Il medico Alaa Musa riservava un trattamento disumano a chi manifestava contro il regime. E dopo la sentenza storica di Coblenza contro il colonnello Raslan, ora spetta alla Corte di Francoforte giudicare i crimini di un altro fedelissimo di Bashar al-Assad

Fuori dalla Corte di Francoforte attivisti, avvocati e familiari di siriani scomparsi si ritrovano nuovamente con dei cartelloni e delle foto in mano. Sono passati solo pochi giorni dalla sentenza all’ergastolo per crimini contro l’umanità del tribunale di Coblenza a carico di uno dei responsabili dei servizi segreti del regime siriano, il colonnello Anwar Raslan. Una sentenza storica, quella del 13 gennaio 2022, perché la prima a carico di un uomo fedele a Bashar al-Assad. Ed ecco che già i siriani si riuniscono dinanzi un’altra Corte, sempre in Germania. Le immagini che tengono in alto rappresentano i volti di medici uccisi, fatti sparire in Siria, perché hanno curato tutti, anche soldati del regime. Hanno mantenuto insomma la promessa fatta con il giuramento di Ippocrate.

Il processo di Coblenza
La storia dell’uomo che ha fatto condannare Anwar Raslan, il torturatore di Assad
14/1/2022

Dentro la Corte invece siede un medico, Alaa Musa, che ha ritenuto di riservare un trattamento speciale a chi manifestava contro il regime in Siria. Tra il 2011 e la fine del 2012 ha obbedito agli ordini che nell’ospedale militare di Homs e poi di Mezze a Damasco - denominato dai siriani «il mattatoio umano» - avevano prescritto come andassero trattati gli arrestati. Con il bastone, i cavi elettrici, con siringhe per iniezioni letali. Il dottor Musa è stato fedele al «dottore» per eccellenza in Siria ovvero il presidente Bashar al-Assad, laureato in medicina. Dopo la caduta dei regimi in Tunisia e Egitto, la rivoluzione in Siria era iniziata nel febbraio 2011 proprio con la scritta di alcuni adolescenti su un muro di Daraa, nel sud del Paese: «È arrivato il tuo turno, Ductur!». Quei ragazzini sono stati torturati e restituiti ai genitori coi corpi martoriati.

 

Obbedendo a quegli ordini, non poteva sapere il dottor Musa che un giorno i suoi trattamenti sarebbero stati giudicati come crimini contro l’umanità da una Corte in Germania, il Paese dove voleva fare carriera. I capi di accusa sono un omicidio, 18 casi di tortura, e aver causato danni fisici e psicologici, tra cui l’ustione dei genitali a un ragazzo di 14 anni. Con lo stesso metodo ha privato anche un altro giovane della possibilità di procreare. Altri invece sono stati seviziati con strumenti medici e operati senza anestesia. Un paziente in crisi epilettica è morto. Musa gli avrebbe dato una pillola. Il fratello sopravvissuto è tra i querelanti di Francoforte. Con il sistema di dare fuoco ai genitali Musa «si vantava di aver inventato un nuovo metodo di tortura», ha detto il procuratore nel primo giorno del processo. Il dottore, allontanatosi dalla Siria è passato dal Libano prima di ottenere asilo in Germania con la famiglia. Qui, ri-ottenuta la certificazione per praticare la professione, come altri cinquemila medici rifugiati siriani, ha ripreso la sua attività come se nulla fosse.

 

«Alcuni rifugiati siriani lo hanno riconosciuto in clinica, vicino Kassel. E lo hanno denunciato alla polizia tedesca. Da lì siamo entrati in gioco anche noi». A parlare è Anwar al-Bunni uno dei protagonisti della prima storica sentenza di Coblenza. Anche lui anni fa aveva riconosciuto il colonnello Raslan e l’aveva fatto presente all’avvocato Patrick Kroker dell’European centre for constitutional and human rights (Ecchr). Da anni, Anwar al-Bunni, così come l’amico avvocato, ascoltano, in Germania e in tutta Europa, i racconti dei sopravvissuti delle prigioni siriane. Quello del dottor Musa «sarà un processo molto più complicato», avverte Kroker. «Mentre a Coblenza l’imputato era accusato non soltanto dei crimini da lui commessi ma anche di quelli compiuti nel Dipartimento al-Khatib di Damasco, nel caso di Francoforte sono solo i crimini specifici, la tortura e la violenza sessualizzata, a dover essere dimostrati e non quelli del vertice di una intera catena di comando». Se Kroker ha difeso ben 14 su 24 querelanti siriani alla Corte di Coblenza con un centinaio di testimoni ascoltati, l’Ecchr di Berlino adesso ne ha solo uno. «Il numero di testimoni a Francoforte è decisamente inferiore», ma i crimini altrettanto gravi soprattutto perché compiuti da un medico. 

 

Appartenente alla minoranza cristiana siriana, Alaa Musa, originario di Homs, ha iniziato a difendersi negando le accuse e sostenendo che lui e la sua famiglia erano in pericolo in quanto cristiani. Tra i manifestanti, ha sostenuto, si trovavano musulmani sunniti pronti a compiere delle torture orrende. Ha ammesso di aver visto gli ufficiali dei servizi segreti abusare dei prigionieri negli ospedali militari, ma nega di avere partecipato. A sentire lui non poteva far nulla per fermare le torture. «Mi dispiaceva per i prigionieri. Ma non ci era permesso di scambiare una sola parola con loro. Eravamo tutti sotto il controllo dei servizi segreti». Ancora una volta, è il Centro siriano di studi e ricerca legali a riportare tutti i dettagli del processo. A creare il Centro nel 2005 in Siria era stato sempre al-Bunni. «Quando l’ho fondato a Damasco con i miei amici e compagni avvocati, Khalil Matouq e Razan Zaitouneh, entrambi scomparsi in Siria, volevamo chiamarlo Centro per i diritti umani. Ma per non farci notare dal regime abbiamo cambiato nome. Ora operiamo da Berlino e raggiungiamo tutti i siriani. Con Coblenza e Francoforte siamo solo all’inizio di un lungo cammino».

 

Anche Al-Bunni crede che a Francoforte sarà più difficile: «A Coblenza la difesa si è trovata impreparata di fronte alla mole di documenti e testimonianze, a Francoforte invece pare che l’avvocato del medico siriano sia ben attrezzato, con un background di estrema destra e una parcella sostanziosa». In Germania come in Italia è risaputo che l’estrema destra abbia dirette connessioni con il regime di Assad in Siria. Famoso è il caso dei tour turistici di CasaPound. «Anche il governo italiano dovrebbe fare la sua parte in rispetto delle norme europee», ricorda l’avvocato Kroker, citando il caso di Ali Mamlouk, uno dei capi dell’intelligence siriana che sarebbe arrivato nel 2018 in Italia con un jet privato per un incontro con l’allora ministro degli Interni Marco Minniti e l’agenzia di intelligence. «Su di lui pende un mandato di arresto internazionale: l’Italia non ha agito come dovrebbe da Paese europeo».

 

Nonostante neghi in aula, alcuni messaggi whatsapp con funzionari dell’ambasciata siriana a Berlino provano come il dottor Musa abbia cercato di lasciare la Germania e potrebbero dimostrare che continuava a lavorare da informatore per il regime. Come Coblenza anche il processo di Francoforte è reso possibile dal principio della giurisdizione universale: permette ai Paesi che lo hanno scritto nella Costituzione di perseguire i più gravi crimini contro il diritto internazionale in qualsiasi parte del mondo. Coblenza ha scavato a fondo nel sistema di tortura e di detenzione, questo secondo processo farà luce su un altro pezzo del puzzle dei crimini di stato siriani: il ruolo speciale che medici e ospedali hanno giocato nel punire l’opposizione. 

 

Come Anwar Raslan ha usato l’argomento di essere musulmano sunnita e quindi ritenuto inaffidabile dal regime, anche Musa utilizza l’argomento di essere un cristiano perseguitato e per questo finito sotto processo. Nella stessa città dove prova a difendersi, tra il 1963 e il 1965 si è svolto lo storico processo di Francoforte noto come “secondo processo di Auschwitz”. Tra i 22 imputati allora figurava anche un infermiere e responsabile medico delle SS. «Non è una coincidenza che questi processi si svolgano in Germania», conclude Patrick Kroker. «La giustizia criminale internazionale ha le sue origini nel Processo di Norimberga. Non c’è una connessione diretta con Coblenza o Francoforte oggi, ma questo spiega perché la Germania è tra i paesi più attivi nelle indagini di crimini internazionali». Anwar al-Bunni con gli occhi lucidi di fronte la corte di Coblenza aveva affermato che la porta per la giustizia dei siriani sembrava sbarrata. «Ma i siriani l’hanno spalancata con un calcio».