Pechino non vuole appoggiare l’invasione ma non può schierarsi con l’Occidente. E così l’ambizione di essere sopra le parti appare incertezza e mette in difficoltà Xi Jinping

La crisi ucraina è stata osservata dalla Cina attraverso diverse fasi, che hanno finito per trascinare Pechino in un dilemma all’interno del quale si consumano strategia interne e internazionali, mentre la leadership del partito comunista procede verso un periodo politico caldissimo, ovvero il XX Congresso che si terrà a ottobre.

 

Poco prima dell’escalation ucraina Pechino aveva più volte sottolineato i suoi recenti buoni rapporti con l’Ucraina. Kiev è infatti un importante partner commerciale per la Cina: nel 2019, l’ex Celeste impero ha superato la Russia come principale partner commerciale dell’Ucraina, i flussi commerciali bilaterali nel 2020 hanno prodotto oltre 15 miliardi di dollari, l’Ucraina è la porta d’accesso cinese per l’Europa e partner formale della Belt and Road Initiative, tanto che in privato (come riportato dal Financial Times) «esperti cinesi hanno lamentato che Pechino, preoccupata di offendere Mosca, non faccia di più per sostenere un importante partner della Belt and Road Initiative». E soprattutto la Cina compra molta tecnologia militare dall’Ucraina, motori per lo più: la prima portaerei cinese, la Liaoning, fu acquistata proprio da Kiev, che di recente ha anche tradotto in ucraino il libro di Xi Jinping, presentato con grande enfasi nella capitale del paese. Una captatio benevolentiae forse neanche richiesta, ma che di sicuro ha fatto piacere all’ego del numero uno cinese.

 

La seconda fase della crisi ucraina ha portato Pechino a un avvicinamento piuttosto forte alla Russia: complice la visita di Putin alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali, Cina e Russia hanno rilasciato un documento per “una nuova era delle relazioni internazionali” oltre a sottoscrivere un nuovo accordo sul gas (Pechino era già accorsa in aiuto di Mosca nel 2014, quando venne firmato un contratto di fornitura trentennale di gas da parte della Russia, incredibilmente vantaggioso per la Cina).

 

Il documento, nel quale è evidente la firma di Xi Jinping poiché utilizza un lessico tipico dell’attuale leader cinese, ha portato ad alcune conseguenze. Da un lato la comunità internazionale lo ha letto come un patto tra i due paesi e dunque un implicito consenso da parte della Cina nei confronti delle azioni russe in Ucraina, dall’altro - all’interno del Partito - pare abbia lasciato scontenti molti funzionari, più propensi a cercare di ristabilire dei rapporti amichevoli con gli Stati Uniti, anziché affidarsi a una alleanza rischiosa con Putin (alcuni hanno messo in evidenza i tanti potenziali motivi di contesa tra i due paesi, dall’Artico all’Asia centrale).

 

Questa tendenza si è rivelata proprio nei giorni di massima tensione della crisi ucraina: poco prima che Putin annunciasse il riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, i media cinesi hanno dato molto risalto al cinquantesimo anniversario del viaggio che Nixon fece in Cina, riaprendo ai rapporti diplomatici tra Washington e Pechino. La stampa di Stato ha sottolineato “l’amicizia nella diversità” e ha ricordato, tra le righe, come l’incontro tra Nixon, Mao e l’allora premier cinese Zhou Enlai (che per Kissinger è «il politico più affascinante» che avrebbe conosciuto durante la sua lunga carriera diplomatica) portò gli Usa ad abbandonare Taiwan, la Cina ad abbandonare il Vietnam. Sullo sfondo - inoltre - la rinnovata amicizia sconquassava la precedente e mai davvero sincera alleanza tra Pechino e Mosca.

 

Per questi motivi la posizione cinese, una volta che Putin ha riconosciuto le potenze “ribelli”, è stata decisamente cauta. Una prima avvisaglia del fatto che Pechino non avrebbe appoggiato una scelta interventista di Putin era già emersa durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco: il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva sottolineato che «l’Ucraina deve essere un ponte che unisce Est e Ovest e non una linea di fronte per una competizione tra diverse potenze» e che «il principio dell’inviolabilità dei confini vale per tutti i gli Stati che aderiscono alle Nazioni Unite, l’Ucraina non rappresenta un’eccezione». Infine aveva suggellato la posizione cinese sostenendo che «sia la Russia sia gli europei e gli Usa si sono detti d’accordo che gli accordi di Minsk debbano essere la base per una soluzione: su questo bisogna ora concentrarsi». Posizione ribadita dopo l’innalzamento della tensione di inizio settimana (e già dichiarata morta da Putin, in realtà): in una telefonata tra Wang Yi e il segretario di Stato Usa Antony Blinken, il funzionario cinese ha confermato l’atteggiamento di Pechino, mentre l’inviato cinese alle Nazioni Unite Zhang Jun invitava tutte le parti «a mostrare moderazione ed evitare qualsiasi azione che intensifichi le tensioni».

 

Per la Cina la situazione è complicata: da un lato non può appoggiare Nato, Usa e Ue nelle sanzioni (per questo ha ribadito che il problema della sicurezza russa a fronte dell’allargamento della Nato esiste), dall’altro non può sostenere Mosca nella sua avventura militare, perché smentirebbe la sua politica internazionale basata sul principio di non ingerenza negli affari interni e sul mantenimento della stabilità.

 

L’impossibilità per la Cina di appoggiare in pieno la Russia su questo crinale è stata esplicitata da un giornalista cinese, Mu Chunsan, su The Diplomat in un pezzo dal titolo “Why China Will Not Support a Russian Invasion of Ukraine” nel quale ha specificato, in primo luogo, il fraintendimento americano circa “l’alleanza” russo-cinese: «Alcuni americani non hanno una chiara comprensione delle relazioni militari tra Cina e Russia. Cina e Russia non sono alleate militarmente.

 

In altre parole, quando una parte è in guerra, l’altra parte non ha alcun trattato o obbligo legale di intervenire. Questo è completamente diverso dalle alleanze militari tra gli Stati Uniti e i paesi della Nato», aggiungendo poi che la Cina deve far fronte alle pressioni e alle minacce alla sicurezza degli Stati Uniti nella regione dell’Asia-Pacifico; per questo non sorprende «che Pechino sostenga la Russia di fronte a pressioni simili. Tuttavia, questo non significa che la Cina approverebbe un’invasione russa contro l’Ucraina», perché questo violerebbe i fondamentali della sua politica estera degli ultimi 70 anni. La Cina danneggerebbe la sua reputazione e la sua immagine internazionale.

 

Secondo altri, come gli esperti di Cina Jude Blanchett e Bonny Lin, la crisi ucraina invece - come hanno scritto su Foreign Affairs - metterebbe a nudo «i limiti della politica estera del presidente cinese Xi Jinping. Le aspirazioni globali di Pechino si scontrano ora con il suo desiderio di rimanere selettivamente ambiguo e distaccato». Una bella grana per il Pcc, recapitata dall’“amico” Putin.