La vera storia di Harry, il migrante rimasto attaccato al timone di una nave per 11 giorni

La sua foto e quelle di altri due uomini arrivati a Las Palmas fece il giro del mondo. Siamo andati a conoscerlo: «Un’onda più alta avrebbe ci avrebbe fatto annegare come topi in trappola. Perciò abbiamo trascorso le ore pregando o cantando»

«La loro foto ha fatto il giro del mondo, ma dietro c’è una storia. Impressionante quanto quell’immagine». Chi parla è una delle operatrici della Commissione spagnola per l’assistenza ai rifugiati (Cear) di Las Palmas, la Ong che ha prestato assistenza ai tre nigeriani arrivati a Gran Canaria a inizio dicembre. Nascosti dietro il timone di una petroliera, hanno navigato per 11 giorni. Erano partiti da Lagos il 17 novembre e si erano sistemati nell’ incavo sul retro del gigantesco timone della petroliera Alithini II, 180 metri di lunghezza, salpata verso una meta per loro ignota. Ma qualunque posto sarebbe stato migliore, hanno detto quando sono stati ritrovati al porto di Las Palamas dal Salvamento Marítimo. Vivi, tra lo stupore degli operatori sanitari, anche se molto provati. «Disidratati, denutriti, con sintomi di congelamento. Eppure felici, perché ce l’avevano fatta, piangevano e tremavano», racconta l’operatrice. In ospedale, trattenuti come clandestini, hanno chiesto invano la protezione internazionale. Quando due di loro sono stati dimessi, le autorità spagnole li hanno rispediti a bordo in attesa del terzo: per legge toccava al comandante della petroliera riportarli a Lagos. Ma a quel punto sono intervenuti la Ong Caminando fronteras e il Segretariato per le migrazioni del vescovado delle Canarie.

 

«È un caso molto delicato», spiega Marìa Vieiyra, una degli avvocati, che sta seguendo Harry, 42 anni. È stato lui il primo a nascondersi nel vano del timone. Gli altri che non lo conoscevano l’hanno seguito: avevano avuto l’imbeccata dallo stesso pescatore. «Non avevamo idea di dove andassimo – racconta Harry attraverso il legale - Avevamo delle bottiglie d’acqua e qualche scorta di cibo. Io avevo preso anche delle spranghe, così da battere contro le paratie e richiamare l’attenzione dell’equipaggio. Il sacchetto con l’acqua è caduto in mare appena dopo qualche ora di navigazione. Ma eravamo lì e non restava altro da fare se non rimanerci, cercando di non morire. I giorni successivi sono stati tremendi, cercavamo di dormire a turno, così da non rischiare di cadere in acqua e non avevamo più nulla da mangiare. Sapevamo che un’onda più alta avrebbe inondato la cavità e ci avrebbe fatto annegare come topi in trappola. Perciò, al buio, abbiamo trascorso le ore pregando o cantando. Ma più i giorni passavano, più la nostra disperazione aumentava». Nessuna certezza, solo la voglia di resistere. «Senza sapere quanto tempo dovrai ancora patire la fame, la sete e il freddo, l’attesa diventa insopportabile. Ho detto agli altri di non bere l’acqua di mare, ma lo hanno fatto ed è stato peggio perché poi hanno avuto anche i crampi».

 

Per Harry era il secondo tentativo. Aveva già provato a fuggire dalla Nigeria nel 2020 su una petroliera diretta in Norvegia. Ma all’arrivo è stato respinto e riportato a Lagos. «Lì, la mia vita non ha senso, per questo ci ho riprovato. Io e la mia famiglia abbiamo subito le violenze della guerra, del terrorismo, le minacce di morte, la povertà. Come possiamo vivere senza speranza di futuro?», chiede Harry. Il suo piano prevedeva di chiedere asilo e poi farsi raggiungere da moglie e figlio. «Ho studiato da meccanico, posso lavorare sodo, perché non ho diritto di vivere? Perché sono nato nella parte sbagliata del mondo?». Neppure la legale Marìa Vieiyra può rispondergli, almeno fino alla decisione del ministro dell’Interno di Madrid Fernando Grande-Marlaska. La prima richiesta di asilo è stata respinta ma le pressioni del Cear, del Segretariato per le migrazioni del vescovado delle Canarie hanno indotto il governo a considerare la possibilità di accogliere i tre. Del caso si sta occupando anche David Melian Castellano, l’avvocato che assiste i compagni di Harry: «Dopo che il ministero ha ordinato l’espulsione immediata abbiamo coinvolto l’Acnur, la Agencia de la Onu para los Refugiados (l’Unhcr, ndr) che ci ha subito appoggiati. È stato un lavoro di squadra e ora per questi ragazzi si profila una possibilità».

 

L’agenzia spagnola per i rifugiati ufficialmente non si pronuncia ma conferma che il caso, anche grazie al clamore suscitato, potrebbe costituire un precedente importante per le politiche migratorie in Spagna. «La vicenda – rivela una fonte anonima – ha attirato l’attenzione. La stampa non ha seguito quasi nessuno dei 30mila disperati arrivati nel 2022, mentre in questo caso, l’interesse è stato forte, nel bene e nel male. Per questo va gestito con molto riserbo, almeno fin quando non verrà presa una decisione definitiva». Per ora, dunque, i ragazzi sono in Spagna, la loro richiesta d’asilo è ancora pendente e tocca alle autorità riconsiderarla. Serviranno almeno sei mesi. Durante i quali i tre provano a riprendersi dalle conseguenze del viaggio. Sono ancora abbastanza scossi, accusano i sintomi di stress post traumatico e sono seguiti da una psicologa.

 

Due di loro hanno difficoltà a dormire, dopo che per undici giorni chiudere gli occhi poteva significare sparire tra le onde. Come per migliaia di altri migranti diretti in Spagna. Sono 11.286, secondo il più recente report di Caminando fronteras. Ovvero sei al giorno. Una strage i cui numeri potrebbero persino non essere precisi, al ribasso. Sempre secondo i dati, infatti, sono 241 le imbarcazioni che durante la traversata in mare sono sparite dai radar e mai più ritrovate.

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