Inchiesta

“Condividi le tue foto anonime”: ma dietro c’è una rete di pedopornografia

di Gloria Riva   28 aprile 2023

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Con la guida di un hacker, siamo entrati nelle stanze dell’orrore, che sfruttano anche scatti rubati dai profili social. E che nonostante le segnalazioni alla Polizia Postale, nessuno è riuscito a chiudere

Sono tutte stanze dell'orrore. Ma volendo esprimere una gradazione all'abominio, allora la più terrificante si chiama Secret Stars, Stelle Segrete. Sul monitor del pc compare un catalogo di bambine di nove, dieci anni al massimo: una indossa un paio di calze a rete rosse, un'altra uno striminzito abito nero, le labbra della terza sono dipinte con il rossetto e gli occhi sono prepotentemente violati da un eccesso di mascara. Non sorridono, sono serie, impassibili, guardano dritte in camera. Cliccando sulla foto di una di queste baby modelle, si aprono decine di servizi fotografici di ogni singola bambina, una carrellata cronologica di come siano passate dall’innocenza alla prostituzione. La serialità di pose e scatti lascia intendere che dietro alla macchina fotografica ci sia sempre la stessa mano, come se le bambine si trovassero all'interno di una casa di produzione, un'agenzia per aspiranti modelle. Perché non tutte le immagini sono oltraggiose, alcuni scatti sembrano destinati a riviste di moda, altre sono foto di bambine – presumibilmente accompagnate dalle rispettive madri - che si trovano lì per un ritratto professionale - da incorniciare - con indosso un abito da ballerina, da principessa, senza sapere che oltre allo scatto venduto, ci sono decine di immagini rubate e pubblicate sul dark web.

 

Guidati da un hacker informatico, L'Espresso svela una rete italiana e mondiale di pedopornografia online che, nonostante le segnalazioni alla Polizia Postale, nessuno è riuscito a spezzare.

La porta d'accesso italiana alle stanze dell'orrore si nasconde dietro la url di un sito per adulti, di cui omettiamo il nome per evitare che possa essere raggiunto. È un'esca, un portale statico il cui unico compito è traghettare gli avventori su un altro sito, Unsee. Cliccando sull’unico banner attivo, entriamo in una pagina nera, con un elenco di caratteri numerati azzurro fluo.

La sensazione è quella di trovarsi all’interno di un lungo corridoio, con decine di porte chiuse e numerate a destra e a sinistra "Album 1, 2, 3" e così via. Di solito le stanze attive sono una decina, ma durante la notte il traffico cresce e le stanze si moltiplicano, si arriva a contarne centinaia. Immaginate ora di poter entrare in ciascuna di queste stanze, cliccando sulle strisce blu numerate, e accedere così alla vita intima degli altri. Immaginate di avere fra le mani lo smartphone di un perfetto sconosciuto e di scorrere le immagini che ha scattato o ricevuto via whatsapp.

C'è un po' di tutto. C'è una signora sui sessanta, in posa, sullo sfondo ha il lungomare di Napoli. C'è una festa di compleanno, qualcuno brinda, qualcuno sta assaggiando la torta. C’è un’immagine rubata di una donna in spiaggia. C'è una ragazza sdraiata sul letto in posa sensuale: si è fatta un auto scatto che deve aver inviato al fidanzato. All'ex fidanzato, probabilmente, che per sfregio ha poi pubblicato quelle foto: un classico del revenge porn, cioè della pornografia non autorizzata. In queste stanze c'è la vita degli altri, in alcuni casi si tratta di scatti di vita normale, di bambine in spiaggia che giocano con la sabbia, di ragazze in bikini, altre sono foto a sfondo sessuale, in molti casi quelle pubblicate sono immagini rubate dai profili social di sconosciuti, da Instagram e Facebook.

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Ma chi ha pubblicato quelle foto e perché sono accessibili a tutti? Per capirlo è necessario tornare al motore di ricerca Google ed entrare in Unsee.cc, un servizio che si definisce “hosting di immagini temporanee sicuro e riservato”. Cliccando sull'icona delle informazioni scopriamo come funziona: si caricano online i propri scatti privati e in cambio si ottiene un link, ovvero una stanza, «che si può condividere con i propri amici, colleghi, amanti, clienti e tutte le altre persone con cui si ha il piacere di discutere, pianificare e scambiare opinioni».

È anche possibile decidere per quante ore la stanza può restare attiva: alla scadenza, il sito getta la chiave e le foto si volatilizzano. Tornando alle istruzioni del servizio, c'è una lista di azioni che «non si dovrebbero fare», c'è scritto: «Non violare la legislazione tedesca; non rubare contenuti da altri social media; non diffondere foto scaricate dalla pagina Instagram degli amici; non pubblicare foto di minorenni; no revenge porn; non diffamare; non pubblicare foto di persone che non sanno di essere immortalate». Tutte cose che al contrario avvengono. Il livello di privacy è zero, non solo perché il creatore dell’album virtuale può inviare il link a chi vuole, ma lo stesso Unsee offre la possibilità a tutti di accedere a quei contenuti riservati attraverso una sezione riservata del sito.

 

Bloccare Unsee e tutte le sue diramazioni è praticamente impossibile: il dominio che lo ospita è assegnato alle australiane Isole Cocos nell'Oceano Indiano e utilizza un particolare sistema che assicura l’anonimato a chi ne è proprietario. Infatti il portale nasce a Reykjavik il 20 dicembre 2012, è stato aggiornato l'ultima volta a dicembre 2022, ma il titolare è anonimo. Utilizza anche un server cloudflare, che impedisce di ricostruirne l'origine. Qualche informazioni in più proviene dall'analisi dell'indirizzo ip, che risiede in un datacenter tedesco di Hetzner, a Monaco.

 

Gli album di Unsee sono solo l'anticamera dell'orrore. Il vero abisso lo si tocca scorrendo il serpentone di chat a commento dei contenuti di ciascuna stanza. Immaginatevi che, dopo aver aperto la porta e osservato quello che ci sta all'interno, fosse anche possibile lasciare un commento e leggere quello degli altri. Così il gesto di una ragazzina che sta mangiando un gelato seduta su una panchina, diventa una fantasia maniacale di pervertiti da tastiera. Non solo, scorrendo i commenti, è un fioccare di link che rimandano ad altri siti. È qui che si apre la raccapricciante voragine della pedopornografia, accessibile in modo facile.

 

Living Doll, cioè bambola vivente, è un sito gestito da una casa di produzione di foto e videomaking: con la scusa di offrire un servizio fotografico alle bambine, che sognano di apparire principesse e ballerine, danno in pasto a pervertiti le pose meno composte: ad ogni bambina sono associate decine di set fotografici e altrettanti video. Tonnellate di immagini e filmati scaricabili si affastellano nella homepage di Flowers baby, ma anche su Unsee-party, un ulteriore braccio operativo di Unsee, dove è possibile condividere video di sesso online. Lo stesso vale per Jit che, sfruttando un sistema di chat simile a quello di Meet o di qualsiasi videochiamata, consente di condividere file e immagini, senza doverle scaricare sul proprio computer e senza incorrere in alcun reato di pedopornografia.

 

Un veloce sguardo a tanto orrore fa passare la voglia a qualsiasi genitore di pubblicare sul web e sui propri profili social l'immagine del proprio figlio. In Australia, un’apposita commissione di sicurezza pubblica, eSecurity, ha scoperto che la metà del materiale pedopornografico proviene da utenti inconsapevoli che hanno ingenuamente condiviso foto dei figli. Mentre in Francia si sta discutendo un progetto di legge per vietare la pubblicazione delle immagini da parte dei genitori. In Italia, nonostante il Garante per la Privacy sia a favore della rimozione delle immagini, il governo non ha ancora preso posizione, e il livello del dibattito si limita a commentare la moralità o meno della sovraesposizione mediatica dei figli di Chiara Ferragni e Fedez. Ma non sono solo i pargoli delle star a essere esposti: un recente articolo del Journal of Pediatrics conferma che a cinque anni ogni bambino ha oltre mille foto di sé in rete.

 

Nel caso specifico, Unsee è un ricettacolo di revenge porn internazionale, ma soprattutto italiano, per un motivo specifico: come dicevamo più sopra c’è un sito italiano, la cui url rimanda a contenuti hard, che rilancia le stanze di Unsee e lo strascico di contenuti immorali. Anche questa vetrina italiana è registrata attraverso un servizio che offre l’anonimato al titolare del dominio. Tuttavia, osservando il codice di creazione della pagina web, c'è un indizio: l'architrave su cui poggia è la homepage di un sito italiano di ecommerce all’apparenza innocuo. È di proprietà di un filmaker e informatico torinese, l’uomo conferma a L’Espresso di aver creato il portale per guadagnare dalla vendita di prodotti online, ma smentisce di avere a che fare con la rete di pedopornografia e ipotizza che qualcuno abbia infettato il sito, anche se da una verifica effettuata da L’Espresso risulta che quella url non sia stata violata.