Investitori e turisti di Mosca hanno reso ricca l’Isola del Mediterraneo, approfittando anche della politica dei passaporti d’oro. Ma con la guerra in Ucraina e le sanzioni molti fuggono, il turismo langue e i residenti non sanno cosa succederà

Il manuale di sopravvivenza alle sanzioni contro la Russia si riassume in tre punti. Ekaterina li passa in rassegna sulla punta delle dita: su Telegram si accede al mercato nero per scambiare euro e rubli; Serbia e Georgia sono i Paesi dove fare scalo per raggiungere la madrepatria ora che i voli sono interrotti; e se il proprio conto bancario è stato congelato c’è una rete di avvocati a cui rivolgersi per chiederne lo sblocco.

 

«Vale solo per i cittadini la cui colpa è avere il passaporto russo: gli oligarchi hanno imparato dai tempi della guerra in Crimea a proteggere il patrimonio dalle sanzioni» commenta la donna. Alle sue spalle le palme battute dal vento e da temperature che sfiorano i 40 gradi indicano che il fronte della guerra è lontano, anche se le conseguenze del conflitto non hanno tardato a manifestarsi pure a Limassol, seconda città di Cipro.

 

Sul lungomare tanti indizi provano come la fama di «Mosca del Mediterraneo» di cui si fregia la città sia più che meritata. Le scritte a caratteri cirillici sulle insegne dei chioschi, i motoscafi dai nomi come «Sputnik» e «Kirill», le cassiere nei supermercati che annunciano il conto in russo, contribuiscono all’estraniante sensazione di essere in una località balneare affacciata sul Mar Nero, più che sul Mediterraneo.

© Myrto Papadopoulos 2013

Con la sua comunità di 50mila espatriati, Limassol rappresenta un monumento all’amicizia tra la piccola isola e il gigante russo: per decenni, infatti, Cipro ha coltivato un rapporto esclusivo con gli investitori e i turisti del lontano Paese. Ora però che lo Stato membro dell’Unione europea si è unito alla politica di sanzioni contro Mosca, le sorti della comunità e dell’economia locale abituata a fare affidamento su di essa si ritrovano appese a un filo. «Come faremo senza i russi?», è la domanda che serpeggia tra i vicoli del bazar, mentre i residenti con la doppia cittadinanza, stretti tra le sanzioni europee e le limitazioni imposte dalla madrepatria, si interrogano sul proprio futuro.

 

«Molti di noi hanno avuto il conto congelato dalle banche cipriote in via precauzionale» racconta Ekaterina S. emigrata da San Pietroburgo dieci anni fa e proprietaria oggi di un ristorante, che accetta di figurare solo con il suo nome. «I più fortunati invece hanno trasferito i soldi in altri Stati, come la Bulgaria, e valutano di andarsene». Per far fronte al blocco dei trasferimenti monetari tra i due Paesi, in tanti si affidano al mercato nero di Telegram. «Vendo 100mila euro per rubli» legge ad alta voce la donna scorrendo i messaggi di un gruppo, «Euro in cambio di rubli, massima urgenza» recita un altro annuncio.

 

Nelle settimane successive all’invasione dell’Ucraina, un drappello di persone ha sfilato sul lungomare in solidarietà con la madrepatria. Poi la comunità si è chiusa nel silenzio. La stazione radio più popolare, Russian Wave, continua a mandare in onda le canzoni delle popstar amate da Mosca, ma si rifiuta di lasciare commenti. Stessa scelta per Vestnik Kipra, l’organizzazione culturale che stampa il giornale a caratteri cirillici dell’isola, mentre il Festival della cultura russo-cipriota che, come ogni anno, avrebbe dovuto animare la città è rimandato a data da destinarsi. «È stato uno shock: fino a un momento fa eravamo benvoluti, e ora veniamo trattati come la pecora nera della famiglia. Eppure, abbiamo la cittadinanza cipriota e quest’isola è la nostra casa» commenta Ekaterina.

 

Molte foto in bianco e nero esposte in vendita tra le cianfrusaglie del bazar di Limassol raccontano il legame che unisce l’isola di Afrodite a Mosca. Cartoline sbiadite con giovani in posa nella Piazza Rossa testimoniano di quando l’influente partito comunista cipriota, istituito a Limassol e tutt’ora seconda forza politica, aveva alimentato lo scambio culturale tra i due Paesi. Poi, con il crollo dell’Unione sovietica, il rapporto è stato consolidato: l’isola si è fatta benvolere grazie alla concessione di agevolazioni fiscali, e quando a seguito della crisi del debito greco la banca di Cipro è collassata, molti risparmiatori russi sono stati incentivati a investire i loro fondi superstiti nel mercato immobiliare.

A fare la differenza, però, sono stati soprattutto i «passaporti d’oro». Grazie a un’iniziativa del governo, poi bloccata nel 2020, i cittadini che investivano più di 2 milioni e mezzo di euro nell’isola potevano ottenere la cittadinanza cipriota, e quindi un passaporto europeo, per sé e per la propria famiglia. I beneficiari del programma sono stati quasi 7mila, e di questi la metà erano russi.

 

«Tutto è possibile: qui siamo a Cipro» assicuravano i politici ignari di essere filmati nell’inchiesta di Al Jazeera che due anni fa ha costretto il governo a interrompere il programma rivelando come molti passaporti venissero venduti illegalmente. Secondo la Commissione indipendente istituita per indagare sullo scandalo, infatti, un terzo dei beneficiari aveva ottenuto il passaporto pur non avendo i prerequisiti necessari. Da allora, il governo dell’isola si è detto pronto a fare chiarezza e ha ritirato i documenti di 39 persone; poi, nell’aprile scorso, quattro oligarchi presi di mira dalle sanzioni di Bruxelles come Alexander Ponomarenko, presidente del consiglio di amministrazione dell’aeroporto di Mosca, si sono visti revocare la cittadinanza cipriota. A ulteriore conferma che il conflitto in Ucraina ha sbaragliato le carte, la quarta banca dell’isola, la Russian Commercial Bank, posseduta per metà, fino all’inizio del conflitto, dalla banca russa Vtb, ha cessato le operazioni finanziarie.

 

Mentre le truppe russe avanzavano in Ucraina il ministro delle Finanze Constantinos Petrides ha assicurato che le banche cipriote non avrebbero subito contraccolpi, ma la Russia rimane il principale partner economico del Paese, responsabile di oltre il 25% degli investimenti esteri. Basta aggirarsi sul lungomare per notare i primi effetti di questa dipendenza: gli uffici di commercialisti e avvocati abituati a trattare con la clientela russa hanno chiuso i battenti, e il celebre cartello con scritto «Limassolgrad», il soprannome della città, dondola di fronte agli uffici dismessi di un’agenzia immobiliare.

 

Prima che i voli tra i due Paesi venissero interrotti, i turisti in arrivo da Mosca erano i secondi, per numero, dopo gli inglesi e soprattutto i più bendisposti a spendere. Oggi sulle navette in percorrenza del lungomare, dove le fermate prendono i nomi dei resort che riempiono l’orizzonte, molti posti rimangono vuoti. «Solo i russi erano capaci di lasciare 100mila euro in un colpo solo», commenta Marinos Dimitriou, gioielliere, mentre espone in vetrina un orologio di lusso resistente all’acqua: «Dubito che quest’estate riuscirò a venderlo». Secondo il governo l’isola è destinata a perdere, a causa del mancato arrivo dei russi, oltre 600 milioni di euro.

«Per noi è una beffa: i turisti a cui impediamo di visitare l’isola andranno nella vicina Turchia, il Paese che da quasi cinquant’anni occupa la parte nord di Cipro», commenta Haris Theocharous, presidente dell’Unione degli albergatori di Limassol. «Siamo solidali con l’Ucraina ma la nostra piccola isola sta pagando un prezzo sproporzionato rispetto ad altri Paesi europei».

 

A riempire gli alberghi, nei primi mesi, sono stati soprattutto i rifugiati ucraini. Nella campagna intorno alla capitale Nicosia, cinque cupole dorate importate da San Pietroburgo sfavillano sotto al sole. Costruita grazie ai finanziamenti di un magnate, la Chiesa ortodossa dedicata a Sant’Andrea e ai santi russi è un punto di ritrovo per la comunità slava dell’isola. Padre Isaiah si aggira tra le famiglie arrivate da Kiev che giocano sul sagrato e dispensa generose benedizioni. «Prima della guerra nessuno faceva distinzioni tra i russi e gli ucraini: pregavamo tutti nella stessa lingua. È quello che cerchiamo di continuare a fare, ma più si prolunga la guerra più sarà difficile» ammette.

 

Mentre gli abitanti dell’isola si interrogano sulla durata del conflitto, trovare un appartamento libero a Limassol è sempre più difficile. Dall’inizio della guerra più di 20mila persone sono arrivate nell’isola: rifugiati ucraini ma anche dipendenti di aziende russe con sede a Cipro, che stanno facendo trasferire qui i loro impiegati. A riprova che il futuro dei rapporti con l’antico alleato è ancora da scrivere. «L’isola conta già su altri investitori, come i libanesi e gli israeliani, ma i russi erano quelli più stabili, interessati a finanziare progetti a lungo termine come università e ospedali» spiega Pavlos Loizou, amministratore di Wire, società di analisi di dati immobiliari. «Qualcuno prenderà il loro posto? È troppo presto per dirlo».

 

Così, mentre a largo di Limassol le navi da crociera solcano il mare, la piccola isola attraversata nei secoli da Veneziani, Templari e Inglesi attende di scoprire quale sarà il prossimo forestiero a sbarcare, armato di progetti ambiziosi e soprattutto di moneta sonante