Attualmente sono solo il 3,8%, rispetto al 70,7% dei bianchi. Ma non è un caso isolato. Anche Google e Facebook sono al centro di polemiche per discriminazioni: le donne e le minoranze etniche sarebbero spesso sottopagate e ostacolate nella loro carriera nelle big tech

Amazon quest’anno punta a raddoppiare negli Stati Uniti il numero di afroamericani ai suoi vertici e ad aumentarne il numero in posizioni intermedie del 30%. Sono i due punti forti della lista di obiettivi posti da Beth Galetti, Vicepresidente senior di People eXperience and Technology dell’azienda, pubblicata sul sito ufficiale.

Stando ai dati di Amazon del 2020 i ruoli senior ricoperti da neri, nelle sedi del paese a stelle e strisce, rappresentano il 3,8% rispetto al 70,7% dei bianchi. Se quest’ultima categoria è calata dal 74,3% del 2018, quella riguardante i dipendenti neri è in aumento dall’1,5% di tre anni fa. Numeri che però si scontrano con le percentuali sull’etnia dei lavoratori (di tutti i livelli) dell’azienda negli Stati Uniti, in cui si vede che nel 2020 le prime tre posizioni sono ricoperte dai bianchi al 32,1%, dai neri al 26,5% e dai latini al 22,8%. Per fare un quadro generale vale la pena sottolineare i trend demografici attuali del paese, con la popolazione che conta più di 330 milioni e circa il 13% di essa si riconosce come appartenente alla comunità afroamericana e circa il 17% a quella ispanica. 

 

Non è quindi un caso che la società con sede a Seattle sia stata spesso, e anche di recente, al centro di polemiche per casi di discriminazione razziale al suo interno. Le ultime accuse sono arrivate agli inizi di marzo, quando Charlotte Newman, donna di colore e dipendente di Amazon, ha intentato una causa milionaria contro il gigante della tecnologia incolpandolo di pagare i dipendenti neri meno dei loro corrispettivi bianchi. La società ha sostenuto di non tollerare «discriminazioni o molestie di alcun tipo» e si è detta pronta a indagare a fondo sulla questione. 

I propositi fissati per il 2021 da Galetti sembrano essere anche una risposta in tal senso ma non riguardano solo l’equità per la minoranza afroamericana. Amazon, infatti, intende aumentare del 30% in un anno il numero delle donne nelle posizioni di alto livello, specialmente nei campi tecnologici e scientifici. Ad oggi sono il 22,8% contro il 77,2% di uomini mentre, analizzando sempre i dati generali sui lavoratori, si nota come le donne rappresentino il 46,9% e gli uomini il 53,1%. Rimane quindi una evidente disparità non solo per i neri ma anche per le donne nel progredire in carriera all’interno dell’azienda di Jeff Bezos.  

 

Purtroppo, però, la questione non si limita solo ad Amazon ma coinvolge anche altre grosse società tecnologiche, come per esempio Google e Facebook. A dicembre è scoppiata la vicenda che ha visto protagonista Timnit Gebru, scienziata e ricercatrice di intelligenza artificiale di origini etiopi, che ha dichiarato di essere stata licenziata da Google. La società, secondo la donna, le ha contestato con dubbie motivazioni un paper, di cui era autrice, sull’etica e sui pregiudizi strutturali relativi all’IA contro le donne e le minoranze etniche . Per questo Gebru ha accusato la società di essere «istituzionalmente razzista» scatenando un caso nazionale. Solamente pochi mesi fa invece un’altra donna afroamericana, April Curley, che lavorava nelle risorse umane ha puntato il dito contro l’azienda con sede a Mountain View, dichiarando di essere stata licenziata senza motivazioni valide. A febbraio la stessa Google ha accettato di pagare 3,8 milioni di dollari per risolvere le accuse di aver sottopagato alcune dipendenti femminili e di aver scartato nei suoi processi di selezione donne e persone appartenenti a minoranze. Anche in questo caso sono paradigmatici i numeri relativi alle etnie dei dipendenti: Google, nel maggio 2020, ha reso noto che la percentuale di neri fosse del 3,7%, simile, in realtà, a quella di Facebook dove è leggermente superiore (3,8%). Proprio la società di Mark Zuckerberg è indagata da un’agenzia statunitense, la Equal Employment Opportunity Commission, per pregiudizi razziali che sarebbero alla base di assunzioni e promozioni. Un’indagine avviata a seguito dell’accusa di un ex dirigente e di tre persone che si sarebbero scontrate con meccanismi razzisti nelle loro esperienze o richieste di lavoro.

Ulteriori prove che il razzismo e le discriminazioni siano alla radice della società americana e del suo contesto lavorativo, anche in società innovative come quelle citate, e che il movimento Black Lives Matters ha molto lavoro da compiere.

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