L'intervista

Ekaterina Duntsova, la donna che sfida Vladimir Putin: «In Russia tanti vogliono la pace»

di Lucia Bellinello   19 dicembre 2023

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Ha 40 anni e due lauree e deve raccogliere 300mila firme per presentare la sua candidatura contro lo "zar". È stata già convocata in procura per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina e i suoi conti sono stati bloccati "per un errore". «Sono consapevole dei rischi della mia scelta»

In Russia c’è una donna che ha deciso di sfidare Vladimir Putin alle presidenziali di marzo 2024. Si chiama Ekaterina Duntsova, ha 40 anni e due lauree, una in Legge e l’altra in giornalismo. Vive nella città di Rzhev e ha mosso i primi passi nella sua corsa verso le elezioni. Sul suo sito scrive di voler porre fine ai combattimenti, avviare riforme democratiche e lavorare per il rilascio dei prigionieri politici. Il 17 dicembre è riuscita a radunare cinquecento sostenitori, come richiesto dalla legge russa. E adesso per formalizzare la sua candidatura dovrà raccogliere almeno trecentomila firme. Una sfida tutt’altro che semplice, in un Paese dove non si può parlare liberamente di un programma pacifista.

 

Cosa l’ha spinta a volersi candidare?
«Molte persone desiderano la pace per il nostro Paese: vogliono vivere in una nazione libera, dove esprimere le proprie opinioni senza paura. Ci sono molte persone così, tra le quali attivisti e deputati di vario livello».

 

Com’è nata la decisione di correre per le presidenziali?
«Ci siamo chiesti chi potesse presentarsi alle elezioni, visto che qualcuno è in carcere, qualcun altro è perseguito penalmente o ha lasciato il Paese. È triste arrivare alle elezioni di marzo sapendo già chi vincerà. Tra di noi ci sono molte persone che credono nel processo elettorale. Perciò, con alcuni attivisti, è nata l’idea: perché non candidare una donna? E alcuni dei miei colleghi hanno iniziato a dire: Katya, tu hai le qualità necessarie. Inizialmente non l’avevo presa davvero sul serio…».

 

Cosa l’ha convinta?
«Ho dei conoscenti che lavorano al progetto “Nash Shtab”, nato con l’idea di far partecipare alle elezioni il maggior numero possibile di candidati con un'agenda pacifica, per dare effettivamente un’alternativa di voto alle persone. Oggi però risulta che io sono l’unica a rappresentare questa categoria, con il loro sostegno. Così abbiamo avviato il processo. Ogni giorno si aggiungono persone nuove, anche cittadini russi che vivono all'estero. Molti di loro hanno meno di 25 anni e hanno visto in me un'opportunità per esercitare il loro diritto di voto».

 

Come viene finanziata la sua campagna elettorale?
«Attualmente non c'è ancora una campagna elettorale in corso, poiché non sono ancora registrata ufficialmente come candidata. Per la convocazione del gruppo di sostenitori è stata organizzata una raccolta fondi».

 

So che è stata convocata in procura per discutere delle sue posizioni nei confronti dell’Operazione militare speciale…
«Quella della procura è stata più una raccolta di informazioni. Probabilmente non è stata un’iniziativa presa a livello locale, ma arrivata dall’alto…».

 

Cosa le hanno chiesto?
«Mi hanno fatto domande su come mi relaziono io con l’Operazione militare speciale. Mi sono rifiutata di parlare perché potrebbe essere motivo di apertura di un caso penale».

 

Tra l’altro le hanno anche bloccato le transazioni bancarie…
«Dalla banca mi hanno detto che si tratta di un guasto tecnico e che loro non c’entrano».

 

Secondo lei, il fatto di essere donna rappresenta un vantaggio o uno svantaggio agli occhi del popolo russo?
«Credo che una fetta della popolazione desideri vedere una donna al potere, con la speranza che le tensioni diminuiscano. Non so, mi sembra che le persone vogliano essere trattate con una sorta di cura materna, ascoltate, comprese. Forse è proprio questo che manca. Per quanto riguarda la società in generale, che è comunque patriarcale, lì invece ci si aspetta di vedere un uomo come capo di Stato. E questa è un’opinione molto diffusa».

 

Ha forse ricevuto il sostegno anche da parte delle mogli dei soldati mobilitati, che ultimamente hanno iniziato a manifestare apertamente per chiedere il ritorno degli uomini dal fronte?
«Mi stanno contattando singole rappresentanti, mogli e madri dei soldati. Ma non ho ancora interagito con la loro comunità».

 

Venendo all’Operazione militare speciale: come immagina gli accordi di pace con l’Ucraina?
«Si dovrà fare un enorme lavoro diplomatico. Ad oggi non c’è nessuna iniziativa da parte dell’Ucraina, perché dicono di non voler trattare con Putin... ma allora significa che sono disposti a parlare con qualcuno di diverso da lui. Il passo deve essere fatto da entrambe le parti, naturalmente con il coinvolgimento della comunità internazionale, perché adesso il conflitto riguarda molti Paesi. Le tensioni sono salite a un livello tale che ora ci sono postazioni della NATO vicino ai nostri confini. Se non ricostruiamo relazioni amichevoli, questa tensione non porterà a nulla di buono. È importante difendere le proprie opinioni, ma è altrettanto importante ascoltare quelle degli altri. Pertanto, dovremmo iniziare tornando ai negoziati di pace».

 

Qual è la sua posizione in merito ai territori ucraini occupati dalla Russia?
«A questa domanda posso rispondere solo rispettando la legge della Federazione Russa, che stabilisce che secondo la Costituzione tali territori sono soggetti della Federazione Russa».

 

Come valuta l’atteggiamento politico dell’Occidente? Che tipo di rapporti vorrebbe creare con l’Europa?
«Credo che ci sia stato un momento in cui davvero eravamo riusciti a costruire dei buoni rapporti di amicizia. Avevamo persino parlato di uno spazio comune per viaggiare senza visto. Poi, a un certo punto, tutto si è bloccato. Dopo le manifestazioni, come quelle di Piazza Bolotnaya, abbiamo iniziato a chiuderci. Ma è importante ristabilire rapporti amichevoli tra i nostri Paesi, non solo a livello di scambi culturali, ma anche economici. Comprendiamo perfettamente che l’assenza di concorrenza sul mercato fa nascere i monopolisti, e così diventa più difficile regolare il mercato. Come si fa, poi, a spiegare questa situazione alle persone che ogni giorno vedono aumentare i prezzi al supermercato, o che non possono ottenere i medicinali per curare i propri figli per via delle sanzioni? Voglio dire, la risposta dell’Europa da un lato è comprensibile, ma dall’altro non si capisce perché queste sanzioni colpiscano le persone comuni. Per questo dobbiamo tornare a quel periodo in cui le relazioni erano basate sulla fiducia, a quando non si chiudevano i valichi di frontiera. Credo inoltre che si debba riportare in auge anche il diritto internazionale, perché garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà sul territorio di un singolo Paese».

 

Come pensa di comunicare il suo programma, dal momento che molte cose oggi in Russia non si possono dire, per evitare di essere perseguiti legalmente?
«Se io adesso iniziassi a parlare di determinate cose, verrebbe aperto contro di me un processo penale. Sarebbe una delusione per chi ha riposto fiducia in me. La cosa più importante ora è preservarmi come candidata, raccogliere le firme necessarie e registrare formalmente la mia candidatura. Se infrango la legge, non mi troverete in un seggio elettorale, ma da un’altra parte…».

 

Cosa risponde a coloro che sostengono che lei potrebbe essere un prodotto del Cremlino, costruito ad hoc per far credere che ci sono effettivamente elezioni democratiche con un’opposizione reale?
«Penso che ognuno sia libero di pensare ciò che vuole, è un suo diritto. Io non ho accordi con nessuno».

 

Da chi è composta la sua squadra?
«Ci sono politici e attivisti di diverso livello, tutti con un background diverso e con delle esperienze pregresse alle spalle. Una parte di loro si trova all’estero, ma sono tutti cittadini della Federazione Russa. Non si tratta di organizzazioni straniere, bensì di nostri cittadini che al momento si trovano all’estero per motivi ben precisi».

 

Qualcuno l’ha aiutata a scrivere il suo programma o lo ha formulato da sola?
«Il programma è ancora in fase di stesura, perché per me è importante che risulti comprensibile, accessibile e conciso, anche visivamente. E per farlo ovviamente ci vuole un po’ di lavoro».

 

Com’è cambiata la sua vita dopo la decisione di candidarsi alle elezioni?
«Ho molto meno tempo. Vede, sono arrivata per parlare con lei, qui vicino c’è mio figlio e non ho ancora fatto in tempo a dargli un abbraccio (ride). Ma adesso bisogna fare uno sforzo e dedicare davvero del tempo a questo progetto. Sa, nell’ultimo anno e mezzo io e molti miei colleghi siamo caduti in uno stato di apatia, di depressione… Ma adesso, con questo movimento nato da poco, sono tornata ad avere una carica di emozioni e di energia! Per me è fondamentale sentirsi utili alle persone che vivono qui».

 

Ekaterina, lei ha paura?
«Certamente, siamo ben consapevoli dei rischi. Lo vediamo cosa accade intorno a noi. L’unico modo che abbiamo per difenderci, almeno formalmente, è fare le cose nel rispetto della legge. Ma affronteremo i problemi man mano che si presentano».