Bombardato, incendiato e saccheggiato nel 2003 è stato riaperto dagli artisti. E una pièce di Dario Fo ricorda quanto la corruzione sia un male comune

Nella sala di teatro da seicento posti al completo, risate con le lacrime si mescolano a lacrime di commozione. Chi si tiene la pancia per il ridere, chi vorrebbe applaudire a ogni battuta. Qualcun altro trattiene il fiato, con le mani giunte sulle labbra, si guarda intorno e stenta a crederci. È il pubblico affezionatissimo, incontenibile e gioioso del teatro al-Rasheed di Baghdad, riaperto alla città dopo oltre diciotto anni lo scorso novembre. La sua chiusura era stata delle più sconvolgenti e brutali: bombardamenti a tappeto da parte dell’aviazione dell’esercito americano che nel marzo del 2003 ha occupato l’Iraq, seguiti da un incendio che ne aveva distrutto il palco e saccheggi che hanno disperso il suo patrimonio. Una perdita enorme del materiale di archivio di cinema e teatro iracheno, ma anche, o forse soprattutto, un colpo al cuore per il pubblico iracheno. Fondato nel 1981, il teatro al-Rasheed di Baghdad è stato per due decenni il teatro icona non soltanto in Iraq ma in tutto il Medio Oriente. Dai giovani studenti portati con le scuole, ai grandi intellettuali, aspiranti scrittori, artisti ma anche dai comuni cittadini di diverse classi sociali, il teatro sulla via Haifa, a due passi dalla sponda occidentale del fiume Tigri, ad al-Karkh, è stato considerato un monumento culturale inciso nella memoria di diverse generazioni di iracheni e teatranti dei Paesi vicini e lontani. Adesso gli è stato restituito.

Alessio Mamo

«La sola notizia della sua riapertura mi ha reso felice», dice Akram Assam, 37 anni, ricercatore, regista teatrale, tra i fondatori del gruppo di artisti indipendenti Tarkib, a Baghdad. Dopo aver lavorato per sei anni al Teatro nazionale di Baghdad, Akram si è trasferito ad Amsterdam per un master e lì è rimasto per continuare la sua pratica teatrale basata sulla ricerca, sugli effetti della guerra nel corpo e nelle menti delle persone, nella sua città e nel suo Paese di origine. «Ricordo benissimo da bambino, alle elementari, le commedie e le tragedie al teatro al-Rasheed. Ho iniziato l’università nel 2002, un anno prima dell’invasione americana, e mi sono laureato dopo quel fatidico 2003. Allora come oggi non c’era un istituto o accademia specifica per studiare teatro e quindi mi sono iscritto all’accademia delle Belle Arti dove ci sono i vari dipartimenti, tra cui teatro. Ho scoperto che era quello che mi piaceva fare e non ho più smesso. La felicità della riapertura è di certo legata alle mie memorie, ma lo è per tutti gli iracheni».

 

Ali Abbas, manager generale del teatro, è invece rimasto a Baghdad in tutti questi anni, sia prima che dopo la guerra. «La distruzione del nostro teatro-icona è ben documentata da foto e video. Chiunque lo abbia visto in quello stato, non ha mai creduto che la ricostruzione fosse possibile», racconta Ali, proprio in apertura del Festival internazionale del teatro. «Dicevano che chi pensava di ricostruirlo era pazzo. Ma con lo sforzo del direttore della casa del cinema e del teatro, gli impiegati, i lavoratori, con la grandezza e lo sforzo individuale e collettivo di chi ama l’arte, siamo riusciti a ridargli vita. Eccolo, come lo vedete, possiamo ospitare pièce di teatro da Iraq, Siria, Germania, Algeria, Italia, Oman, Francia, da tutto il mondo». Camminando tra le foto di una mostra allestita all’ingresso, indica le foto dei bombardamenti, il fuoco delle fiamme e le pellicole ridotte in cenere. Dal suo racconto viene fuori la storia di un uomo, eroe silenzioso nella distruzione della guerra.

Alessio Mamo

«Salman è uno degli impiegati che ha sempre lavorato al teatro Rasheed al punto che viveva qua, nello stesso edificio, con la sua famiglia. Ha salvato buona parte delle pellicole non incenerite ed è riuscito a metterle in salvo. Oggi si trovano protette nella Green Zone, all’ambasciata francese. Quell’uomo è l’eroe di al-Rasheed».

 

Diverse le teorie sulle origini del teatro in Medio Oriente. Per alcuni studiosi è l’Antico Egitto, con i suoi rituali faraonici, il luogo in cui emergono le prime forme teatrali e nelle culture antecedenti all’avvento dell’Islam, con le loro danze, le musiche e i ritmi dei versi delle poesie. Per l’archeologo iracheno Fawzy Rashid (morto nel 2011) è proprio l’Iraq invece la culla del teatro. Uruk, la città sumera risalente al 4000-2000 a.C., è il sito dove insieme ad archeologi tedeschi è apparso il primo testo teatrale. Così la pensa anche lo scrittore e regista iracheno Yosif al-Ani che argomenta come le origini del teatro siano presenti nella mitologia di Gilgamesh, datata 2000 a.C.

 

Quello su cui senza ombra di dubbio concordano è che bisognerà aspettare il Novecento per una vera rinascita del teatro in senso moderno e in particolare nella seconda metà quando dopo la rivoluzione irachena del 1958, e dunque a partire dagli anni Sessanta e Settanta, molti studiosi di teatro vengono inviati nel Regno Unito, nell’Unione Sovietica, in Romania e in Germania, per studiare teatro e portarlo poi nelle accademie irachene. Il teatro in tutta l’area acquisirà subito una sua specificità, trovando nel teatro dell’assurdo una sua particolare forma di applicazione. Ma «nonostante le diverse creazioni originali», lamenta Akram, a cavallo tra la vecchia e nuova generazione di teatranti, e formatosi tra Amsterdam e Baghdad, «le istituzioni e l’insegnamento sono dominate da un teatro classico, di ispirazione shakespeariana e non solo, e fanno fatica a fare emergere i nuovi modi di fare teatro».

Alessio Mamo

Le ispirazioni da tutto il teatro del mondo porta in scena ad al-Rasheed anche Dario Fo, tramite la pièce reinterpretata da una compagnia siriana col nome “Supermarket”, dall’originale “Non si paga! Non si paga!”. Il titolo originale risuona nel testo in arabo in forma di voce e urla di protesta. «Questa pièce si adatta a tutti i Paesi e tutti i tempi dove c’è corruzione, aumento dei prezzi, inflazione, insomma rispecchia perfettamente il nostro tempo, sia in Iraq che in Siria», afferma Khosnav Zaza, attore e assistente alla regia dello spettacolo. «La povertà causata dalla corruzione e dal malfunzionamento dello Stato porta le persone a rubare: nello spettacolo vediamo i cittadini costretti a rubare in un supermercato, si riempiono le borse, la pancia. Ma i veri ladri sono proprio quelli che li rincorrono, tentando di acciuffarli, li ritengono colpevoli. Poliziotti e governanti corrotti». Nonostante la censura in Siria, dove la compagnia e dunque Khoshnav operano, questa pièce da Damasco è arrivata a Baghdad, non di certo ostacolata dal vicino iracheno che ha sempre mantenuto relazioni col regime siriano. «La corruzione è presente come tipologia e non con esempi precisi, potrebbe svolgersi in Italia o in un Paese africano. Ma la censura sa che è la nostra realtà, che è la verità, non una bugia o messinscena teatrale. Che ci riferiamo a loro. Baghdad in questo non è diversa da Damasco».

 

Dopo le elezioni anticipate dell’ottobre 2021 che ha visto la coalizione di al-Sadr ottenere la maggioranza dei voti, in Iraq non è stato ancora formato un governo, stallo che aumenta il senso di instabilità politica nel Paese fortemente colpito negli ultimi anni dal conflitto contro l’Isis, milizie filoiraniane criminali, crisi climatica ed economica. Ma alla base dei problemi e tra le trame di tutti i poteri, rimane proprio il sistema di corruzione e settarismo che paralizza il funzionamento dello Stato e contro cui milioni di cittadini si sono rivoltati nella rivoluzione d’ottobre del 2019. Le loro istanze sono ancora vive e incrociano tutti i settori, dalla lotta per la protezione dell’ambiente a quella per la cultura.

Alessio Mamo

A riprova di come il sistema di favoritismi e assenza di interesse per il bene comune colpisca tutti, anche il teatro al-Rasheed non ne è esente. A gennaio, a pochi mesi della riapertura, il ministero delle Infrastrutture ha dichiarato che avrebbe chiesto la demolizione del teatro al-Rasheed con il pretesto che la sua costruzione è avvenuta senza le autorizzazioni necessarie e che il terreno su cui si trova il teatro appartiene allo stesso ministero. Il sindacato degli artisti iracheni, scioccato dalla notizia della possibile demolizione dopo la ricostruzione, ha invitato tutte le alte cariche governative a intervenire per garantire l’esistenza del teatro di fama internazionale e per trasferire la proprietà dal ministero delle Infrastrutture. «Non mi stupisce, qualche tempo fa era il grande Hotel Mansour, lì di fronte, a reclamarne la proprietà», commenta Akram: «Se al-Rasheed ha visto la ripresa delle attività in questi ultimi mesi bisogna ringraziare i teatri vicini, al-Rafiden e il Teatro Nazionale, che hanno cercato gli sponsor tra gli attori più famosi per creare le condizioni per la riapertura».

 

Insomma ancora una volta sono i cittadini iracheni a muoversi perché si possa aprire il sipario, a riempire la sala e a provare a far sì che si chiuda solo per la fine dello spettacolo.