Iuliia Skubytska è la direttrice della sede di Kiev del War childhood museum, l’istituzione che conserva e trasmettere le loro testimonianze

L’infanzia di chi è nato dopo il 2014 in Donbass ruota attorno a proiettili e bombardamenti. «L’Ucraina ha un’intera generazione di bambini che non sa che cosa fosse la vita prima della guerra: per quelli che sono cresciuti vicino alla linea di contatto la normalità è completamente anomala». Iuliia Skubytska è la direttrice della sede di Kiev del War childhood museum, il Wcm. Risponde da Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, città dove il museo è stato fondato nel 2015 e nella quale lei si è rifugiata subito dopo l’attacco della Russia.

Al mondo circa un minore su quattro subisce gli effetti dei conflitti e la missione dell’istituzione per cui lavora Iuliia è raccogliere, conservare e trasmettere le loro testimonianze. Nel caso dell’Ucraina, avevano iniziato a parlare con i bambini e gli adolescenti coinvolti nelle ostilità in Donbass e in Crimea nel 2018. «Abbiamo registrato 160 interviste con diversi gruppi di bambini segnati dalla guerra: chi viveva vicino alla linea di contatto, chi nei territori occupati, quelli che avevano abbandonato la Crimea, gli sfollati ricollocati in altre aree dell’Ucraina dalle regioni di Luhansk e Donetsk, e i figli dei soldati. Inoltre, sono state raccolte alcune testimonianze di civili che erano minorenni al tempo della Seconda guerra mondiale», racconta la direttrice.

Ai partecipanti è stato sottoposto dai ricercatori del museo un questionario, elaborato con la consulenza di psicologi ma anche di persone provenienti dalle stesse zone di guerra. «Loro sanno quale genere di domanda può suonare offensiva, oppure strana, evitando così che sorgano incomprensioni», spiega Iuliia, precisando che gli intervistatori fanno di tutto per evitare di turbare i piccoli. Le domande riguardano la vita quotidiana: i giochi preferiti, gli amici, la scuola. «Non gli chiediamo di parlare della loro famiglia, o di qualsiasi evento tragico, se sono i nostri intervistati a voler andare in quella direzione e se l’intervistatore vede che sono a loro agio, si va avanti».

Oltre alle proprie parole ogni bambino o ragazzo coinvolto ha donato anche un oggetto che gli ricordava la guerra. Nella collezione sono presenti tantissimi peluche, abbracciati sotto i bombardamenti o in ospedale, altrettanti libri letti nei rifugi, spesso senza corrente elettrica, ma anche munizioni, proiettili. «Per i bambini che hanno vissuto la guerra sono semplicemente qualcosa che raccolgono e a volte collezionano. Li trovano ovunque, anche solo scavando un po’ nel giardinetto della cucina».

Nel giugno 2021 il Wcm ucraino ha allestito la prima mostra a Kiev e da gennaio di quest’anno lo staff aveva iniziato a portare in giro per il Paese l’archivio di storie e oggetti del museo, a cominciare dal sud, da Kherson, una delle prime città che sarebbe poi caduta in mano ai russi. Qui la la mostra è stata accolta addirittura meglio rispetto a Kiev, perché erano presenti molti emigrati dalla Crimea e le opportunità di parlare della guerra fino ad allora non erano state molte.

L’itinerario dell’archivio viaggiante è stato interrotto il 24 febbraio. Una settimana prima, Jasminko Halilovic, direttore generale del Wcm era venuto a Kiev da Sarajevo per prelevare alcuni oggetti della collezione ucraina e inserirli in un programma di esposizioni in giro per l’Europa. Il 26 febbraio Iuliia ha deciso di andare via con il suo staff. Tutti gli animali di pezza, i giocattoli, i libri, le penne portafortuna e le fotografie rimasti sono ora chiusi in casseforti di sicurezza a Kiev, assieme alla speranza che superino anche questa prova. Le interviste sono salve perché digitalizzate, e continueranno a raccontare i figli di una guerra iniziata anni fa. Per Iuliia e la sua squadra di ricercatori «è molto importante dimostrare la varietà di vissuti ed evitare la creazione di una narrativa nella quale c’è una limitata cornice di esperienze belliche. Spesso le persone pensano ciò che hanno vissuto non sia abbastanza “da guerra” e che non dovrebbero condividere le loro storie. Ma anche se sei il bambino di una famiglia che ha lasciato la città di Luhansk all’inizio del conflitto, e non hai mai visto le sparatorie, non significa che la guerra non ti abbia colpito». Stesso discorso per i molti giovani con cui hanno parlato e che hanno abbandonato la casa dove sono cresciuti. Iuliia descrive bene la sensazione di vuoto di «quando sai che non puoi tornare e non puoi riconnetterti con la città in cui sei cresciuto, anche se la odiavi». Sono ferite individuali e collettive, e superare i traumi della guerra «non è solo difficile a livello personale, ma è anche un grande problema a livello sociale perché crea divisioni e problemi nel costruire un dialogo». Ma nella mente di un bambino, di un adolescente, ogni guerra ha lo stesso impatto? «L’insegnamento fondamentale che ci offrono gli psicologi è che ogni persona reagisce diversamente a eventi traumatici»,  evidenzia Iuliia. E racconta che i ricercatori, per esempio, hanno trovato emotivamente complesso parlare con i sopravvissuti della Seconda guerra mondiale perché, per le modalità in cui è stata combattuta, i bambini di allora hanno più facilmente visto da vicino un uomo uccidere brutalmente un altro uomo. Ciò che sta accadendo in queste settimane sul territorio ucraino potrebbe avvicinarvisi. «Credo che questo genere di esperienze producano effetti su bambini e adulti. Francamente, confrontare questi livelli di sofferenza è qualcosa che nessuno dovrebbe fare».