El Presidente Shuaib Khan, il capo della gang che terrorizza Copenaghen

Il leader di Loyal to familia è nato in Europa ma non ha la cittadinanza. Scarcerato, è stato spedito in Pakistan, paese d’origine del padre, per sei anni. Ha provato a opporsi, poi è sparito

Un uomo è in ginocchio, illuminato dai fari di un auto. Intorno è buio. Musica trap in sottofondo. Arriva un ragazzo con una maglietta bianca. Spara un colpo di pistola alla nuca dell’uomo inginocchiato, si volta e se ne va. Sulla sua schiena risalta un teschio nero con due pistole puntate.

 

Questa scena non è reale, è un video di una sessione personalizzata del videogame Grand theft auto. È stato caricato su YouTube da un canale danese alcuni mesi fa. Il simbolo sulla maglietta del killer, però, è autentico. È il logo di una delle più pericolose gang di strada in Danimarca, Loyal to familia (Ltf).

 

Ltf viene fondata nel 2012 a Nørrebro, quartiere di Copenhagen, da alcuni ex membri della gang di Blågårds Plads. Come ricostruito nel saggio Radicalisation dal sociologo Farhad Khosrokhavar, leader di questa gang era Abderrozak Benarabe, jihadista danese con alle spalle una condanna per aggressione e ricatto. La sua banda aveva partecipato a una guerra fra bande di bikers e gang di immigrati per il controllo del mercato della droga.

 

L’avvento del “brand” Loyal to familia segna un punto di svolta. A pochi anni dalla fondazione, Ltf diventa una delle più grandi gang di strada in Danimarca. Secondo il kriminalregistret, i suoi membri sono stati accusati di omicidi, minacce contro testimoni, traffico di droga e danneggiamenti. I dati più recenti parlano di 372 membri della gang condannati a scontare un totale di 1.409 anni in prigione. Un numero considerevole, se paragonato a quello degli affiliati a tutte le gang di strada nel Paese: non più di 1.400 nel 2013, riporta uno studio del ministero della Giustizia.

A causa della sua pericolosità, Ltf è stata dichiarata illegale nel 2020 dal tribunale della città di Copenhagen. L’istituto di ricerca Fafo di Oslo, ha sottolineato come questa sia stata la prima volta in cui la Danimarca ha sciolto un’associazione per aver operato illegalmente. La sentenza è stata confermata nel 2021: «La Corte suprema ha deciso che Loyal to familia non può più esistere, è stata messa al bando, perché era una organizzazione che operava in modo violento», spiega l’avvocato Henrik Stagetorn, già presidente dell’Associazione nazionale degli avvocati.

 

Un memorandum della polizia ricostruisce le caratteristiche di questa gang: «I membri del gruppo spesso usano vestiti, emblemi, segnali, colori o tatuaggi per mostrare la loro affiliazione». Ltf ha una struttura gerarchica, e il suo leader «viene chiamato El presidente».

 

Nella sentenza che ha sciolto la gang è stato ricostruito come è stata scoperta l’identità di El Presidente. Durante una perquisizione nel 2013, la Polizia trova l’«organigramma» di Loyal to familia. Il documento attesta che «“Shebi” aveva un ruolo centrale nella direzione» della gang. Shebi è un cittadino pakistano nato in Danimarca nel 1986. Il suo vero nome è Shuaib Khan e non ha mai ottenuto la cittadinanza danese per le stringenti regole del Paese scandinavo.

 

Dieci anni in prigione
«Non l’ho mai incontrato di persona. Ma Shuaib Khan è il leader di Loyal to familia», conferma l’avvocato Stagetorn. Figlio di Wallait Khan, un ex politico locale, dopo un decennio di crimini, Khan viene espulso nel 2018 per sei anni. Il suo appello presso la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) è stato rigettato a gennaio 2021. Tuttavia, per capire in che modo i giudici danesi sono arrivati alla richiesta di espulsione bisogna tornare indietro di quasi vent’anni.

 

Khan non è ancora maggiorenne quando commette il suo primo reato: porto illegale d’arma da taglio. Da questo momento, si legge nella sentenza della Cedu, viene condannato altre tredici volte. Violenza, possesso di droga, guida senza patente, furto, aggressione, «tentativo di impedire l’arresto di una terza persona». Il Servizio immigrazione ha calcolato che Khan «ha scontato un totale di 3.644 giorni di carcere», pari a «un terzo della sua vita in Danimarca».

 

L’accusa più grave arriva nel 2008: «Violenza fatale». Khan viene condannato a otto anni di prigione, ma «la richiesta di espulsione viene respinta» dalla Corte distrettuale. Una nuova richiesta viene rigettata nel 2013, quando il leader di Ltf è di nuovo sotto processo per violenza. Due anni più tardi, in prigione, Khan aggredisce un altro detenuto, «insieme a sei complici durante l’ora d’aria». Ancora una volta l’ordine di espulsione viene «sospeso» e, a marzo 2017, El presidente esce di prigione.

 

Passano pochi mesi e il conflitto fra bande esplode nel distretto di Nørrebro, Copenhagen. Loyal to familia si scontra con una gang rivale, i Brothas. Un rapporto del Flemish peace institute parla di quattro persone uccise e venti ferite in quaranta scontri a fuoco. Il conflitto, nota il report, sarebbe «una guerra per il territorio tra bande criminali, in competizione per una quota del mercato illegale della cannabis».

 

Le sparatorie mettono in pericolo i residenti e la polizia istituisce le cosiddette visitationszoner. Sono aree in cui chiunque può essere perquisito, sulla base del semplice sospetto che stia commettendo un crimine. In una di queste zone, il 31 luglio 2017, Khan viene fermato, insieme con altri membri della sua gang. «Ricordatevi la sua faccia», grida agli altri indicando l’ispettore di polizia, riportano i testimoni. «Guardati le spalle», minaccia ancora. I presenti descrivono «un’atmosfera tesa», con la polizia e gli affiliati di Ltf che si fronteggiano.

 

Minacce a pubblico ufficiale: questo è l’ultimo crimine che Khan commette sul suolo danese. Nel 2018, dopo le molteplici richieste sempre sospese o respinte, i giudici decidono di espellerlo. A Khan viene impedito di rientrare nel Paese per sei anni. Il partito conservatore e nazionalista Dansk folkeparti, in un’interrogazione al ministero dell’Integrazione, protesta per il fatto che il divieto di ingresso sia solo temporaneo. La legge parla chiaro: per reati minori, con pene inferiori a tre mesi, la durata dell’espulsione è fissata a sei anni. È comunque troppo tardi. Un verbale della polizia riporta che Khan «è andato in Spagna alla fine di novembre 2017», sebbene «sia ancora il leader ad interim di Ltf».

 

L’ultima chance
Per quale motivo Khan è stato espulso solo nel 2018? «In Danimarca la legge è cambiata, rendendo più facile per i procuratori espellere le persone», chiarisce l’avvocato Henrik Stagetorn. «Adesso è possibile espellere le persone se parlano la lingua del proprio Paese natale e se possono avere accesso a Internet, così da poter comunicare con la famiglia in Danimarca». Proprio nel 2018 la Corte suprema – in una nuova interpretazione della legge – aveva enfatizzato il diritto della società di proteggere se stessa.

 

Nel suo appello alla Cedu, assistito dall’avvocato Michael Juul Eriksen, Khan ha sostenuto che la sua è stata «una spontanea, non pianificata reazione a un’acuta, provocatoria e degradante situazione». Questa dichiarazione si inserisce nella strategia difensiva della banda, formata in maggioranza da immigrati o figli di immigrati. Secondo il Flemish peace institute, Ltf «sostiene sempre più spesso di essersi sentita esclusa dalla società a causa del razzismo e della discriminazione, anche da parte della polizia», reagendo con azioni illegali. La Danimarca è stata criticata per le sue regole sull’immigrazione sempre più stringenti e per la controversa «legge sui ghetti», che prevede pene più severe – anche collettive, come lo sfratto di intere famiglie – per i quartieri in cui i tassi di criminalità sono più alti.

 

Per giustificare l’espulsione di qualcuno, come Khan, nato e cresciuto in Danimarca, occorrono ragioni molto serie. La vede così il giudice di minoranza della Cedu, Aleš Pejchal, che nella sua relazione finale scrive: «Trovo parte di quel crimine abominevole. Tuttavia, questo non cambia il fatto che il crimine più recente è di natura meno grave». Sul fronte opposto si schiera la Corte suprema, affermando che Khan «ha dimostrato una mancata volontà di integrarsi nella società danese», dunque «è necessario espellerlo per la tutela della sicurezza pubblica».

 

L’altro punto cruciale è la lingua. Durante un interrogatorio con la polizia, Khan aveva dichiarato di non avere legami col Pakistan, di parlare «a malapena Punjabi e di non leggere la lingua». I tribunali danesi hanno ritenuto sufficiente accertare che «è familiare con la cultura e i costumi pakistani».

La Cedu ha riconosciuto le ragioni della magistratura danese, sentenziando che il diritto al rispetto della vita privata non è stato violato. Henrik Stagetorn concorda che questa sia stata «una decisione corretta, supportata dalle evidenze». Né l’avvocato difensore di Khan Michael Juul Eriksen, né l’ambasciata pakistana in Danimarca hanno risposto a una richiesta di commento. Comunque, in una dichiarazione al tabloid B.T., Eriksen ha condannato la sentenza come politicamente motivata.

 

Dopo l’espulsione del suo capo, Ltf sembra aver perso la sua capacità organizzativa. Non si hanno più notizie di scontri, e a febbraio 2022 – riporta TV2 – un veterano della gang è stato arrestato con l’accusa di duplice omicidio in uno scontro avvenuto due anni prima.

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