Intervista

Diane Derzis: «Le mani sull’aborto negli Usa? È spaventoso ed è solo l’inizio. Ora le donne ricominceranno a morire»

di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni   6 maggio 2022

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«Tenete tutti alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque» dice la proprietaria dell’unica clinica in Mississippi in cui si pratica l’interruzione di gravidanza. E che è al centro del caso su cui si è espressa la Corte Suprema. «Sono quarant’anni che ci minacciano in nome di Dio, ma non mi fermerò»

AGGIORNAMENTO 24 GIUGNO 2022: La Corte Suprema Usa ha abolito la sentenza Roe v Wade che garantiva il diritto di interrompere la gravidanza a livello federale e in vigore da 50 anni. Ora ogni Stato potrà legiferare sul tema

 

«Ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo. Ora ci siamo e non so se sono pronta. È spaventoso». Diane Derzis scandisce bene l’aggettivo con la voce roca: «spaventoso». Vuole che afferriamo la portata del terremoto sociale che sta scuotendo gli Stati Uniti. «Se la Corte Suprema dovesse davvero confermare il ribaltamento della Roe contro Wade, in una nazione avanzata come l’America molte donne ricominceranno a morire perché non potranno accedere in sicurezza a una procedura medica che è stata disponibile negli ultimi cinquant’anni. Saranno costrette di nuovo agli aborti clandestini o dovranno fare le valige e viaggiare».

Derzis è proprietaria dell’unica clinica che in Mississippi - uno stato di tre milioni di abitanti – pratica l’interruzione volontaria di gravidanza. È lei la donna che da oltre quarant’anni, schivando picchetti di manifestanti imbufaliti e trappole legislative non meno rabbiose, accudisce l’autodeterminazione delle donne del sud conservatore. «È il 2022 e stiamo tornando indietro» sbotta sconfortata quando la raggiungiamo al telefono. È esausta, sono giornate di fuoco. Il suo ambulatorio, la Jackson Women’s Health Organization, è al centro del caso che la Corte Suprema sta esaminando, ovvero la costituzionalità di una legge del 2018 dello Stato del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gestazione. La decisione è attesa tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. È molto probabile che Derzis perderà. E questa sconfitta, dai confini del Mississippi si espanderà a tutta l’America. Nei giorni scorsi, infatti, il sito Politico ha reso pubblico un documento in bozza a firma del giudice conservatore Samuel Alito sul parere della maggioranza delle toghe che ripudia la Roe contro Wade. Se questa sentenza storica - che dal 1973 garantisce il diritto di aborto - dovesse veramente cadere, in assenza di una legge federale in merito, la decisione sarà completamente rimandata agli Stati.

Abbiamo davanti un’America spaccata: da una parte ci sono gli Stati democratici che proteggeranno l’aborto in tutti i modi; l’altra metà, quella più conservatrice, è pronta a vietarlo o a limitarlo pesantemente, incluso il Mississippi, ma anche ad esempio il Texas e l’Oklahoma. Che ne sarà della sua clinica?
«Ci trasferiremo. Ho comprato una struttura in Nuovo Messico dove questo diritto è protetto, stiamo allestendo l’ambulatorio. Di sicuro non mi fermerò. Bisognerà raccogliere fondi affinché le donne possano viaggiare in altri Stati. Tra queste ci sono tante persone che non hanno disponibilità economiche; le più vulnerabili, ovvero donne di colore in condizioni di povertà che di certo non possono permettersi un biglietto aereo per New York. È la parte più triste di questa storia. Dovremo lavorare sul fronte legale. Mi aspetto anche arresti, perché in alcuni Stati sarà proibito andare ad abortire fuori. Mi auguro solo che tutto ciò svegli la gente».

 

Cosa risponde a chi, come Alito, sostiene che nella Costituzione non ci sia cenno all’aborto come diritto?
«È un argomento ridicolo. Gioverebbe ricordare che le uniche persone menzionate nella Costituzione sono gli uomini. Non le donne, né i neri. La carta originale non permetteva agli afroamericani di votare. La verità è che puntano al controllo delle donne. Ci vogliono fuori dalla forza lavoro, sperano di tornare indietro a quando non avevamo scelta».

 

Cosa controbatte a chi ritiene di proteggere la vita?
«Non credo che gli importi dei bambini. Se fosse così, finanzierebbero programmi per prendersene cura. L’unica preoccupazione è quel che accade prima della nascita. Non c’è empatia, non capiscono che una parte dell’America non è come loro.

Pro-life contro pro-choice, in questo Paese il confronto non è sempre solo dialettico.

Le minacce non mancano. Nel 1998 hanno ucciso una delle guardie della mia clinica a Birmingham in Alabama. Ho visto in prima persona cosa sia capace di fare questa gente in nome di Dio. Ma Dio non ha niente a che vedere con questa violenza.»

A novembre ci saranno le elezioni di metà mandato. L’aborto è uno dei temi più divisivi in questo Paese, cosa si aspetta alle urne?
«Spero che lo sconvolgimento di queste settimane spingerà la gente ad andare a votare per blindare la maggioranza al senato e permettere l’approvazione del Women's Health Protection Act che garantisca l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. Biden ha detto molto chiaramente che è pro-choice ma può fare poco da solo. Vorrei avere fiducia nel popolo americano, ma non ce l'ho».

 

Il 70% degli americani pensa che sia una scelta che andrebbe lasciata alla donna e al suo medico. Le proteste e l’opinione pubblica potrebbero portare la Corte a un ripensamento?
«No, credo che sia la posizione finale. Non vedrò mai l’aborto legalizzato in tutto il Paese ed è una cosa terrificante».

 

Cosa farà l’America progressista nelle prossime settimane?
«È bene che sia in allerta. Il timore più grosso è che questa lotta contro l'aborto sia parte di un movimento più ampio. È tutto legato insieme: diritti delle donne, delle minoranze. È solo l'inizio. Credo davvero che siano in pericolo anche la comunità Lgbtq, il matrimonio e le adozioni gay. Siamo a un bivio della nostra storia. Credo anche che tutte le nazioni progressiste debbano tenere alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque».