Il declino della democrazia nel mondo va peggiorando. In 15 anni sono avanzati nazionalismi e populismi grazie a campagne d’odio e disinformazione

Il 2022 si apre con una brutta conferma: la democrazia mondiale è in ritirata. Il 70 per cento della popolazione del globo vive in regimi autoritari o in cui i diritti dei cittadini sono in declino e solo il 30 per cento risiede in una democrazia funzionante. L’opposto di 15 anni fa.

Quelle che all’inizio del Millennio vennero esaltate come le nuove grandi democrazie, il Brasile, l’India e la Turchia, che contano insieme un miliardo e 700 milioni di persone, negli ultimi anni hanno fatto enormi passi indietro sotto il peso dei regimi nazionalisti e populisti di, rispettivamente, Jair Bolsonaro, Narendra Modi e Recep Tayyip Erdogan. In Europa, la Polonia in sei anni è passata da democrazia funzionante a regime ibrido, in cui la magistratura risponde a un governo che ha limitato diritti di base come le scelte sessuali, identitarie e riproduttive in nome del mito dell’omogeneità culturale.

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In Birmania, Paese che fino a qualche mese fa sembrava avere imboccato la strada democratica dopo decenni di dittatura militare, con un nuovo colpo di stato le divise si sono riprese il potere. Perfino la piccola Tunisia, esempio illustre di cambiamento democratico in Nord Africa all’indomani delle Primavere arabe, nel 2021 si è ritrovata con Kais Saied in un’autocrazia liberale, ovvero un regime in cui alcune libertà sono garantite a condizione che non sia messa in discussione l’autorità del capo. E che dire dell’Afghanistan, dove per vent’anni gli abitanti si sono illusi di essere sulla via della democrazia solo per ritrovarsi oggi di nuovo in una teocrazia talebana senza nemmeno la speranza come arma di riscatto?

Ma forse il segnale più emblematico viene dagli Stati Uniti: da bastione della democrazia mondiale nel 2020 sono finiti a riempire anche loro le fila di chi ha una democrazia in ritirata. Altro che statua della Libertà davanti al portone d’ingresso! Vittima delle tendenze autoritarie di Donald Trump, nonostante l’attuale presidenza di Joe Biden, permangono le ferite, dalla polarizzazione estrema della società alla limitazione del diritto di voto in alcuni stati. «La democrazia è il marchio della civilizzazione occidentale», dice Nino Dolidze, direttrice esecutiva della Società internazionale per elezioni giuste e democratiche: «Ma non tutti i Paesi che si stavano democratizzando negli anni Novanta ci sono riusciti, e poca attenzione è stata posta fino ad oggi agli stati autoritari e alla loro influenza sugli altri».

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A stare ai dati dell’istituto V-dem di Gothenburg in Svezia, il declino della democrazia liberale è accelerato negli ultimi dieci anni. È vero che stiamo messi meglio oggi di quanto non lo fossimo negli anni Settanta. Esattamente mezzo secolo fa le autocrazie dominavano il globo. Poi, grazie alla spinta propulsiva degli anni Novanta, con il disfacimento dell’Unione sovietica e l’avvento della globalizzazione, il mondo ha preso ad essere un posto migliore.

Le democrazie liberali da 20 nel 1972 sono raddoppiate a 41 nel 2010. Ma, con il nuovo millennio, è arrivata una seria battuta d’arresto a cui ha contribuito la grande crisi del 2009, che ha aumentato le disuguaglianze e inasprito gli animi, l’avvento della disinformazione mediante social media e la recente pandemia. Le democrazie liberali sono passate dai 41 del 2010 alle 32 del 2020, e rappresentano oggi solo il 14 per cento della popolazione mondiale. Perfino in Europa negli ultimi dieci anni non c’è stato nessun progresso sul fronte democratico: al contrario, Ungheria, Polonia, Serbia e Slovenia hanno tutte fatto enormi passi indietro, con la Polonia che spicca come il Paese con il declino più rapido.

A guidare il fronte delle autocrazie mondiali sono Cina e Russia. I progressi tecnologici hanno ridotto la Cina, dove il leader Xi Jinping nel 2018 ha cambiato la Costituzione per rimanere al potere per tutta la vita, a uno Stato in cui i cittadini sono permanentemente monitorati, dove nessuno gode di alcun diritto acquisito e in cui qualsiasi forma di organizzazione o movimento non governativo è impedita. Il presidente russo Vladimir Putin, che ha esteso il suo mandato fino al 2032, ha soppresso l’opposizione e ha spedito in un carcere siberiano il suo leader Alexei Navalny, premio Sacharov 2021 per i diritti umani, dopo avere tentato di avvelenarlo. Entrambi i Paesi sono diventate autocrazie assolute con ambizione di esportare il loro modello politico al resto del mondo.

«Gran parte della retrocessione democratica del mondo si deve agli sforzi di Cina e Russia», dice Stephen Nix, direttore della divisione Eurasia dell’International republican institute: «La Cina vuole soppiantare gli Usa come superpotenza e imporre i suoi standard politici e culturali. La Russia teme che lo sviluppo di democrazie nelle sue ex province le tolgano potere e influenza. Così anche lei cerca di delegittimare ogni sistema democratico».

Proprio la disinformazione attraverso i nuovi e i vecchi mezzi d’informazione è indicata tra le cause principali del declino democratico nel mondo nel rapporto 2021 di Idea, l’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale. Soprattutto nelle democrazie più giovani, dove i cittadini sono disorientati e hanno poca fiducia nelle istituzioni. Non ha aiutato la rapida diffusione dei social media, che ha reso la comprensione del reale ancora più complicata. «Occorre avere paura dei Big Tech e reagire», dice Alice Sollmayer di Defend democracy: «Utilizzano algoritmi che hanno la polarizzazione come modello di business».

Una polarizzazione sfruttata ad arte dai partiti populisti e illiberali che si sono moltiplicati nel nuovo Millennio. Si servono di discorsi basati sull’odio, in primis quello contro i migranti, per acquisire consensi facili e diffondono informazioni false nelle loro campagne, presentando la democrazia come uno strumento insufficiente ad attenuare le disuguaglianze e a combattere la corruzione. Una volta al potere iniziano ad utilizzare le istituzioni e risorse pubbliche per restarci più a lungo, limitando i diritti fondamentali.

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«I cittadini non ricevono informazioni corrette, sono manipolate, e le elezioni sono influenzate dal governo», denuncia Dolidze dalla Georgia: «Nel 2003 il mio Paese aveva deciso di staccarsi definitivamente dalla Russia e di avvicinarsi all’Unione europea ma Mosca non ha mai accettato che diventassimo indipendenti e con la sua opera di disinformazione online continua a minare il nostro futuro. L’Europa deve impedirglielo».

Dolidze non è l’unica. Sono sempre più numerose le voci di chiede alle democrazie occidentali una risposta dura contro i regimi e i comportamenti antidemocratici. Darya Navalnaya nell’accettare il premio Sacharov per il padre al parlamento europeo ha chiesto alle istituzioni europee di imporre sanzioni pesanti al regime russo per costringerlo a liberare Navalny. Lo stesso appello proviene dagli studenti rivoluzionari in carcere a Hong Kong o dai dissidenti uiguri nei campi di lavoro e sterilizzazione forzata. «Le democrazie hanno potere e devono usarlo», sottolinea al telefono Cecilia Ruthstrom-Ruin, ambasciatrice per i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto della Svezia: «Devono fronte comune per difendere i propri valori».

Non è più una questione di idealismo ma di sopravvivenza. È nell’interesse delle democrazie, fondate sugli ideali dell’Illuminismo, difendersi, sostenendo lo stato di diritto e i diritti umani. Gli stretti rapporti economici con la Cina non hanno esportato la democrazia in Cina ma hanno importato la dipendenza in Europa. «Saranno i valori a informare il prossimo ordine mondiale», dice Casper Wits, professore di politica internazionale dell’università di Leiden in Olanda. Il rischio dell’inazione di oggi è quello di svegliarci domani in un mondo che non ci assomiglia più.

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