Intervista
Gülseren Onanc: «In Turchia ci sono ormai almeno due femminicidi al giorno. L’uscita dalla Convenzione farà aumentare ancora questo numero»
di Federica Bianchi
Ex deputata del partito repubblicano e fondatrice della Piattaforma femminista per l’uguaglianza, la giustizia e le donne, Gülseren Onanc ha un caschetto di capelli castani portato sbarazzino sui suoi 56 anni e su un passato di mediatrice politica a Bruxelles quando Ankara sembrava destinata all’ingresso nell’Unione. Oggi osserva con preoccupazione l’abbandono da parte turca della Convenzione di Istanbul sui diritti delle donne. «Recep Tayyip Erdogan proviene da un villaggio conservatore e conserva quella visione del mondo: le sue radici politiche sono fondate su valori radicali islamici, ottomani».
Eppure si era presentato come un leader moderato, desideroso di portare la Turchia nella Ue.
«Quando ha fondato il partito, 20 anni fa, è stato costretto a creare una coalizione ampia, con partiti liberali, perché al tempo il vuoto politico era al centro. Così per un periodo si è fatto rappresentare come un centrista liberale. Ma in realtà è un credente islamico radicale».
Gülseren Onanc
Come ha dimostrato con l’uscita dalla Convenzione di Istanbul?
«Erdogan non crede affatto nell’uguaglianza di genere. Crede invece nei valori familiari come descritti dalle regole islamiche. Noi femministe siamo sempre state in favore dell’uguaglianza di genere. Per lui il ruolo sociale della donna si sviluppa all’interno della famiglia. L’islam radicale e l’emancipazione delle donne sono ideologicamente agli antipodi. Le riforme di Kemal Atatürk avevano posto l’uguaglianza di genere tra le leggi la Repubblica. Eravamo diventati uno stato secolare. Avevamo siglato la Convenzione internazionale sui diritti umani, eravamo entrati a far parte dell’Ilo. Stavamo convergendo sui valori europei in vista dell’adesione della Turchia all’Unione. La convenzione di Istanbul era diventata il simbolo dell’impegno della Turchia nei confronti dell’Unione e dei suoi valori. Abbandonandola, inviamo oggi oggi un messaggio opposto».
Perché Erdogan compie questo passo proprio adesso?
«È il clima politico a spingerlo. Negli ultimi anni, con il declino dell’economia e il decollo dell’inflazione, i conservatori islamici hanno perso terreno, e se ci fossero elezioni adesso potrebbero perdere addirittura la maggioranza. Negli ultimi due anni dal partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan (Akp) sono nati due partiti nuovi, più moderati e moderni: nel 2019, l’anno in cui Erdogan ha perso le elezioni municipali a Ankara e Istanbul, l’ex primo ministro Ahmet Davutoglu ha fondato il Partito del Futuro, poi Ali Babacan, ex vice primo ministro, ministro degli Esteri e ministro dell’Economia ha annunciato la nascita del partito Deva, Rimedio. Entrambi accusano Erdogan di essere diventato autoritario e di avere perso il senso della giustizia».
Dunque Erdogan cerca di consolidare la sua base principale, il suo zoccolo duro?
«Dopo 18 anni torna alle origini. È il passaggio più facile. Facile da comunicare, manipolare e vincere. Sacrifica la Convenzione di Istanbul per ottenere il sostegno dei conservatori. Che però hanno più voce che peso numerico. Controllano i media che hanno venduto la Convenzione come una minaccia ai valori della famiglia ma, nonostante questo, solo il 17 per cento dei turchi è d’accordo sull’uscita dalla Convenzione, il 19 è indeciso e il 64 per cento è nettamente contrario. Anche tra i sostenitori dell’Akp».
Qual è la situazione delle donne oggi in Turchia?
«La violenza contro le donne è aumentata terribilmente negli ultimi dieci anni e ancora di più con l’epidemia. Abbiamo ormai almeno due femminicidi al giorno. L’uscita dalla Convenzione farà crescere ancora questo numero. Più in generale, tutta la situazione femminile sta peggiorando: maggiore disoccupazione e meno partecipazione al mondo del lavoro e della vita politica. Il 40 per cento delle donne che non lavora sostiene Erdogan. Lo vedono come il liberatore del velo: ha permesso di indossarlo anche nella sfera pubblica, restituendo loro dignità e rispetto».
Anche le più giovani?
«A differenza delle madri saranno aiutate dalla tecnologia. Anche chi non si definisce femminista ha accesso alla rete, intreccia relazioni online e aspira a orizzonti più vasti».