I rapporti con l’opinione pubblica. L’odio per l’Occidente. Il processo di manipolazione dell’informazione da parte del Cremlino. L’analisi del giornalista di Freedom of Speech, trasmissione che da vent’anni dà voce alle tensioni che affliggono le democrazie nell’ex Unione sovietica

«Conosco la propaganda russa. L’attacco ideologico si sta dirigendo verso la Polonia con la stessa retorica utilizzata nei confronti dell’Ucraina prima dell’invasione». Per Savik Shuster, il conduttore di Freedom of Speech, il programma che da vent’anni dà voce alle tensioni che attraversano la democrazia nell’ex Unione sovietica, la Polonia potrebbe essere il prossimo paese che Vladimir Putin colpirà. Perché rappresenta il corridoio vitale per gli ucraini da quando è iniziato il conflitto. E perché è un modo per provocare la Nato. «Aumentano i racconti che dipingono l’esercito polacco come debole, facile da sconfiggere. Pronto a scappare non appena i russi spareranno il primo colpo».

 

Shuster ha lavorato come giornalista in Russia dal 1991 finché non è stato espulso, nel 2005. Poi si è trasferito in Ucraina. Nell’ultima puntata di Freedom of speech, andata in onda a Kiev lo scorso 19 febbraio, cinque giorni prima dello scoppio della guerra, il giornalista ucraino Yuriy Butusov ha dato un pugno in faccia al politico filorusso Nestor Shufrych.

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«L’atmosfera era tagliente perché sapevamo che Putin stava per invadere, non immaginavamo quando e come. Butusov era rientrato quel giorno dalla frontiera tra Ucraina e Russia, aveva visto migliaia di ragazzi giovani, tesi, in prima linea, che si preparavano allo scontro con l’esercito di Putin. Quando Shufrych ha iniziato a parlare dell’apertura che il presidente ucraino Zelensky avrebbe dovuto mostrare nei confronti di Mosca, Butusov ha perso il controllo. Se le guardie di sicurezza non li avessero fermati si sarebbero ammazzati». Per Shuster la rissa in diretta è stata il risultato dell’alta tensione che attraversava i due paesi, più che un’anticipazione di quanto sarebbe avvenuto dopo.

 

Crede che attaccare la Polonia sia tra gli obiettivi di Putin?
«Il regime russo è impenetrabile. Ancora di più di quanto non lo fosse quello del Partito comunista sovietico. Ma dal tipo di informazione che Putin ha messo in piedi vedo che l’attacco ideologico si sta dirigendo verso la Polonia. Non sappiamo che tipo di informazione riceve dai generali sull’andamento della guerra, quali saranno i prossimi passi. Ma allargare il conflitto, colpire la Nato, visto che l’energia bellicosa della Russia si fonda sul disprezzo nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti, potrebbe essere un modo per compattare l’opinione pubblica attorno a un nemico più grande dell’Ucraina, e acquistare potenza. Ascoltando i discorsi che il Presidente russo ha fatto negli ultimi quindici anni ci si rende conto dell’odio che nutre nei confronti dell’Occidente e del suo stile di vita “perverso”. Denazificare l’Ucraina per Putin significa allontanarla dall’Unione europea, impedire che accanto al suo prenda forma uno Stato democratico. Credo che l’Europa dovrebbe prepararsi per reagire a una provocazione simile. E che neanche più un euro dovrebbe arrivare nelle casse della Russia perché sono soldi che vengono utilizzati per pagare la guerra».

 

Quindi non pensa che un cessate il fuoco sia vicino?
«Vorrei che Putin capisse che si è infilato in un vicolo cieco. Che sta distruggendo la Russia che rimarrà senza energia vitale perché i giovani o se ne vanno o muoiono nei combattimenti. Ma dubito che accadrà. Putin accetterà la pace se troverà il modo di salvare la faccia, almeno per l’opinione pubblica russa. Oppure se si formasse un fronte di opposizione interno all’esercito: il suo è un paese corrotto, così lo sono anche i militari. I generali si sono riempiti le tasche di soldi mentre i soldati non hanno più cibo e saccheggiano le città. Ma anche le condizioni di un accordo tra Russia e Ucraina sarebbero un problema molto complesso da affrontare. Zelensky è un uomo coraggioso che rispecchia il pensiero della popolazione, però, la società ucraina adesso è un insieme di fazioni armate che combattono eroicamente per liberare il paese. Non sarà facile trovare un’intesa che metta d'accordo tutti, senza scatenare il caos».

 

Gli ucraini si aspettavano la guerra?
«No, la popolazione non era pronta a una situazione simile. Chi è negli ambienti di potere invece sapeva che sarebbe stata una questione di giorni. Ma nessuno si aspettava un conflitto così ampio e brutale. Anche le capacità di resistenza dell’esercito ucraino sono state sorprendenti. Immaginavamo la forza che il movimento partigiano sta mostrando nel supportare le forze ufficiali. Se Putin ha attaccato l’Ucraina con l’obiettivo di dominare la popolazione accrescendo le differenze territoriali e culturali che sono evidenti - nell’est la cultura russa è radicata, nell’ovest l’opposizione a Putin è più forte - ha fallito».

 

Perché?
«Perché fino allo scorso 24 febbraio gli ucraini non odiavano i russi. Mentre con l’invasione un sentimento di disprezzo nei confronti del Cremlino ha unito la popolazione. Quando sono arrivato a Kiev, nel 2005, ho visto una città gioiosa, con la voglia di crescere. Poi l’Ucraina è entrata nel vortice della speculazione politica, intrighi, giochi di potere. Dinamiche usuali che hanno deluso un paese che stava cercando di diventare “europeo”. Dopo la rivoluzione arancione del 2004, Viktor Juščenko divenne presidente e Julija Tymošenko primo ministro. Sembrava una vittoria avere un presidente eletto e una leader della rivoluzione al governo, ma durò poco. Nonostante il caos politico il paese ha continuato il processo di transizione democratica e di pari passo è cresciuta l’antipatia nei confronti della Russia. Con l’occupazione della Crimea e la guerra nel Donbass, l’Ucraina è diventata un paese cupo. Ma un vero e proprio sentimento d’odio nei confronti della Russia ha preso forma solo adesso».

 

Come è cambiata, invece, l’opinione pubblica russa nei confronti dell’Ucraina?
«Mi sono trasferito in Russia nel 1991, subito dopo il golpe fallito contro Gorbachev, che ha fatto crollare l’Unione sovietica. Con Yeltsin come presidente si lavorava liberamente. Putin è cambiato dopo la crisi del teatro Dubrovka di Mosca, quando 129 ostaggi sono stati avvelenati dalle forze speciali, nel 2002. Da lì è iniziato il processo di trasformazione del Presidente russo in un fascistoide. Nel 2005, quando mi hanno tolto il permesso di soggiorno e quello di lavoro - in meno di 48 ore ho dovuto lasciare il Paese - non posso dire che l’opinione pubblica fosse schierata contro l’Ucraina, ma è iniziato un processo aggressivo di manipolazione dell’informazione da parte del Cremlino. Poi, dopo la Rivoluzione di Maidan del 2014, i giochi olimpici invernali di Sochi, l’occupazione della Crimea, sono cambiate le cose. Era lì che la Russia doveva essere fermata».

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