«Lavorano solo i cantori del regime. Il primo contro di me? Vladimir Soloviev, che a volte ospitate anche nelle vostre tv». Intervista alla vicedirettrice di Ekho Moskvy. Che ora ha deciso di andarsene: «Si rischiano fino a 15 anni di carcere. Tornerò quando potrò dire la verità»

Quando nell’ottobre del 2017 fu accoltellata alla gola da uno squilibrato dopo che la tv di stato l’aveva definita «traditrice della patria», Tatyana Felgenhauer - Tania per gli amici - non pensò nemmeno per un attimo di smettere di fare il suo mestiere di giornalista in Russia. Ancora convalescente, si presentò alla conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin e gli fece una domanda che era un j’accuse sull’utilizzo a scopo politico dei tribunali da parte del regime e degli amici del presidente. In pochi hanno mai osato tanto. Adesso però Tania ha deciso di scappare dalla Russia. Proprio perché ama il suo mestiere.

 

«Il giornalismo qui è stato messo fuori legge», dice a L'Espresso. È il suo ultimo giorno a Mosca. «È casa mia, non vorrei lasciarla», spiega. «Ma la situazione sta peggiorando di giorno in giorno». Le minacce si sono fatte più frequenti. Il rischio più concreto, quello del carcere: fino a 15 anni se si raccontano cose diverse dalla narrativa ufficiale sulla guerra in Ucraina. «Al momento la mia professione è bandita. E io non so vivere senza la mia professione. Se voglio continuare a fare la giornalista, non posso che andar via».

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La fine di Ekho Moskvy
All’inizio di marzo le autorità hanno ridotto al silenzio Ekho Moskvy, la popolare radio moscovita di cui Tania Felgenhauer era la vicedirettrice e una anchor di successo. Lei ha continuato a condurre i suoi programmi su YouTube, che i russi possono ancora guardare se dispongono di un’applicazione Vpn per saltare il blocco imposto dalle autorità. «Ho fatto di tutto per seguitare a lavorare nel mio Paese. Semplicemente non è più possibile». È che nei suoi programmi Tania la guerra in Ucraina la racconta com’è. E la chiama guerra, non “operazione militare speciale”. La galera è dietro l’angolo. Se non di peggio. Un post recente dello “scrittore combattente” Zakhar Prilepin contro di lei è quantomeno inquietante. Prilepin è noto, tra le altre cose, per vantarsi del gran numero di ucraini uccisi dal suo reparto di irregolari durante gli scorsi anni nel Donbass.

 

Un “fan” indesiderabile
«Ormai devi per forza far parte del coro propagandistico. Non ci sono altre opzioni», dice Tania. I propagandisti di Putin la attaccano da anni. «Un mio grande “fan” in questo senso è Vladimir Solovyov (ride di gusto, ndr)». Solovyov è il presentatore televisivo che, vestito come il dittatore di un film distopico, evoca la guerra nucleare alla tv russa, ha proprietà sul lago di Como - oggi “congelate” causa sanzioni personali - e viene talvolta invitato nei talk show italiani. «In un suo programma del 2017 - ricorda Tania - fui additata come nemica della Russia, una che aveva venduto la sua patria. Cose simili furono dette anche in un altro programma. Poco dopo ci fu l’attentato contro di me. Ma so per certo che fu solo una coincidenza».

Propagandisti e criminali
Di sicuro la pubblicità di Solovyov non creò il clima migliore. «Ma non è stata né la prima né l’ultima volta che ha detto cose maleducate e offensive nei miei confronti», commenta la giornalista. «Certo che non è bello quando la propaganda parla di te in ogni momento e ti descrive al pubblico come il nemico. Non è mica normale». Ora Tania è seria. «Il fatto è che i cosiddetti giornalisti dei media di stato, che non considero certo miei colleghi, oggi non sono altro che criminali di guerra. Perché questa narrativa dell’odio è parte integrante dell’attacco all’Ucraina. I propagandisti del regime sono responsabili di questa guerra quanto Putin». Solovyov compreso.

 

Il coraggio di raccontare
Per il suo lavoro e per i rischi corsi, Tania Felgenhauer fu nominata - insieme ad altri - “Persona dell’anno” da Time nel 2018. C’è sempre voluto fegato ad essere giornalisti in Russia. Da quando Putin è al potere ne sono stati ammazzati 25, secondo i dati della commissione per la protezione della categoria (Cpj). E in 21 casi non si è risaliti al colpevole. Evidentemente si indaga poco. Le minacce per Tania arrivano soprattutto dai social. Anonime o firmate. «Ne ho sempre ricevute. Ma da quando abbiamo attaccato l’Ucraina sono di più». Con che coraggio, appena dopo l’attentato subìto, andò a dire a Putin che Igor Sechin, capo del colosso petrolifero Rosneft, e Ramzan Kadirov, leader della Repubblica cecena, usano la giustizia russa per fare i loro comodi. E che Alexey Navalny è innocente? «Ah, quello non fu coraggio, è solo che ero parecchio arrabbiata». Ride di nuovo, divertita. «Così ho approfittato dell’occasione. Avevo un microfono, eravamo in diretta. Milioni di telespettatori. E gli ho fatto una ramanzina. Tanto sapevo che non avrebbe mai risposto a una vera domanda».

 

Dagli al traditore
Il 16 marzo scorso il presidente ha detto che i russi sapranno sempre distinguere i patrioti dai traditori, e che questi ultimi sono «da sputar via come moscerini». Tania Felgenhauer non si sente un moscerino. «Putin con quelle parole ha voluto innescare un conflitto nella società. Lo ha fatto perché quando le cose non vanno bene conviene puntare il dito su qualcuno, così la gente le colpe le cerca altrove. Comprensibile, dal suo punto di vista. E molto pericoloso». Coinvolgere la popolazione nella delazione e nella caccia ai “traditori” fa parte del nuovo corso con cui il regime, soprattutto negli ultimi tre mesi, ha cercato di mobilizzare la società e di stringere la popolazione intorno alla bandiera. Una caratteristica dei regimi totalitari, diceva il sociologo e politologo Ralf Dahrendorf.

 

Totalitarismo ed emigrazione
«Il sistema sta effettivamente diventando totalitario», commenta Tania. «Il livello della repressione è aumentato. Soprattutto, non si vuole più solo un supporto passivo. I russi adesso devono dimostrare di sostenere apertamente il regime. Agire in suo favore. Da tutto questo sta scappando Tania Felgenhauer. Insieme a tanti altri. Almeno 300.000, secondo un calcolo fatto in aprile dalla Ong Ok Russians, che aiuta gli emigrati. Sono soprattutto professionisti, imprenditori e intellettuali. Entro la fine di maggio, saranno partiti oltre 150.000 ingegneri informatici , ha detto alla Duma, la camera dei deputati russa, un’associazione di categoria. È il 10% del totale. Per i giovani, agisce il timore di esser chiamati alle armi. Più in generale, è una fuga dall’auto-isolamento e dalla mancanza di libertà e di futuro a cui lo zar sta condannando la Russia. È il maggior esodo che si sia visto dai tempi della Rivoluzione bolscevica, quando partirono forse due milioni di persone. È uno dei maggiori effetti immediati della guerra di Putin. E non si tratta di moscerini.

 

«Amo il giornalismo»: paure e speranze di Tania
Tania Felgenhauer non dice dove andrà. Motivi di sicurezza. «Ho qualche offerta ma ancora non so cosa farò. Ho piani solo per la prossima settimana», si schernisce. «Certamente continuerò con i programmi su YouTube». Cercherà di cambiare le cose a casa da fuori, come facevano gli emigrati del periodo sovietico? «Non sono un’attivista politica, sono una giornalista», risponde. «Non sarà facile per me. Ho paura che non avrò più il polso del mio Paese. Qui posso fare una passeggiata e osservare, capire l’umore della gente, l’atmosfera. Ho paura che quando sarò via perderò tutto questo. Per il mio lavoro devo vedere quello che poi descrivo. Conoscere davvero quello di cui parlo. Non vorrei diventare un’emigrata che vive di ricordi. Non so come andrà. Ma so che amo il giornalismo. Ho iniziato a lavorare a Ekho Moskvy quando ancora andavo a scuola. Questa sono io. Non potrei essere nient’altro. Quindi ora devo andare. E tornerò solo quando in Russia ci si potrà esprimere liberamente, e dire la verità».