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In Europa quattro Paesi su 27 - Germania, Danimarca, Finlandia ed Estonia - hanno un premier donna. In altri, Spagna e Francia, le donne occupano posizioni ministeriali importanti. Poi ci sono nazioni come la Grecia e l'Italia in cui le donne restano il fanalino di coda. Per questo motivo, Commissione e parlamento europeo sono uniti nell'intenzione di rendere la crisi pandemica un'occasione di riscatto per le donne e il Fondo di recupero e resilienza un modo per destinare risorse alla causa della parità di genere. Trasformando la crisi in un'occasione.
Le cifre non sono positive: le donne europee si fanno ancora carico del 75 per cento del lavoro domestico e con la pandemia la violenza domestica è aumentata nei media del 30 per cento. Sul lavoro sono pagate in media il 14,1 per cento in meno dei colleghi uomini, e il divario pensionistico è ancora peggiore, con una media europea del 35 per cento che sfiora il 50 per cento a Malta.
L'Italia è un caso critico: sebbene formalmente il "pay gap", il divario di salario, superi poco il 5 per cento, grazie ai contratti di lavoro collettivi uguali tra i sessi, il gap pensionistico sfiora il 37 per cento, a dimostrazione che il dato reale sul divario salariale è ben diverso dalla cifra ufficiale. Sono soprattutto gli uomini a svolgere in maniera costante un lavoro nel corso della vita (le donne italiane che diventano madri spesso lo lasciano per occuparsi dei figli) e a fare carriera.
Ne parliamo con Iratxe Garcia, presidente del gruppo S&D (socialista) dell'europarlamento, il secondo per numero di europarlamentari, attivista per la causa dell'uguaglianza tra uomini e donne.
«Esiste un problema di differenze di salario legato sia ai contratti precari sia al fatto che troppe donne non riescono ad avanzare nella carriera. Lo si vede al termine della vita lavorativa, quando il divario pensionistico risulta altissimo. Dobbiamo sicuramente rafforzare la capacità del sindacato di garantire tutele ai lavoratori. Un passo cruciale è la nuova direttiva sulla trasparenza varata dalla Commissione europea il 4 marzo con l'obiettivo di assicurare che uomini e donne ottengano la stessa retribuzione. Per farlo serve assoluta trasparenza. Si tratta di un passo importante: le misure, obbligatorie per le aziende con più di 250 impiegati, possono fornire i dati dei salari di tutti i lavoratori in modo da evidenziare ingiustizie e distorsioni. Inoltre alle aziende non sarà più permesso chiedere informazioni sulla storia salariale al momento dell'assunzione, e le lavoratrici discriminate potranno chiedere compensazione. Ma è soprattutto il dato della trasparenza elemento chiave: la maggior parte delle legislazioni europee non permette discriminazioni ma di fatto ci sono escamotage che le consente come, ad esempio, utilizzato di diverse tipologie contrattuali, una meglio remunerata dell'altra, per lo stesso lavoro ».
Un primo segno concreto dopo anni di chiacchiere ...
«È vero che adesso si parla molto di donne e che si dovrebbe fare di più ma credo anche che se non si riconosce la disparità di genere come problema non si farà mai nulla. In Europa ora abbiamo una presidente di Commissione donna, un risultato per cui due anni fa abbiamo lottato, e metà dei commissari donna. I passi in avanti non sono avvenuti per caso ma sono stati il frutto del lavoro del movimento femminista. Resta ancora molto da fare ».
Esattamente cosa?
«Innanzitutto aiutare la parità anche nei consigli di amministrazione, in campo economico, non solo in politica. E poi la definizione di un salario minimo europeo. Questo sarà uno strumento chiave per migliorare le condizioni delle lavoratrici visto che le donne sono le meno protette. Ancora: dobbiamo mettere in pratica i principi del Pilastro sociale europeo, presentato, dopo quattro anni di lavoro, il 4 marzo dalla Commissione, sull'accesso al mercato del lavoro, sulle condizioni professionali, giuste e uguali per tutti, e sull'inclusione e la protezione sociale. Si tratta del primo passo per un'Europa più solidale. La pandemia ha già aumentato le disuguaglianze economiche: adesso dobbiamo dare una risposta diversa dall'austerità. Nel farlo aiuteremo le donne, che sono le prime a soffrire in tempi di crisi ».
C'è poi la questione di come utilizzare il Piano di recupero e resilienza (Recovery fund) per aiutare lo sviluppo professionale femminile ...
È stabilito che la questione del genere debba essere sempre incorporata. La Commissione avrà un lavoro importante nell'esaminare i piani. Il fattore di genere dovrà essere valutato secondo criteri oggettivi, quantificabili, cosa molto facile se c'è la volontà politica di farlo. Ad esempio si possono quantificare le donne che fanno un corso di formazione o calcolare quanto è potenziato il sistema dei trasporti pubblici, che certamente rientra tra le misure di genere perché aiuta le donne a muoversi per prendersi cura della famiglia ».
Ma forse non dovrebbero essere sempre le donne a prendersi cura di qualcuno, giovane o vecchio che sia ...
«Infatti. Dobbiamo lavorare perché la società cambi e gli uomini comincino a prendersi cura di bambini e anziani così come le donne ad acquisire responsabilità maggiori sul lavoro. Ma occorrono misure sia a corto sia a lungo raggio perché la realtà non si cambia da un giorno all'altro ».
Altro tema è quello della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, in vigore dal 2014, che ha ricevuto una serie di misure politiche e legali per prevenire la violenza, aiutare le vittime e punire i colpevoli. Sebbene 21 stati dell'Unione l'abbiano ratificata, la Polonia vuole ritirare il suo accordo, Bulgaria e Ungheria si rifiutano di firmarla e l'Unione come tale è ancora paralizzata ...
«Come Parlamento europeo abbiamo chiesto una ratifica europea della Convenzione di Istanbul con un voto a favore e non all'unanimità come vorrebbe il Consiglio europeo, in cui Paesi come la Polonia o la Bulgaria hanno posto un veto per un'erronea interpretazione della parola“ genere ”. Ora stiamo aspettando il verdetto della Corte di Giustizia europea. La realtà è che la struttura del potere tradizionale è messa in discussione e questo genera molta resistenza ».
Polonia e Ungheria, ma anche Slovacchia e poi Slovenia e Bulgaria sono diventate le bestie nere dei diritti umani della Ue. Cosa si può fare?
«Bisogna difendere lo stato di diritto senza compromessi. I valori dell'uguaglianza, della libertà di scelta e di parola sono fondamentali e su questi non possiamo scendere a patti. Noi condanniamo la messa al bando dell'aborto in Polonia perché vuol dire privare le donne di un diritto fondamentale della cittadinanza. L'Unione non è soltanto un club economico: i Paesi come la Polonia e l'Ungheria devono imparare una lezione in questo senso. Per questo lo strumento che abbiamo ottenuto per vincolare i Piani di recupero e resilienza nazionali al rispetto dei diritti umani è fondamentale ».
Mi sembra molto ottimista.
«Sono ottimista perché fin da bambina scendo in strada ogni anno l'8 marzo. Prima eravamo poche. Oggi siamo tante. Il movimento femminista è cresciuto in numero e in consapevolezza. Ora abbiamo bisogno di uomini femministi per cambiare la società ».