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Mondo
gennaio, 2022

In Kazakistan stiamo assistendo alle prove generali per l’intervento di Putin in Bielorussia (e Ucraina)

L’alleanza mobilitata nel paese asiatico serve a a Mosca soprattutto a ovest. In difesa del dittatore Lukashenko e degli interessi in Europa

Il paesaggio del Kazakistan d’inverno, con la neve, i grigi del cielo, le brume e il colore scuro delle divise dei soldati e dei carri armati, rimanda a un’altra epoca, a Budapest, a Praga. Ma non si tratta solo di bianco e nero dominanti, non è solo assonanza cromatica con un tempo che fu e che è ancora. Ci sono le immagini e ci sono le parole. La richiesta di aiuto ai Paesi “fratelli”, la sommossa supposta di popolo guidata da “terroristi stranieri”, la repressione sanguinosa con centinaia di morti per riportare l’ordine, la censura a qualunque media non sia di regime. Sì, è l’aggiornamento al Ventunesimo secolo della Guerra Fredda, una distopia da ritorno al futuro, grosso modo negli stessi luoghi.

 

Il nuovo Patto di Varsavia si chiama Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc). Ne fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Armenia. Ora il cemento unificante non è l’ideologia ma il mutuo soccorso in difesa di regimi a diverso grado autoritari o dittatoriali. L’alleanza, creata nel 1992, si è data un’infrastruttura militare dieci anni dopo, ed ha avuto il battesimo di campo proprio ora con la crisi kazaka. Il motore propulsivo è ovviamente il Cremlino, la volontà sottintesa è quella di impedire che fermenti democratici di qualunque tipo possano funzionare da “cattivo esempio” e dilagare mettendo in discussione l’autocrazia putiniana. Per l’atavica sindrome da accerchiamento di Mosca l’Otsc è monca sul lato ovest, da qui discendono le mire sulla fetta russofona dell’Ucraina, l’incubo che Kiev possa aderire alla Nato. Mentre sul lato est ha una profonda estensione asiatica, rafforzata anche da un accordo con l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, di cui fa parte anche la superpotenza Cina, su problemi come sicurezza, crimine organizzato, traffico di droga.

 

Come a Budapest nel 1956 quando il comitato centrale del partito comunista ungherese chiese «l’intervento delle truppe sovietiche», così in Kazakistan nel 2022 è stato il presidente Tokayev a invocare il soccorso degli eserciti alleati per stroncare una rivolta guidata, secondo la sua propaganda, da «terroristi stranieri». In realtà sarebbe in corso un regolamento di conti tra apparati della nomenklatura, tra Tokayev e il suo mentore, l’ex dittatore e padre del patria Nursultan Nazarbaev, il cui nome di battesimo è stato dato anche alla capitale dello Stato (fino al 2019 si chiamava Astana). Uno scontro non dissimile da quelli al Cremlino e nei Paesi satelliti in epoca sovietica.

 

Così come sono identiche le modalità di repressione della piazza. Nessun dialogo ma l’ordine di sparare a vista contro i rivoltosi per dare l’esempio. A cui segue l’oscuramento dei mass media perché sia solo la voce del potere a dettare la verità. Nemmeno con i social media e la loro infodemia mondiale è stato possibile per i kazaki ascoltare versioni alternative. È bastato oscurarli. Ma come al tempo «viaggiatori provenienti da est» davano conto delle malefatte, così oggi è il telefono senza fili dei testimoni a mettere in crisi le ricostruzioni di comodo.

 

Se questo è stato l’esordio militare dell’Otsc, nel futuro prevedibile si può pronosticare il suo impiego nella Bielorussia delle elezioni rubate dal dittatore Lukashenko e dove un’opposizione sconfitta con la repressione ma non annientata continua a fare sentire la propria voce e prepara la rivincita. Così come il Kazakistan, anche Minsk è spazio di influenza vitale per lo zar Vladimir Putin. Adesso ha un senso ancora più sinistro la sua frase: «la democrazia occidentale è obsoleta».

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