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Da Rosarno a Bruxelles in cerca di futuro. «Ma senza documenti non abbiamo una vita»

Da anni in Belgio. Sfruttati e dimenticati. Per non inquietare le destre. Ora dopo due mesi di sciopero della fame qualcosa si muove per i Sans Papier. Ma la regolarizzazione universale, che era la loro richiesta iniziale, non ci sarà

Nel cuore della capitale di un'Europa che, dopo cinque anni, ancora non trova una soluzione comune alla comune sfida dell'immigrazione 475 immigrati illegali hanno rifiutato di mangiare per due mesi. Hanno occupato la Chiesa del Beghinaggio, in pieno centro, un grande edificio barocco proprio dietro le grandi strade dello shopping, e poi, complice la pandemia, le aule delle due grandi università di Bruxelles. Alcuni sono in Belgio da almeno due decenni, altri ci sono arrivati in barca, passando dall'Italia e dai campi di pomodori, molti quando erano ancora minorenni e qui hanno studiato, altri ancora, i più fortunati, sono arrivati in aereo con l'intenzione di non rispettare i termini del visto. «Ma tu la scambieresti l'Italia con il Marocco, rinunceresti alla democrazia?» chiede Ahmed, un marocchino di cinquantanni, diventato loro portavoce, che sogna di perorare la causa dei “sans papiers” di tutta Europa davanti al parlamento europeo. 

Non avevano intenzione di uscire fino a quando il governo non avesse trovato una soluzione. Non avevano più nulla da perdere. Nemmeno i lavori “da marocchino”, come li chiamano loro, che facevano prima. Insieme al peso e alle forze, hanno perso posto letto e anonimato. «Sono venuto in Belgio perché a Rosarno in Calabria non avevo futuro», racconta un quarantenne soprannominato Galata per la somiglianza con il protagonista di una serie televisiva: «Venticinque euro al giorno per dieci ore di lavoro senza nessun diritto. Qui c'è più lavoro ma non ho ancora una vita. Senza documenti non posso salutare mia madre in Marocco prima che muoia e non posso sposarmi». Lungo la navata di fronte, isolate da una serie di pannelli di cartone, si trovavano le donne. Ibtissam, 36 anni, non ha mai rinunciato all'acqua e zucchero: «Sono arrivata in Italia a 20 anni per sposarmi. Ma dopo cinque sono fuggita da un marito che era diventato un'altra persona. Sono rientrata in Marocco e ho chiesto il divorzio. Con lui non volevo più avere nulla a che fare ma così ho fatto scadere i tempi di rinnovo del visto». Trovare lavoro per un'azienda italiana a Casablanca non è stato difficile, essere socialmente accettata, donna sola e divorziata, invece sì. «Alla fine ho raggiunto i miei fratelli a Bruxelles con mio figlio. Non sono la sola. C 'è gente che è in Belgio da 20 anni, con figli nati qui che parlano fiammingo. Perché non l'hanno mai rimpatriata? Perché alimentare false speranze? Ci sfruttano per i lavori sottopagati che nessuno vuole fare». Ahmed, fuori dalla chiesa, non si stanca di ripetere che loro contribuiscono al 3,5 per cento del Pil nazionale.

Quando qualcuno ha cominciato a rifiutare non solo il cibo ma anche l'acqua con i sali e le ambulanze hanno preso a fare la spola, la variegata coalizione di governo (che tiene insieme socialisti e verdi con liberali e democratici) ha cominciato a mostrare qualche crepa, che sarebbe diventata insanabile in caso di una morte. Così una soluzione in extremis è stata appena trovata. Alcuni funzionari garantiranno a tutti i partecipanti allo sciopero della fame una procedura accelerata di revisione della loro situazione. Non ne beneficeranno tutti ma coloro che sono in Belgio da anni, con figli scolarizzati, avranno buone possibilità di ottenere un visto temporaneo. La regolarizzazione universale, che era la richiesta iniziale degli scioperanti, non ci sarà.

«Dobbiamo anche essere realisti», dice Ahmed. Eppure il problema è proprio questo. A forza di mettere una toppa dopo l'altra, evitando una soluzione complessiva alla crisi migratoria, il Belgio, come l'Unione europea, sta costruendo muri di carta colorata. Incapaci di reggere alle infinite ondate che vengono dal mare, rischiano di mettere a repentaglio la costruzione di un'Unione forte, paladina della democrazia mondiale.

 

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