Il referendum ha visto una vittoria schiacciante dei No, anche nelle regioni di sinistra. «Non è un ritorno al passato, ma una parte della società è stata imprudente e ha creduto di poter trasformare il Cile nel Paese più progressista al mondo. Non è così»

Il Cile ha detto no alla nuova Costituzione che doveva sostituire la carta voluta dall’ex dittatore Augusto Pinochet. La vittoria del No al referendum con cui il 4 settembre i cileni hanno scelto di rigettare il testo è stata schiacciante in ogni area del paese. Anche a Santiago, la capitale, che lo scorso novembre era stata una delle roccaforti fondamentali per la vittoria al secondo turno dell’attuale presidente Gabriel Boric, il più giovane mai eletto in Cile e rappresentante della sinistra radicale, contro l’esponente di destra José Antonio Kast.

 

Al referendum ha partecipato circa l’85 per cento degli elettori. Con 7,8 milioni di voti è stata la volta nella storia del paese in cui più persone si sono recate alle urne. Il 62 per cento ha detto no alla Carta elaborata dall’Assemblea costituente eletta a maggio del 2021. Dopo che con un altro referendum, il 25 ottobre 2020, più del 78 per cento dei cileni aveva deciso di dare avvio a un processo di riforma per porre fine alla Costituzione del 1980 voluta da Pinochet.

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«Non siamo di fronte a un ritorno al passato», spiega Gennaro Carotenuto, storico contemporaneo e professore all’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli. «Nessuno pensa a un regresso a Pinochet. Nessuno di quelli che conosce la realtà della società cilena. Siamo di fronte all’imprudenza di una parte della società che forte dei risultati ottenuti durante le proteste del 2019, ha creduto potessimo trovarci di fronte a una svolta storica per il paese. Che il Cile potesse diventare la nazione più progressista al mondo. Ma non è così. Parliamo della sua Costituzione, è evidente che questa debba essere rappresentativa di una fascia più ampia possibile di popolazione».

 

Già con le proteste degli studenti del 2011 contro le privatizzazioni di scuola e università, si era formato di un forte blocco sociale costituito soprattutto da giovani. Con le grandi mobilitazioni del 2019 è successo lo stesso: una parte coesa di società è emersa dalle manifestazioni. Ma non è l’unica e non è la maggioranza. «La storia del Cile è caratterizzata da smottamenti, cioè momenti specifici della vita politica che spingono verso sinistra, che però non corrispondono esattamente al corpo dell’intera società civile». Così sull’elezione dei membri della Costituente - 78 uomini e 77 donne con 17 seggi riservati ai popoli indigeni - hanno pesato le istanze portate avanti dai manifestanti che hanno posto particolare enfasi sulla parità di genere, sull'ecologia e sul riconoscimento delle popolazioni indigene.

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Ma a volere una nuova Costituzione non c’è solo la sinistra. Anche molti sostenitori di Kast al referendum del 2020 hanno espresso il loro sostegno all’avvio di un processo di riforme. «Ecco perché - continua Carotenuto - molto probabilmente verrà convocata una nuova Assemblea costituente che sarà più moderata rispetto all’attuale che invece è espressione di un determinato momento storico, quello in cui il Cile ha manifestato il maggior attivismo degli ultimi cinquant’anni». Ed ecco perché il Presidente Boric subito dopo il risultato del referendum ha commentato: «La decisione di respingere chiaramente la proposta di Costituzione impone alle nostre istituzioni e ai nostri attori politici di lavorare di più, con più dialogo, con più rispetto e affetto, per arrivare a un testo che ci rappresenti tutti, che ci dia fiducia, che ci unisca come Paese. Dobbiamo ascoltare la voce del popolo».

 

Il processo di riforma del Cile non si è arrestato ma sono i cittadini a deciderne le condizioni.