Norvegia
Un tuffo tra le orche ai confini del mondo. Nel loro habitat ma da ospiti
Solo a Skjervøy, piccolo borgo tra i fiordi, i cetacei si spingono così vicino. Un’attrattiva che richiama frotte di turisti speciali, accolti dai locali tra mille avvertenze. La prima è: osservarli e non disturbare
Questo articolo è pubblicato senza firma come segno di protesta dei giornalisti dell’Espresso per la cessione della testata da parte del gruppo Gedi.
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È ancora buio quando, dopo le otto del mattino, la sua barca si avvicina alla banchina. Quel buio che soltanto una giornata di aria tersa potrà spegnere, regalando sguardi infiniti su paesaggi incorniciati in una natura immacolata. Quando fa brutto e la pioggia trafigge le onde, invece, l’atmosfera brilla del colore argenteo dei film in bianco e nero. È in mezzo a quei flutti, circondato da distese di neve e sotto un cielo dipinto d’azzurro, con il rosa e l’arancio delle albe e dei tramonti, oppure di grigio, con il vento che gela i respiri, che il capitano Per-Børre intraprende la navigazione. Cerca l’emozione di un avvistamento: sa che arriverà e sarà come sempre memorabile, ma non sa quando e neppure dove. Vicini o lontani che siano, le pinne delle orche e i soffi delle balene appaiono all’improvviso e mozzano il fiato, anche dopo anni di mare. Emergono, sbuffano l’aria e tornano a inabissarsi, in una danza al rallentatore che ammalia e ipnotizza.
Sarà per questo, per la magia che accompagna ogni uscita e per l’attesa che ne segue, con gli occhi e gli obiettivi fissi verso l’orizzonte, che d’inverno dalle sue parti confluisce gente da tutto il mondo. Non semplici turisti, perché nel piccolo villaggio di pescatori affacciato sul mar Glaciale artico, dove vive e lavora, c’è poco che ricordi i pacchetti “vacanze e relax”. A Skjervøy si va in spedizione, con il bagaglio pieno di macchine fotografiche e mute stagne. E con un solo desiderio, che poi è il sogno che accompagna i sonni e le vegli di chiunque ci si avventuri: fare il bagno con i cetacei e tornarsene a casa con uno scatto. Uno soltanto, sì, purché epico. Perché la Norvegia è uno dei pochi Paesi che consentano ancora di avvicinarli a nuoto. Altrove, ci si accontenta di ammirarli e studiarli dalla barca.
«Gli arrivi sono cominciati nel 2016, quando ci si è accorti che dall’area di Tromsø, considerata la porta d’accesso al Polo Nord, balene e orche si stavano spostando. Andavano ancora più a nord, seguendo l’aringa, di cui si nutrono e che di tanto in tanto nei fiordi muta direzione. E così, Skjervøy, che dista 250 chilometri e conta appena 2.400 abitanti, ha dovuto attrezzarsi soprattutto a livello ricettivo», racconta Per-Børre, 61 anni, di cui 40 trascorsi a lavorare come operatore subacqueo e, ora, skipper di un’imbarcazione che può portare fino a un massimo di otto persone.
La caccia delle aringhe si concentra tra novembre e gennaio, cioè nei mesi più freddi e bui in questo estremo lembo dei Paesi scandinavi. Nulla, qui, è scontato, perché a decidere è la natura con i suoi cicli: le ore di luce a disposizione sono sì e no cinque, tra le 10 e le 15, e il mare, che con 3-4 gradi di temperatura è inaffrontabile senza un adeguato equipaggiamento, è molto scuro anche in superficie e per vedere qualcosa, oltre alla maschera serve una torcia. Capita di trascorrere un’intera mattinata senza incrociare neppure un cetaceo, oppure di tuffarsi al loro passaggio, di avvertirne il canto e di perderli di vista dopo un solo batter di coda. A meno che alla fortuna non si affianchino esperienza, costanza e professione.
È il caso di Sergio Riccardo, fotografo subacqueo ed esploratore di lungo corso, che in quei fiordi ha portato già diversi gruppi di viaggiatori e che sa bene come la vera grande occasione, per coronare gli sforzi, sia rappresentata dalla bait ball. E cioè dall’incontro con la palla sferica che i pesci formano per ripararsi dai predatori e che spesso finisce invece per attrarre a calamita, a decine, proprio orche e balene. «Quello è il momento migliore per avvicinarsi e fotografarle. Sono impegnate a mangiare e le chances di farcela aumentano», spiega Riccardo. Così come aumentano rischi e adrenalina. «Era il novembre del 2016 e in acqua c’eravamo soltanto io e un mio amico istruttore di rebreather. Ci siamo rimasti per più di un’ora ed è stata in assoluto la mia immersione più eclatante: per la prima volta e a pochissima distanza dalla bait ball, assistevamo alla strategia di caccia delle orche. Ne abbiamo contate 25. I maschi scendevano in profondità e, con le pinne, colpivano le aringhe per spingerle verso la superficie e renderle così più vulnerabili. Intanto, tutt’intorno, arrivavano le femmine con i cuccioli da nutrire. Un branco enorme e uno spettacolo unico, che soltanto l’improvvisa comparsa, a sua volta straordinaria, di due megattere che, con un solo boccone, hanno inghiottito la quasi totalità delle aringhe rimaste, ha interrotto», ricorda. Dal vivo e in presa diretta, quindi. Che non è proprio una rarità, ma che lo diventa nel momento in cui convergono tutti i fattori necessari a renderla tale: luce, limpidezza, visibilità e condizioni di calma dell’acqua, oltre che dimensioni della palla e numero dei banchettanti.
«È questa estrema casualità che mi spinge a tornare ogni anno», spiega Riccardo, 58 anni, di Napoli, autore di due libri fotografici – “Ocean Life”, un viaggio lungo 35 anni, pubblicato proprio nel 2016, e “Sharks Secrets”, uscito nel 2020 – e di diversi documentari sul mondo animale, rigorosamente osservato e raccontato dall’unica prospettiva per lui concepibile: il suo stesso habitat naturale. Una filosofia di vita applicata alla professione, la sua, che gli ha permesso di entrare subito in sintonia con Per-Børre Kiserud, a sua volta testimone per trent’anni delle meraviglie della propria terra per testate internazionali, dalla Bbc al National Geographic.
«Credo che questo tipo di viaggi aiuti le persone a comprendere meglio la natura e le sue dinamiche. Un modo per educarle, insomma», dice lo skipper, passando in rassegna i gruppi di escursionisti ospitati nel tempo sulla sua imbarcazione: «Scegliere di investire soldi e ferie per venire qua, al freddo, invece che per andare ad abbronzarsi e festeggiare l’happy hour alle Canarie sta diventando sempre più popolare. E sta influenzando anche il modo di vivere di molte delle piccole comunità presenti lungo la costa: è tutto collegato al cerchio della vita ed è nostro dovere prendercene cura in modo sostenibile».
Proprio quest’esplosione di popolarità ha finito per alimentare quella che Per chiama la «bucket list»: nuotare e fare snorkeling con le orche, considerate tra i predatori più aggressivi al mondo, è entrato a pieno titolo nel novero delle esperienze da compiere almeno una volta nella vita. Ma per farlo bisogna anche sapersi adattare alle regole. «I problemi cominciano quando le linee guida, cui tutti siamo chiamati ad attenerci per garantire il benessere dei cetacei e la sicurezza dei turisti, non vengono rispettate o sono addirittura ignorate da chi conduce le barche. Durante l’ultima stagione è successo in alcune delle giornate più sovraffollate e questo non fa per niente bene alle orche, specie quando viaggiano con l’intera famiglia, piccoli compresi, che non sono ancora molto forti e che necessitano quindi di qualche sosta. Il fatto che alcuni gommoni le marchino strette è motivo di grande preoccupazione». E, alla lunga, potrebbe spingerle anche a cambiare nuovamente zona.
Socievole, ma timido e poco loquace. Così si presenta Per-Børre e così descrive il popolo norvegese. «Quando non lavoro, passo la maggior parte del tempo con la famiglia in montagna, a sciare, oppure al mare, se possibile proprio alle Canarie, per lasciarci alle spalle i lunghi periodi di maltempo che di frequente attraversano il nostro Paese. Per il resto, qui si vive bene: paghiamo molte tasse, ma non esistono sacche di povertà e l’assistenza sanitaria funziona a dovere. Del resto, l’economia gode delle entrate che, dagli anni Sessanta, derivano dall’industria petrolifera, oltre che dall’esportazione di pesce in tutto il mondo, in particolare il salmone. Soffriamo della conformazione del territorio, per buona parte montano e attraversato da fiordi profondi, ma il governo adopera un sacco di soldi per la costruzione di infrastrutture, perché ritiene prioritario mantenere collegate tutte le nostre comunità», racconta.
Ponti, tunnel e aeroporti: indispensabili pure a facilitare gli arrivi e gli spostamenti degli stranieri. Perché i Paesi scandinavi, nell’immaginario collettivo, rappresentano anche un cinema perennemente sintonizzato sulle luci del nord. In realtà, lo spettacolo dell’aurora boreale è a sua volta tutt’altro che scontato e una settimana di notti con il naso all’insù, talvolta, può non bastare a soddisfare l’attesa di un’evoluzione. Servono le condizioni. Bisogna che il cielo si apra e che la tempesta solare sia vicina e di intensità elevata. Skjervøy ne ha regalate tante di prime visioni, dal verde al violetto, anche inattese. Un privilegio, proprio come qualsiasi apparizione, da queste parti: dalle stelle che puntellano l’oscurità, agli stormi di uccelli che accompagnano i pescherecci. «Questo è uno dei pochi villaggi in cui orche e balene si avvicinano così tanto alla riva. Non avvertono pericoli e si sentono a casa. Voglio immaginare che questo equilibrio possa durare ancora a lungo», è l’augurio con cui Per-Børre saluta: «Ai norvegesi non piace vivere con troppe regole e la maniera in cui ancora possiamo rapportarci con gli animali ne è la prova. Spero che non si debba mai ricorrere all’introduzione di limiti. Ma penso, e temo, che la strada sia tracciata anche qua».