Guerra in Europa
I monumenti di mezza Europa si tingono di blu e giallo in sostegno agli ucraini. Ma intanto la politica centellina le sanzioni. Sapendo che è tutto quello che ha contro Putin. E che l’Ucraina cadrà. E nei corridoi i leader ammettono: «Nessuno è disposto a morire o a spendere soldi per loro»
di Federica Bianchi
La sincerità non è mai stata un'arma diplomatica. Ma l'ipocrisia dell'Unione europea di fronte all'invasione russa dell’Ucraina è dura da accettare. Devastante vedere che illuminiamo di giallo e blu il palazzo del Berlaymont, sede della Commissione europea, accendiamo le luci del sole e del cielo sugli archi monumentali di Bruxelles e sulle arcate del Colosseo. Ma che poi tra i corridoi vetrati in cui si riuniscono in un vertice urgente i leader dei 27 Paesi europei, le conclusioni sono già tirate, anche se dette fra i denti da diplomatici e porta voci.
«Nessuno è disposto a morire per l'Ucraina». «Oltre metà dei tedeschi e degli italiani dice che non vuole spendere nemmeno un centesimo per l’Ucraina». «Il presidente Zelensky sarà messo in carcere o eliminato».
E ancora: «Dopo l'Ucraina la Russia si prenderà anche la Moldavia». Insomma: nessuna speranza di salvezza. Il sogno della piazza Maidan, dove nel 2014 gli Ucraini si sono avvolti nella bandiera europea contro il regime pro-russo, dove la rivoluzione arancione ha strappato i legami con Mosca per provare a intesserli con l'Europa, è già dato per dissolto. Anzi, disintegrato dalla violenza delle bombe russe. Altro che strada della democrazia europea. Nessuno salverà gli ucraini.
Certo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen continua a lanciare dichiarazioni altisonanti in cui annuncia sanzioni straordinarie, inaudite, mai viste prima. Washington e Londra alzano la posta tanto da escludere Mosca anche dalle transazioni sulla piazza finanziaria di Londra o, sempre nel caso londinese, nel limitare l'accesso ai conti bancari da parte degli oligarchi russi. Ma Berlino e Roma (con l'ausilio di Cipro e Budapest), i cui politici negli ultimi dieci anni hanno spudoratamente legato le sorti dei due Paesi ai desiderata di Putin, frenano.
Alla fine di un vertice lunghissimo ieri notte, i 27 non solo hanno rifiutato le domande transatlantiche di escludere Mosca dal circuito dei pagamenti bancari mondiali Swift (società privata con sede a mezz'ora da Bruxelles) ma non hanno nemmeno imposto sanzioni sull'unico vero responsabile di questa tragedia contemporanea: Vladimir Putin. «Dobbiamo pur lasciarci qualche asso nella manica», affermano con voce scocciata fonti diplomatiche quando qualcuno si azzarda a chiedere: «Ma perché non ora, non tutto? Che altro deve fare Putin?».
Il non detto è che, oltre alle sanzioni, l'Unione europea non ha altro da offrire agli ucraini a casa loro. E dunque è costretta a centellinarle, come farebbe un bambino il cui unico tesoro è la tavoletta di cioccolata nascosta sotto il letto. Finite le possibile sanzioni, anche estese al punto di rottura nei confronti dei propri cittadini colpiti dall'ennesima crisi economica, altro in aiuto degli ucraini non abbiamo. E l'orrore è appena iniziato.
Purtroppo le sanzioni sono insufficienti. Non basteranno a fermare un dittatore che ha passato gli ultimi due anni a pianificare la guerra in ogni dettaglio – da quella ibrida non convenzionale a quella vera e propria, stile secolo scorso - a calcolare come riscattare la Russia da trent'anni di umiliazione per mano occidentale, dopo il crollo dell'impero sovietico.
Un dittatore che non esiterà a utilizzare i migranti come pallottole, ancora una volta dopo la Bielorussia, e non solo da Est ma anche da Sud, dall'Africa, dove ha preso a controllare enormi fette di territorio sottratte a italiani e francesi. Un dittatore che a forza di farsi selfie con i leader di mezzo mondo li ha convinti di essere un autocrate razionale, un uomo d'affari, spingendoli a legare le loro economie (e i loro interessi personali) ai suoi al punto che oggi è impossibile danneggiarlo anche solo un po' senza farci molto male economicamente. Un dittatore, infine, che ha pur sempre, nonostante tutti i round negoziali e i le giravolte della globalizzazione, ha le vecchie, terribili armi nucleari. E minaccia di usarle.
L'Ucraina non fa parte della Nato: l'articolo 5, quello che obbliga all'aiuto armato reciproco in caso di offensiva, non si applica. E, guerra a parte, non si sarebbe applicato per anni perché l'entrata dell'Ucraina nella Nato era già considerata a Bruxelles un progetto a lungo termine. Ma a fare paura a Putin ancor più dell'entrata della Nato era l'entrata dell'Ucraina nell'Unione europea, o anche solo una sua europeizzazione dei valori e degli ideali, del sistema politico e di quello sociale. Anche qui: vista l'esperienza della Polonia e dell'Ungheria l'appetito di ammettere un Paese ancora più complicato come quello ucraino era praticamente nullo a Bruxelles. Ma gli ucraini ci credevano. E si stavano progressivamente allontanando dalla storia e dalla grande madrepatria russa. Un evento inaccettabile per un dittatore convinto della grandezza sua e del suo Paese.
Oggi quelle speranze sono state definitivamente eradicate. Né giuridicamente, né economicamente, né socialmente l'Ucraina, con o senza guerriglia (data per probabile una volta che Putin installerà il suo Lukashenko ucraino) potrà per lunghi anni guardare più a Occidente. In questo Putin ha già vinto. Ecco perché fanno male le candele in strada per la pace: non hanno nessuna chance di successo.