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aprile, 2021
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Il folle piano di dividere (di nuovo) i Balcani in stati nazionali su base etnica

Negli scorsi giorni è comparso sui tavoli delle diplomazie un “non-paper” per smembrare la Bosnia-Erzegovina. Ma le sue conseguenze sarebbero pericolose

Ecco, ci risiamo, nell’eterno ritorno del peggio. C’è un piano, senza firma (ma con alcune impronte digitali riconoscibili), un non-paper come si dice in diplomazia, un ballon d’essai buttato lì per vedere l’effetto che fa e approdato in tutte le cancellerie che contano, Bruxelles compresa. Prevede il modo di completare il lavoro sporco iniziato negli Anni 90 per ridefinire i confini dei Balcani occidentali e sfociare nella definitiva nascita di Stati etnicamente omogenei, eufemismo per non usare “puri”, orrenda parola in questo contesto. Basta con le minoranze, basta con le commistioni, basta con la convivenza. Tutti i serbi in uno Stato, tutti i croati in uno Stato, tutti gli albanesi in uno Stato. Dunque la realizzazione del “sogno” rispettivamente di Grande Serbia, Grande Croazia e Grande Albania. Impossibile, si direbbe a prima vista, perché la conseguenza sarebbe una sola: guerra. Ma l’impossibile spesso diventa vero nello spazio ex jugoslavo, dove i fantasmi, una volta evocati, prendono forma.

Prima e cruciale mossa, sbranare la Bosnia-Erzegovina, traballante residuato del Paese che fu di Tito, dove sono costretti a coabitare bosgnacchi (musulmani), serbi e croati. Borut Pahor, il presidente della Slovenia (prima impronta digitale), durante una recente visita ufficiale a Sarajevo ha fatto un sondaggio: che ne direste di separarvi, ma pacificamente eh? Serbi entusiasti, i musulmani invece l’hanno gelato, evocando un nuovo conflitto.


Nel breve volgere di qualche giorno un sito sloveno svela che un “non paper” partito dall’ufficio del premier Janez Jansa, uno che durante la guerra d’indipendenza era ministro della Difesa benché obiettore di coscienza, è atterrato sulle scrivanie comunitarie e contiene proprio l’ipotesi di riassetto della regione. Se fosse portato a termine in modo incruento, ipotesi del terzo tipo o dell’irrealtà, sarebbe un fiore all’occhiello della Repubblica alpina che dal primo luglio assumerà la presidenza Ue (seconda impronta digitale).

Jansa nega, Bruxelles tace. Se fosse vero, come gli indizi lasciano supporre, è logico che l’abbia discusso prima con croati e serbi. Se non altro perché ricalca il famoso piano Tudjman-Milosevic del 1992 per la partizione della Bosnia. Dunque la Serbia si annetterebbe la Bosnia orientale, a ridosso del fiume Drina, la Croazia si prenderebbe l’Erzegovina o al minimo la regione godrebbe di uno statuto speciale sul modello Alto Adige. Del resto gli estremisti di Zagabria ripetono sempre lo slogan per cui «Mostar è la più bella città croata». E i bosgnacchi? Ridotti in una riserva indiana tra Sarajevo e dintorni.

Con la Bosnia est, Belgrado sarebbe parzialmente risarcita della perdita del Kosovo a stragrande maggioranza albanese che si unirebbe a Tirana, salvo la zona di Mitrovica che godrebbe di uno statuto speciale anche in questo caso sul modello Alto Adige. E c’è da capire come i serbi possano accettare di rinunciare a Pec, il primo patriarcato ortodosso, e alla valle dei monasteri, culla della loro civiltà. Da definire il destino della Macedonia che di contendenti per porzioni del suo territorio ne conta addirittura quattro: serbi, albanesi, bulgari e greci.

Come ogni progetto, anche il più nefasto, sono elencate almeno due buone intenzioni. Stati a quel punto “stabili” potrebbero più facilmente chiedere un’adesione all’Unione europea oggi chimerica a causa soprattutto delle tensioni etniche. E una Bosnia a quel punto agganciata al treno del Vecchio Continente sarebbe sottratta all’influenza turca sempre più invasiva. Il non detto del non paper è il solletico a una comunità internazionale stanca di una situazione di non pace e non guerra pluriventennale che la costringe a mantenere in zona truppe e funzionari senza intravedere una soluzione duratura.

Peccato che al solito si accontenterebbero, in questo quadro, gli appetiti dei due Paesi forti dell’area, Croazia e Serbia, con la conseguenza intanto di riaccendere la miccia in una zona dove si prendono le armi ogni volta che si toccano i confini. Senza contare il cattivo esempio che dai Balcani ancora dilagherebbe dando fiato ai secessionismi di ogni tipo in un’Europa che ha qualche problema delicato in Spagna come nel Regno Unito, in Belgio come nelle Repubbliche ex sovietiche. E sarebbe difficile continuare a condannare Putin per l’invasione di una Crimea a maggioranza russofona.

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