Intervista
«Putin ha prodotto l’esatto contrario di quanto voleva e ha rafforzato la Nato». Parla l’ex capo della Cia Leon Panetta. «Ora la questione fondamentale è capire se riusciremo a proteggere o meno una democrazia sovrana»
di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni
Uno scontro tra due sistemi politici: da una parte l’autocrazia illiberale di Vladimir Putin, dall’altra la democrazia che Stati Uniti e alleati sono chiamati a difendere. È così che Leon Panetta - ex capo della Cia e successivamente ministro della Difesa durante l’amministrazione di Barack Obama - legge la crisi tra Russia e Ucraina. «Si tratta di un momento cruciale della storia che determinerà il Ventunesimo secolo, proprio come la prima guerra mondiale definì per molti versi il corso del Ventesimo», ci dice dal suo ufficio del “Panetta Institute for Public Policy” di Monterey, in California. A lungo raggio, «la questione fondamentale è capire se riusciremo a proteggere o meno una democrazia sovrana e se essa sarà in grado di reggere contro l’offensiva della Russia».
Panetta, qual è il messaggio che le mosse del presidente americano Joe Biden stanno comunicando in questo momento?
«Unità. Gli Usa e i nostri alleati della Nato sono uniti contro le azioni di Putin in Ucraina. Penso che il modo più efficace per affrontare le autocrazie, che si tratti della Russia, della Cina, della Corea del Nord o dell’Iran, sia la capacità di sviluppare una forte alleanza di Paesi che possano rendere chiaro l’intento di lavorare insieme per garantire la protezione di valori che riteniamo importanti per la democrazia. Il presidente Biden sta facendo la cosa giusta mostrando la forza degli Stati Uniti e dei nostri alleati. Questo è ciò che dobbiamo tenere a mente: se falliamo, Putin sarà una minaccia non solo per l’Europa, ma per le democrazie di tutto il mondo. Il messaggio non è solo per Putin, è lo stesso che deve essere inviato agli altri autocrati!».
Il modo in cui Biden ha condotto il braccio di ferro con Putin è riuscito a ricompattare una Nato in difficoltà ereditata dalla precedente amministrazione Trump?
«Questa crisi è stata un campanello d’allarme, ci ha fatto capire quanto fosse indispensabile lavorare insieme. Il braccio di ferro ha prodotto l’esatto contrario di quello che Putin voleva, ovvero non solo indebolire gli Stati Uniti, ma anche la Nato, il suo reale obiettivo da tempo. E invece, le sue azioni hanno rafforzato l’Alleanza».
Da ex capo del Pentagono, cosa raccomanderebbe in questo momento all’amministrazione americana?
«Gli Stati Uniti rimangano la potenza militare più forte sulla faccia della terra. Non si può esercitare la diplomazia senza potenza. E penso che gli Usa debbano ribadirlo. Siamo pronti a negoziare, ma non abbiamo paura di usare la forza, se necessario».
A proposito di diplomazia, il Segretario di Stato Antony Blinken ha riferito che non ci sarà nessun incontro con il suo omologo russo Sergey Lavrov. Pensa che l’America stia chiudendo la via diplomatica?
«A essere sinceri, credo che Putin e la Russia l’abbiano chiusa molto tempo fa, anche se hanno finto di essere interessati ai negoziati. Non ci sono dubbi sul fatto che Putin stia facendo quello che voleva fare: usare i militari per cercare di riprendere il controllo dell’Ucraina; non era disposto a condurre negoziati seri».
Le conseguenze del ritiro dall’Afghanistan, lo scorso anno, hanno influenzato la strategia di Biden in Ucraina?
«Penso, piuttosto, che Putin abbia visto la debolezza degli Stati Uniti nelle ultime quattro amministrazioni presidenziali. E ne abbia approfittato in Georgia, in Crimea, in Siria, in Libia, e con gli attacchi informatici cercando di influenzare i nostri risultati elettorali. Ha poi letto quanto successo in Afghanistan come un ulteriore segno di debolezza. Probabilmente lo ha convinto che poteva comportarsi da bullo, senza preoccuparsi che qualcuno lo fermasse».
Che peso politico avrà questa crisi per il presidente Biden sul fronte interno?
«In questo momento, le conseguenze politiche sono secondarie. È responsabilità del presidente come “commander in chief” avere un ruolo rilevante e lavorare con il resto del mondo per affrontare una situazione così pericolosa. Ritengo che sia importante per la nostra sicurezza nazionale e per la pace nel mondo che gli Stati Uniti svolgano un ruolo di leader lavorando con i nostri alleati. Ribadisco, Biden sta facendo la cosa giusta. Non c’è dubbio che gli americani pagheranno un prezzo per proteggere una democrazia sovrana e cercare di impedire alla Russia di fare ciò che vuole. La ragione per cui eleggiamo i presidenti è quella di avere una leadership responsabile quando affrontiamo una crisi».
Come sta percependo l’opinione pubblica americana questa crisi?
«Il popolo sa che l’Ucraina è una democrazia e che Putin e la Russia ne stanno sfidando l’esistenza stessa. Gli americani sono consapevoli che gli Stati Uniti, essendo una delle grandi democrazie del mondo, hanno la responsabilità di agire».
Saranno anche disposti ad accettare sacrifici come quelli che deriveranno dalle conseguenze delle sanzioni imposte a Mosca, ovvero possibili rincari di energia e materie prime?
«Credo di sì, in nome di ciò che è necessario. Ho grande fiducia nel popolo americano e in quello europeo. Certamente, ci sarà qualche disagio a causa delle conseguenze di queste sanzioni, ma stiamo facendo tutto il possibile per impedire a Putin di distruggere una democrazia».
L’Fbi ha avvertito le principali aziende Usa di prepararsi ad attacchi cibernetici da parte di agenti filorussi. Già nel 2012, come Segretario alla Difesa, lei metteva in guardia gli Usa contro una possibile “cyber Pearl Harbor”. Stati Uniti e alleati hanno oggi difese adeguate?
«Il pericolo rimane: è il campo di battaglia del futuro. Si può paralizzare efficacemente un Paese diffondendo un virus che intacchi la rete elettrica, i sistemi di trasmissione, ma anche governo e finanza. Comincia ad accadere già ora, con attacchi ransomware. Non credo che gli Stati Uniti e il mondo abbiano sviluppato un sistema di difesa sufficiente per affrontare la minaccia cibernetica. Stiamo facendo meglio, ma c’è ancora molta strada».
Se il presidente Donald Trump fosse ancora alla Casa Bianca, quale sarebbe la posizione dell’America nella crisi tra Russia e Ucraina?
«Ci sarebbe innanzitutto un’enorme confusione e sicuramente dissenso tra gli Stati Uniti e la Nato. E questo avrebbe fatto gioco a Putin».
Come valuta la presidenza Biden finora? Quali i successi e quali gli errori?
«Il fallimento è stato evidente in Afghanistan, per il modo in cui è stata condotta l’operazione. Penso, poi, che gli sia occorso tempo per aprire un dialogo con gli alleati e convincerli che avremmo lavorato con loro piuttosto che contro di loro. Joe Biden ha trovato la sua forza in ciò che sta accadendo in Ucraina. I suoi quarant’anni di esperienza nel campo degli affari esteri come senatore, come vice presidente e ora come presidente, stanno pagando. In ogni caso, credo che sia pericoloso dare i voti a un presidente dopo il primo anno di amministrazione. Molto dipenderà dalle decisioni che prenderà da qui alla fine del mandato. Se mostrerà forza ne trarrà vantaggio, un atteggiamento debole, invece, costituirà uno svantaggio».
Intanto, se alle elezioni di metà mandato del prossimo novembre il partito repubblicano dovesse conquistare sia la Camera che il Senato, l’amministrazione democratica sarebbe praticamente paralizzata.
«Se c’è una lezione che ho imparato in politica, è quella di non dare mai per scontato ciò che accadrà in un’elezione. Nonostante in questo momento secondo i sondaggi sia probabile che i democratici perdano la prossima tornata, le cose potrebbero ancora cambiare prima del voto di novembre».
Quali sono le sue previsioni sugli sviluppi di questa crisi?
«Da mesi viviamo una situazione molto pericolosa. Abbiamo probabilmente la più grande concentrazione di forze militari in Ucraina dai tempi del secondo conflitto mondiale. Basta un errore di valutazione per ritrovarsi improvvisamente coinvolti in una guerra. È uno scenario che presumibilmente potrà solo peggiorare».