Nel paese sudamericano l’acqua è privatizzata: la nuova Costituzione l’avrebbe resa pubblica, ma il testo è stato bocciato persino nelle province più colpite dalla siccità. Anche per colpa delle pressioni dei proprietari terreni

Arrivando a Petorca si passa sopra un ponte, sotto si vede il grande letto del fiume completamente asciutto. Al centro qualcuno ha composto con i sassi una grande scritta su cui si legge «Apruebo» (approvo). Vedendola oggi sembra uno scherzo del destino: la provincia di Petorca, che conta su poco più di 80mila abitanti, è una delle più aride di tutto il Cile e il 4 settembre scorso gli abitanti della zona hanno votato contro la nuova Costituzione che avrebbe sostituito quella attuale, scritta durante la dittatura di Augusto Pinochet, e che avrebbe tutelato le aree che hanno problemi legati all’acqua. I cittadini di questa zona hanno scelto l’opzione «rechazo» (rifiuto) come la maggioranza delle province del Paese, il 4 settembre infatti quasi il 62 per cento dei cittadini cileni ha deciso di non accettare la Costituzione proposta, ma Petorca è finita al centro del dibattito. Il testo, composto da 388 articoli, è stato scritto nell’ultimo anno da 154 cittadini democraticamente eletti e avrebbe garantito un numero record di diritti alla popolazione cilena.

 

Gli analisti si aspettavano quindi che soprattutto le fasce più povere della popolazione, che sarebbero state tutelate dalla nuova Costituzione, avrebbero votato a favore del nuovo testo ma, a sorpresa, anche nei comuni meno abbienti ha vinto il rifiuto. Un cortocircuito nella società cilena su cui dal 4 settembre giornalisti e politologi stanno indagando e che ha trovato il proprio emblema proprio a Petorca, che da anni è conosciuta nel Paese per l’enorme problema di siccità che la colpisce. Come è possibile che questa provincia, che da tempo si batte per la mancanza di acqua, abbia votato contro una Costituzione che finalmente avrebbe messo al centro del dibattito il diritto all’acqua come bene pubblico?

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«È facile giudicare i cittadini della provincia», afferma Ignacio Villalobos Henríquez, 43 anni, sindaco di Petorca, «ma basta pensare che il giorno della votazione del referendum ai seggi c’erano i più grandi proprietari terrieri della zona. Come si può pretendere che una persona voti senza timore se lo deve fare di fronte al proprio datore di lavoro? Se non è generare timore questo non so cosa lo sia. Ovviamente chi ha dei privilegi oggi non li vuole perdere. Se i grandi proprietari terrieri hanno diritto a 300 litri d’acqua al secondo non li vogliono dividere con nessuno, non gli importa se il vecchio contadino al lato della loro proprietà non può più coltivare». Il Cile è l’unico Paese al mondo in cui l’acqua è privata: con la Costituzione scritta durante la dittatura di Pinochet è diventata un bene di mercato come qualsiasi altro.

 

Le conseguenze di queste politiche si rispecchiano perfettamente nel territorio di Petorca dove, da oltre dieci anni, le sterminate coltivazioni di avocado hanno prosciugato le risorse acquifere della zona. I letti dei fiumi sono completamente secchi, è impossibile per i cittadini coltivare o allevare animali. Due scuole lo scorso anno hanno dovuto interrompere le lezioni per la mancanza d’acqua, gli abitanti fanno fatica perfino a farsi la doccia o a cucinare e dipendono dall’acqua trasportata a casa loro da camion pagati dal governo. Ma a Petorca si è anche immersi nel verde: si è circondati da migliaia e migliaia di rigogliose piante di avocado. È impressionante vedere il lato delle montagne diviso in tre livelli. Il primo - non coltivato - grigio e completamente arido, il secondo - di un piccolo produttore - secco ma con alcune piante che sopravvivono, e il terzo - di coltivazione industriale - verdissimo e rigoglioso. Poco più sotto, nella valle, si trovano decine di grandissime vasche piene di acqua trasparente. È così che i grandi proprietari terrieri si assicurano di avere sempre  l’acqua di cui hanno bisogno. «Prima dell’inizio dell’inverno 189 comuni cileni, fra cui Petorca, hanno dichiarato di avere problemi legati alla siccità», assicura Henríquez. «Più di 8 milioni di persone in questo Paese hanno problemi per accedere all’acqua. Moltissimi ospedali rurali e scuole non possono andare avanti. Ci sono comuni in cui non si possono produrre alimenti. A Petorca ci sono località che dipendono al 100% dall’acqua dei camion».

 

Per coltivare un solo chilo di avocado servono oltre duemila litri d’acqua (dieci volte in più rispetto a quella necessaria per un chilo di pomodori) e quindi a Petorca, dove non piove quasi mai, per ogni ettaro di piantagione servono circa centomila litri d’acqua al giorno, il quantitativo che potrebbe soddisfare il fabbisogno di circa mille abitanti. «In Cile le priorità sono rovesciate: prima l’avocado, poi gli animali e solo all’ultimo le persone e l’ecosistema», afferma Marileu Avedaño Flores, 30 anni, attivista per l’acqua e presidente della Confederazione nazionale contadina. Il Paese è uno dei principali esportatori di avocado in tutto il mondo e soltanto il 30 per cento della produzione è destinata al mercato interno. Oltre il 70 per cento dell’avocado destinato all’esportazione viaggia proprio verso l’Europa, dove il consumo del frutto continua a crescere.

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«In questa zona sono disseminati ovunque pozzi illegali per rubare l’acqua. Le multe sono irrisorie per le grandi aziende agricole, quindi preferiscono pagarle e continuare a rubare», spiega Carolina Vilches Fuenzalida, 37 anni, geografa e portavoce nazionale di Modatima, movimento nato nel 2010 a Petorca in difesa dell’acqua e dei piccoli produttori. A causa della privatizzazione dell’acqua prevista dalla Costituzione di Pinochet, chi possiede i diritti sulle fonti può decidere di tenerla per sé lasciando decine di migliaia di persone sprovviste. A spartirsi i diritti sull’acqua a Petorca sono poche famiglie, ma potentissime. E come denunciano gli attivisti della zona, sembrano intoccabili. «Chi possiede l’acqua controlla la valle», spiega Fuenzalida, «Il furto dell’acqua è una crisi umanitaria: stiamo privilegiando l’esportazione di frutta alla salute della zona. Qui sta morendo l’economia locale, gli animali, l’agricoltura dei piccoli produttori. C’è sofferenza e molta depressione fra gli abitanti».

 

Ovunque sui muri dei piccoli paesi ci sono murales sull’acqua con le scritte «No es sequía, es saqueo» (Non è siccità, è un saccheggio), «Estamos secos» (Siamo a secco) e «Approviamo per recuperare l’acqua rubata». Fuenzalida, che è stata eletta come membro dell’Assemblea costituente, spiega: «Con il referendum abbiamo perso un’enorme occasione, l’acqua finalmente avrebbe smesso di essere privata. Ma la lotta non è finita». Negli ultimi mesi la campagna contro la nuova Costituzione, in cui privati cittadini hanno investito cifre milionarie, è stata feroce e il testo è stato al centro di decine di notizie false rilanciate dai media tradizionali e dai social media. E i cittadini di Petorca sembrano non esserne stati immuni. «Con la nuova Costituzione mi avrebbero portato via la casa», assicura Jorge, 61 anni. «Da anni non abbiamo l’acqua in questa zona, se la tengono i ricchi. Ho votato “rechazo” perché non sarebbe cambiato nulla», aggiunge María, 54 anni. «Non riuscivo a capire il testo, mi sono fidata di quello che ho visto alla televisione e ho votato contro. Noi poveri continueremo a non avere nulla», afferma Paula, 49 anni. Negli ultimi anni sono aumentate le pressioni verso chi denuncia la crisi idrica della provincia: gli attivisti vivono sotto costante minaccia di morte.

 

Una delle persone più a rischio è Veronica Vilches, 52 anni, che sulla sua auto ha appiccicato un cartello che recita: “Basta al furto dell’acqua”. Quando gli autisti dei camion che trasportano l’acqua agli abitanti della provincia la vedono prendono il telefono per avvisare qualcuno: sanno che Vilches sta di nuovo denunciando quello che succede. «Vengono fino a casa mia per minacciarmi», dice. «Hanno incendiato l’auto di mio padre, hanno provato a comprarmi in ogni modo. Mi hanno offerto di tutto. Ma io continuerò fino alla fine a denunciare, non possono fermarmi».

 

La pratica di scavare pozzi illegali con cui i grandi proprietari terrieri, che già possiedono la maggior parte dell’acqua della zona, ne rubano altra destinata alla popolazione, è così diffusa che mentre Vilches guida a poche centinaia di metri da casa sua vede alcuni uomini che stanno bucando il terreno. Quando scende dall’auto per girare un video gli uomini la insultano e spengono il macchinario. Nelle strade vicino alla sua abitazione si vedono ovunque scritte contro di lei: «Veronica Vilches ruba la nostra acqua» o «Veronica Vilches usa l’acqua per coltivare i suoi avocado». Di fronte ai pochi alberi di limone che ha nel suo giardino si trova un grande ritratto dell’attivista: lo hanno fatto alcuni studenti dell’Universidad de Valparaíso alcuni giorni dopo l’incendio dell’auto di suo padre. Mentre osserva il murales, in cui Vilches ha un grande cuore formato dall’acqua, dice: «Ora metto alcune cose in uno zaino e me ne vado. Non posso dormire qui stanotte, non posso rimanere a casa mia dopo che mi hanno visto un’altra volta con una giornalista. Verranno sicuramente di nuovo qui per minacciarmi».