di protezione ai confini con il Messico, pietra miliare del repubblicano Donald Trump. Nonostante questo, sin dalle battute iniziali, Biden aveva ribadito un messaggio pressoché identico a quello del predecessore: non mettetevi in viaggio verso gli Usa.
Eppure alla frontiera si registra un record di migranti illegali fermati dalle forze dell’ordine. Ogni giorno in migliaia puntano a nord, rischiando molto spesso la vita. Secondo le previsioni del ministro della sicurezza interna Alejandro Mayorkas, entro la fine dell’anno saranno 2 milioni le persone bloccate da gennaio. Nella conta sono inclusi anche circa 125mila minorenni arrivati sul suolo americano da soli, senza i genitori, e alloggiati nelle strutture di ricezione governative. La cifra, invece, non comprende chi elude la sorveglianza e riesce ad entrare (e restare) nel Paese. Il balzo in avanti è del 33 per cento rispetto al picco annotato nel 2019 da Trump, fermo restando un lieve calo a settembre.
L’inversione di rotta, tuttavia, c’è ed è innegabile. La più significativa riguarda le politiche riferite alle famiglie. Mentre la passata amministrazione tendeva a separare i nuclei - tanti genitori erano stati rimpatriati senza i figli - le nuove direttive propendono nella maggior parte dei casi alle riunificazioni. In generale sono migliorate le condizioni dei minori: il numero dei piccoli collocati nelle strutture di detenzione temporanea, è diminuito drasticamente.
Intanto l’ambizioso Build Back Better - il pacchetto di investimenti diretti a welfare, educazione e clima da circa due trilioni di dollari, recentemente approvato dalla Camera - comprende anche una riforma storica dell’immigrazione, la più imponente degli ultimi trent’anni. Se il piano dovesse passare il vaglio del Senato, potrebbe cambiare completamente la vita a oltre sei milioni di immigrati irregolari arrivati prima del 2011, inclusi i giovani Dreamers giunti negli Stati Uniti da bambini, spianando la strada verso la regolarizzazione tramite l’agognato permesso di soggiorno e allontanando da centinaia di famiglie la minaccia incombente di espulsione.
Sotto l’attuale amministrazione, inoltre, è stata anche ampliata la lista dei luoghi “santuario”, ovvero le aree in cui gli agenti dell’immigrazione non possono effettuare arresti. A luoghi di culto, scuole, ospedali e tribunali, dunque, sono state aggiunte anche altre strutture pubbliche come i centri contro la violenza domestica, le comunità di recupero per tossicodipendenti e alcolisti, ma anche posti frequentati da minori come fermate dell’autobus, doposcuola e centri ricreativi per bambini.
Ha molti volti l’umanità che seguita a rincorrere il sogno americano. Da un lato, ci sono i migranti che tentano (e ritentano a più riprese) l’ingresso, cercando di eludere la sorveglianza dei Border Patrol, la polizia di frontiera; ci sono quelli che optano per sentieri pericolosi ma meno vigilati - spesso aiutati a carissimo prezzo dai noti “coyote” - come tratti di deserto, oppure solcano il Rio Grande; c’è chi azzarda la traversata nascosto in automezzi; ci sono i richiedenti asilo, che dichiarano di essere in grave pericolo in madrepatria.
Pur essendo la maggioranza, centroamericani e sudamericani non sono gli unici ad avventurarsi verso la rotta americana. Ci sono anche indiani, africani e mediorientali. Non bisogna dimenticare un’altra porzione dell’immigrazione illegale. Si tratta di coloro che hanno messo piede nella nazione in piena regola, con un visto rilasciato dalle autorità statunitensi, ma che poi hanno finito per restare illecitamente oltre la data di scadenza del documento. Una fetta abbondate (il 40 per cento del totale), in cui si ritagliano uno spazio anche gli illegali europei.
Tre almeno i fattori che continuano a rendere incandescente il fronte meridionale. Innanzitutto la convinzione iniziale che l’era della “tolleranza zero” di Donald Trump fosse archiviata e che Biden avrebbe affrontato con meno intransigenza la questione. Ma non solo. A spingere migliaia di migranti, la recrudescenza di povertà, corruzione e violenza. A tutto ciò si aggiungono i reflui della pandemia che hanno inasprito l’instabilità economica, sociale e politica già gravissima in Messico (da cui arriva la maggior parte del flusso), nel cosiddetto Triangolo del Nord che include El Salvador, Honduras e Guatemala (una delle più consistenti aree di emigrazione negli ultimi anni), ma anche in Paesi come Ecuador, Nicaragua, Venezuela, Haiti, Brasile e Cuba.
Intanto Joe Biden non ha ancora visitato il confine, denunciano delusi gli attivisti e l’ala progressista che in questa presidenza avevano riposto grandi speranze. In campagna elettorale, l’allora candidato aveva assicurato il suo impegno per la costruzione di un sistema di immigrazione più giusto ed umano. La polpetta resta avvelenata per il partito democratico. All’inizio del mandato, il presidente aveva incaricato la vice Kamala Harris di fronteggiare l’emigrazione dall’America Centrale, «affrontandone le radici».
L’approccio non ha sortito risultati significativi - né politici né mediatici - tanto da incidere negativamente sulla popolarità di Harris, in caduta libera. Secondo un sondaggio Harvard Caps/Harris, solo il 35 per cento degli elettori approva le politiche dell’amministrazione in materia. Diverse le pietre d’inciampo. Ad esempio, scatenando il malcontento della sinistra del partito e delle organizzazioni che si battono per i diritti dei migranti, Biden ha mantenuto il famigerato Titolo 42 - aspramente criticato durante la presidenza Trump - che nel corso dell’emergenza sanitaria permette l’espulsione automatica al fine di contenere la pandemia (brucia ancora il disastro mediatico del rimpatrio di circa quattromila immigrati provenienti da Haiti, arrivati a Del Rio, in Texas).
Il Titolo 42, ribadiscono i Cdc (i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie) resterà in vigore fino a quando l’ingresso degli stranieri smetterà di costituire un “grave pericolo” per la salute pubblica. Un approccio, quello di Joe Biden, definito a più riprese bifronte: da un lato la spinta ad implementare politiche più morbide per chi è già sul suolo nazionale; dall’altro, invece, un piglio più intransigente al confine. Capitolo a parte, poi, resta quello dei rifugiati. Lo scorso aprile il presidente aveva fermato a 15mila - lo stesso numero stabilito da Trump - il limite. La bufera derivata lo aveva spinto a far lievitare il numero a 62500. Il prossimo anno ad essere accolti saranno in 125mila. A cui si aggiungono gli oltre 70mila profughi afghani già alloggiati stabilmente in territorio americano.