Joe Biden ha abolito le norme anti-migranti di Trump, ma ha mantenuto quelle che negli ultimi mesi hanno consentito agli agenti di frontiera di respingere oltre la metà degli arrivi per il rischio Covid-19

A dare il benvenuto a chi entra nel rifugio Catholic Charities di McAllen, in Texas, al confine con Reynosa in Messico, sono le urla di bimbi esasperati. Giocano e piangono nel centro che li ha accolti, senza più capire in che Paese si trovino. Cercano i loro genitori, sfiniti da settimane di viaggio, che attendono stipati su materassini e seggiole improvvisate. Molti di loro hanno attraversato il Messico senza biglietto a bordo “della bestia”, il mastodontico treno usato dai migranti per raggiungere la capitale, Città del Messico. Il rifugio americano è l’ultima tappa. «Noi genitori abbiamo i documenti, ma i nostri figli no», denuncia nel caos una ragazza di trent’anni originaria di El Salvador. Con una mano tiene stretto il suo bimbo, con l’altra scuote la busta giallo opaco della sua pratica targata 4049. «Non ho nome, mi sento un numero», dice in spagnolo. Come lei sono in migliaia, dal centro America. Più di 171mila sono stati fermati per aver attraversato il confine tra Stati Uniti e Messico nel solo mese di marzo, secondo i dati degli agenti di frontiera. Di questi, 19mila erano minori non accompagnati, 53mila membri di famiglie, 99mila gli adulti da soli. I dati più alti degli ultimi quindici anni.

«Facciamo il possibile per garantire loro dignità, li aiutiamo a cercare i documenti che mancano, ma abbiamo bisogno di riforme», dice Sister Norma Pimentel, che il Catholic Charities Respite Center lo guida. È la sua vita. Era qui due anni fa, quando l’aumento di migranti portò l’amministrazione Trump ad applicare la cruenta politica “Remain in Mexico”, che ha costretto i richiedenti asilo ad attendere nelle città di confine fuori dagli Stati Uniti, diventando vittime dei narcos per mesi. È qui ora. «Queste famiglie scappano perché temono per la propria vita e per quella dei figli: nessun muro potrà fermarli», dice. Secondo Sister Norma, gli Stati Uniti dovrebbero lavorare con le organizzazioni no-profit del centro America, in Honduras, El Salvador e Guatemala, investendo meglio nei programmi di aiuto: «Spesso i soldi finiscono in mani sbagliate e corrotte», dice. E chiede all’amministrazione Biden, che ha scelto la vicepresidente Kamala Harris come intermediaria politica con i leader del centro America, di riformare il sistema d’immigrazione, facilitando le procedure d’asilo.
 

La ragazza senza nome di El Salvador è una delle fortunate, ma anche l’emblema di cosa voglia dire essere vittima del sistema di oggi. È rimasta negli Stati Uniti aggirando il cosiddetto Title 42, la norma che ha permesso agli agenti di confine di espellere più della metà dei migranti in arrivo negli ultimi mesi, da soli o con i figli maggiori di 6 anni, perché «potenziale pericolo sanitario per il Paese» durante la pandemia. Il suo bimbo di anni ne ha 4, ma è rimasto senza documenti. «Abbiamo trascorso una settimana al centro di detenzione del Border Patrol di Port Isabel, a ore di pullman da qui», dice la migrante. «Ci hanno fatto lasciare il centro, ma non il rifugio».

Per legge, i minori non accompagnati e le famiglie non dovrebbero trascorrere più di tre giorni nei centri di detenzione gestiti dagli agenti di confine, per poi essere trasferiti in quelli coordinati dal Dipartimento della salute americano. In molti sono rimasti a viverci per settimane, come si è visto nella cittadina di Donna, vicino a McAllen, da cui sono arrivate dozzine di foto di minori non accompagnati ammassati uno sull’altro. Per affrontare il problema del sovraffollamento, l’amministrazione Biden ha allestito enormi centri dedicati ai minori, in città come Dallas e San Diego, in California. Dall’altra parte però ha fatto rilasciare molti richiedenti asilo dal Border Patrol con documenti provvisori, dove non compare né la data del processo né la pratica dei figli, costringendo i centri di confine agli straordinari. E nonostante gli sforzi, i numeri restano elevati. Al 22 aprile sono ancora 2.175 i bambini non accompagnati in custodia degli agenti di frontiera, in ribasso rispetto alla media degli ultimi trenta giorni (3.985), ma ben oltre la capacità massima.

McAllen è una delle città più calde ma l’intera Rio Grande Valley è in subbuglio, anche Laredo a sinistra e Brownsville a destra. Le collega la statale 83 che scorre lungo il confine e lascia spazio alla 281, per più di trecento chilometri. A scorrazzare sull’asfalto bollente, pattuglie del Border Patrol a ogni angolo. Sulla destra il tortuoso fiume Rio Grande, teatro di morte per chi prova ad attraversarlo a nuoto e viene sorpreso dalle piene. Al suo fianco il muro di Donald Trump, in certi punti opera mastodontica, altrove cattedrale nel deserto, dopo che l’amministrazione Biden ha bloccato gran parte dei lavori di costruzione senza però pronunciarsi sul suo smantellamento. Cittadina strategica per i migranti è Roma, a metà tra Laredo e McAllen, al confine con la messicana Miguel Aleman, ma lontana dalla pericolosissima Nuevo Laredo, governata dai cartelli che controllano i flussi di persone e merci. «Migliaia di richiedenti asilo hanno diritto ora a entrare negli Usa, ma sono rimasti intrappolati fino a inizio aprile negli shelter di Nuevo Laredo», denuncia all’Espresso il pastore Mike Smith dell’Holding Institute di Laredo. L’amministrazione Biden ha mantenuto la norma del Title 42 per smorzare il flusso di arrivi, ma ha abolito la “Remain in Mexico” trumpiana fin dal primo giorno. Così ha sbloccato la posizione burocratica di decine di persone bloccate a Nuevo Laredo, una delle tratte meno solcate dai migranti.

 

«Nel momento in cui iniziano a mandarne da noi da altri centri di confine, significa che l’intera Rio Grande Valley è al collasso». Prima di entrare nel suo shelter, i richiedenti asilo vengono testati: se positivi al Covid-19 trascorrono due settimane in un tendone di isolamento, se negativi un paio di giorni prima di raggiungere i loro cari negli Stati Uniti. «Ho passato il confine da Miguel Aleman con mia figlia», testimonia Fernando, originario del Guatemala. È sulla trentina, magrissimo. Non ha mangiato per settimane. «Abbiamo sostato in una città di nome Tuxtla Gutierrez a sud del Messico». In seguito, qualche giorno a Città del Messico. Infine nel pericoloso Stato di Tamaulipas, che confina con il Texas, dove i trafficanti, per capire le rotte dei richiedenti asilo e intercettarli costringendoli a pagare, seguono la scia di pannolini lasciati a terra da mamme, papà e neonati durante il tragitto. «In tutto abbiamo speso 4mila dollari, una tassa per ognuno dei fiumiciattoli che abbiamo attraversato a bordo di zattere», dice Fernando, ora in salvo a Laredo. Lui è fortunato: la sua bimba ha meno di sei anni e l’ha portata con sé. Ma molte mamme e papà, per evitare di essere respinti con il Title 42, si fermano a qualche decina di chilometri dal Texas e lasciano andare da soli figlie e figli maggiori di 6 anni per l’ultimo tratto, pagando i trafficanti messicani per trasportarli fino al confine. «Anche per questo il numero di minori non accompagnati è così elevato», spiega Pastor Mike.

MAMONE_19_GettyImages-1312644998

Storie del genere si sentono anche nella stazione dei bus di Brownsville, La Plaza, a meno di un chilometro dalla città messicana di Matamoros, nella punta estrema a sud-est. I richiedenti asilo si riconoscono subito: sono senza le stringhe delle scarpe, che gli agenti di frontiera tolgono loro per evitare episodi di suicidio. «Siamo già un peso così», dice Juana, una giovanissima ragazza dall’Honduras, dopo settimane di viaggio. L’amministrazione Trump ha fatto di tutto per peggiorare la condizione dei richiedenti asilo al confine. Il presidente Biden, che nel 2006 votò da senatore del Delaware a favore della costruzione del muro di George Bush, non sta facendo abbastanza per renderla migliore. «Ne ho visti così tanti cadere, anche nell’ultimo tratto», dice Juana. In braccio tiene il piccolo Miguel, 3 anni, che piange per la stanchezza. «Sono qui per lui: nel mio villaggio in Honduras, prima o poi, sarebbe diventato un trafficante di armi o di droga», dice. Appena ha sentito Biden annunciare lo stralcio della “Remain in Mexico”, lei che a inizio 2020 ne fu vittima e venne rispedita indietro, ha deciso di ripercorrere quei tre confini per riscuotere un diritto acquisito e poi calpestato. «Ma non dovrebbe essere tutto così terrificante», conclude: «Questo viaggio, se non ti riporta alla vita, ti regala la morte».