Intervista
«Le persone ancora in vita non hanno niente da mangiare o da bere. A volte bevono acqua fangosa dal letto di un fiume. Molti mi hanno detto che i loro figli o coniugi sono morti andando verso i campi». La denuncia della giornalista e fotografa irlandese ospite del DIG Festival
di Sabina Minardi
La rivista scientifica Pnas, della United States National Academy of Sciences, lo ha messo in chiaro già da tempo: per ogni grado di temperatura in più, un miliardo di persone si troverà a vivere in condizioni insostenibili. Un Paese come la Somalia, colpito da una terribile siccità, sintetizza in modo potente la relazione tra crisi climatica e costi umani.
Lo sa bene Sally Hayden, giornalista e fotografa irlandese, firma di apprezzati reportage, dall’Africa specialmente, per testate come Washington Post, The Guardian e Al Jazeera, e autrice di saggi come “My Fourth Time, We Drowned”, vincitore dell’Orwell Prize for Political Writing (4th Estate, HarperCollins, non ancora tradotto in italiano). Esperta di migrazioni, Hayden denuncia i diritti umani messi alla prova da guerre ed emergenze climatiche. Temi di cui parlerà a Modena, in occasione del DIG Festival, il festival internazionale di giornalismo investigativo, dal 22 al 25 settembre, in un appuntamento intitolato: “Unhuman trafficking. Lives in the waterline” (24 settembre, 11,30-13, Complesso San Carlo).
Inondazioni, incendi, fenomeni estremi stanno determinando nuovi nomadismi, anche da luoghi non tradizionalmente coinvolti nelle rotte migratorie. Dove ha registrato le fragilità più preoccupanti?
«Ho da poco raccontato quanto sta avvenendo in Somalia: il Paese sta affrontando una siccità da record, che si ritiene correlata al cambiamento climatico. Sembra che più 7 milioni di persone abbiano urgente bisogno di assistenza alimentare. Ci si aspetta che a breve sia dichiarata la condizione di carestia».
Un’urgenza che si innesta su un Paese piegato dalla guerra.
«A causa del conflitto e delle insurrezioni in corso le agenzie umanitarie possono lavorare solo in certi territori. Dall’inizio della siccità, più di un milione di persone ha abbandonato la propria casa in cerca di aiuto. Moltissimi sopravvivevano grazie alla pastorizia, ma ora tutti gli animali sono morti. Alla periferia di un campo per sfollati a Dolow, nel sud-ovest della Somalia, ho visto dozzine di carcasse di capre sparse sulla sabbia e mi è stato spiegato che erano morte di sete e di fame. C’erano anche due cammelli, debolissimi ma vivi: il resto della mandria era morto di sete. Le persone ancora in vita non hanno niente da mangiare o da bere. A volte bevono acqua fangosa dal letto di un fiume vicino e chiedono cibo a chiunque. Molti mi hanno detto che i loro figli o coniugi sono morti andando verso i campi, ma nessuno ufficialmente li ha contati. Le condizioni meteorologiche sono sempre più irregolari in gran parte dell'Africa, il che ha un impatto diretto sui mezzi di sussistenza in quanto colpisce i raccolti, l'agricoltura, ma anche altre attività: pensiamo alla produzione di mattoni nelle stagioni secche».
Con milioni di persone al di sotto della sicurezza alimentare, la situazione in Somalia è catastrofica. Secondo le Nazioni Unite quasi un milione e mezzo di bambini dovrà affrontare una malnutrizione acuta. Lei osserva e racconta. Ci sono dati e fonti ufficiali sui quali si basa, per mettere in collegamento migrazioni e cambiamenti climatici?
«Le mie cronache non si sono focalizzate sul cambiamento climatico, ma sulla popolazione: in Somalia ho visto centinaia di persone presentarsi ogni giorno nei campi profughi, costrette a lasciare le loro abitazioni. Più di un milione di persone sono state sfollate nella zona da me visitata dall'inizio dell'ultima siccità. Molti mi hanno raccontato che tutto il bestiame era morto e che non possedevano nulla. Nelle varie città, ho parlato con somali che mi hanno riferito di un aumento delle persone che vanno in “Tahriib”: il termine con il quale indicano il viaggio in Europa. Ho letto i rapporti dell'Ipcc sull'Africa, e conosco le previsioni che dicono che per ogni grado di temperatura della Terra in più ci sarà un miliardo di sfollati. Ciò che mi interessa sono gli abusi ai confini dell'Europa contro chi tenta di attraversarli».
Favorire le migrazioni per aiutare i Paesi in difficoltà, ha scritto. Può spiegare meglio?
«Sono una giornalista, non tocca a me proporre soluzioni politiche. Tuttavia, in base a quanto ho visto in Somalia, l’aiuto più efficace è il denaro inviato direttamente dalla diaspora: da parenti o da somali generosi, che risiedono in Paesi occidentali e guadagnano abbastanza soldi da poterne rimandare a casa. Le organizzazioni internazionali sciupano denaro per le spese generali e, per ragioni di sicurezza del personale, non riescono a raggiungere aree in cui le persone soffrono. Mentre ero in Somalia, non ho visto alcuna organizzazione internazionale distribuire cibo, anche se migliaia di persone stavano morendo di fame, mentre il denaro inviato attraverso le rimesse era concretamente utilizzato dalle imprese locali per cibo e pacchi di cura agli sfollati. Per questo ho iniziato a pensare che consentire la migrazione possa essere una forma pratica per aiutare le persone colpite dai cambiamenti climatici».
Il tema è politico. Ma davanti alla previsione di gigantesche perdite umane, possiamo fare qualcosa?
«I miei servizi si concentrano sugli effetti dannosi dell'Unione europea e della politica migratoria italiana nel cercare di fermare le persone che attraversano il Mediterraneo. Il mio nuovo libro esamina cosa è successo a molti degli oltre 100 mila uomini, donne e bambini intercettati mentre cercavano di raggiungere l'Europa dalla guardia costiera libica sostenuta dall'Ue e spesso rinchiusi a tempo indeterminato nei centri di detenzione che papa Francesco ha definito campi di concentramento. Luoghi dove sono soggetti ad abusi, torture, omicidi, stupri. L'Unione europea continua a spendere miliardi in Africa nel tentativo di fermare l’emigrazione, ma non c'è una supervisione di queste spese, e i miei resoconti mostrano che una parte di questi soldi sta sostenendo milizie o dittature che aumentano oppressione e disuguaglianza, accrescendo le ragioni per le quali le persone vogliono fuggire. Le voci di persone intrappolate in situazioni contro l’umanità sono messe a tacere. Dobbiamo iniziare ad ascoltarle».