Diplomazia spuntata
Mosca tiene sotto scacco le Nazioni Unite nel Consiglio di sicurezza. Ma i russi sono partner obbligatori per le altre crisi del mondo: dalla Libia alla Siria fino ai Balcani
di Carlo Tecce
La pace va cercata per forza e con forza all’Organizzazione delle Nazioni Unite. La pace ricorre 42 volte nei 111 articoli scolpiti nello Statuto. La pace è una vocazione e anche uno strumento indispensabile per esercitare la sua funzione. Però oggi la pace in Ucraina è forestiera alle Nazioni Unite. «Al momento non ci sono le condizioni per negoziare la pace». L’ha detto il portoghese Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, non più tardi di tre mesi fa. La pace non è una possibilità. E se non è una possibilità, banalmente, non può avverarsi. Non può accadere. E se non può accadere in Ucraina, per contagio, emulazione oppure, peggio, rassegnazione, è più difficile che accada altrove. È l’unica inconfutabile vittoria dei russi che proprio dalle Nazioni Unite, col seggio permanente nel Consiglio di sicurezza (in aprile sono regolarmente di turno alla presidenza), invadono l’Ucraina e tengono in ostaggio la pace ovunque. La contraddizione (o meglio, l’antinomia) quotidiana ha logorato più le Nazioni Unite che il regime di Vladimir Putin. Ogni tanto si citano piani per la pace per Mosca e Kiev, mai che uno possa davvero provenire dagli uffici Onu. Ci sono le risoluzioni di condanna alla Russia che, puntualmente, l’assemblea ratifica a larga maggioranza – però escluse potenze come India e Cina – e ci sono accordi nel ben più efficace Consiglio di sicurezza che, altrettanto puntualmente, sono ispirati, corretti e ratificati dalla Russia assieme agli altri quattro membri col diritto di veto (Cina, Francia, Stati Uniti, Regno Unito).
Il diplomatico Maurizio Massari, ambasciatore italiano presso le Nazione Unite, è il nostro anfitrione al Palazzo di Vetro. «Qui non ci sono spettatori della guerra in Ucraina, non lo siamo e non possiamo permettercelo. Stiamo sostenendo Kiev in tutti i modi per consentirle di resistere all’aggressione. Dalla difesa dell’aggredito e dei suoi diritti, in coerenza con la Carta Onu, possono maturare le condizioni per una futura pace. Bisogna comunque lasciare sempre aperti i canali della diplomazia, anche se l’azione principale è oggi sul campo di battaglia».
In tre mesi nulla è cambiato, nulla è migliorato. Le Nazioni Unite non trattano la pace, ma assistono i profughi e i rifugiati, raccolgono le prove dei crimini di guerra (di recente le hanno denunciate), garantiscono i flussi alimentari nel patto con i turchi per il Mar Nero i turchi. E poi ci sono le ricadute. I colpi di rimbalzo. «Se non ci fosse l’Ucraina, la nostra attenzione sarebbe sull'Agenda 2030 e sul raggiungimento dei suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Una delle conseguenze più gravi della guerra ucraina sono i suoi effetti indiretti a livello mondiale dal punto di vista della sicurezza alimentare, delle catene di approvvigionamento, fra cui quella dell'energia, o pensiamo ancora all'inflazione, che incide sul debito dei Paesi a basso reddito. Tali Paesi, che sono espressione del “Sud Globale” del pianeta, invocano la fine della guerra affinché le Nazioni Unite possano tornare a occuparsi a tempo pieno dei temi da essi avvertiti come urgenti, se non esistenziali: dal cambiamento climatico per i piccoli Stati insulari del Pacifico dei Caraibi, alla riduzione delle disuguaglianze e della povertà in Africa».
La presidenza russa del Consiglio di sicurezza è un falso problema, «suscita sdegno sul piano morale» per usare le parole di Massari, ma il comportamento intimidatorio nel Consiglio di sicurezza per ciascuna missione è un enorme problema. La concentrazione di mezzi e risorse in Ucraina ha allentato la pressione di Mosca in Africa (centro e soprattutto nord) oppure in Siria o nei Balcani e nei territori contesi, non riconosciuti, ma essere un pilastro alle Nazioni Uniti autorizza il regime di Putin a tutelare con decisione i propri interessi, a rallentare, avanzare, provocare, sapendo che l’Occidente è costretto a trattare, a ingollare compromessi.
Le missioni Onu sono verifiche continue. Quella afghana di assistenza, introdotta dopo il ritorno dei talebani, è stata rinnovata con estrema facilità. Allo stesso modo, però con una perniciosa pigrizia, il Consiglio di sicurezza proroga le missioni di pace in gran parte in Africa (oltre la metà). Il norvegese Geir Pedersen sta per compiere cinque anni da inviato speciale per la Siria. Il dittatore Assad, accusato di indicibili nefandezze, ha ripreso le sue visite di Stato per promuovere la nuova Siria. A marzo è stato ricevuto prima in Russia e poi negli Emirati Arabi. Anche fra le macerie e il terrore siriano, dunque, Mosca è un interlocutore essenziale. «In Siria è in corso da tempo un costante lavoro di mediazione - spiega Massari - ad opera delle Nazioni Unite e di Geir Pedersen, che va appoggiata per garantire una soluzione duratura al conflitto. Parallelamente si stanno riaprendo alcuni canali di dialogo tra il regime siriano e il mondo arabo, e in parte la Turchia. Qualora queste dinamiche intra-regionali andassero avanti, anche l’azione Onu potrebbe essere più efficace. In parallelo con tali dinamiche regionali, sarà importante continuare a difendere i principi promossi dall'Unione Europea, con l'obiettivo di sostenere i processi democratici, difendere i diritti umani e perseguire i crimini di guerra. Da parte italiana abbiamo sempre promosso con coerenza la linea europea, e continueremo a farlo».
Certamente l’influenza europea potrebbe, non è mica scontato, evolversi in Libia. Pure fra i vicini dirimpettai del Mediterraneo è imprescindibile il parere di Mosca.
Dopo vari tentativi falliti con diplomatici di diverse nazionalità, lo scorso autunno, il segretario generale Guterres ha nominato il senegalese Abdoulaye Bathily suo Rappresentante speciale. Il successo di Bathily è legato anche ai calcoli dei russi con l’Egitto. «I rappresentanti speciali delle Nazioni Unite promuovono soluzioni per loro natura condivise. La possibilità di incidere sui processi politici o negoziali - commenta Massari - dipende più dalla loro capacità di creare consenso che di rassicurare uno o più Stati membri a discapito di altri. L'Italia supporta fermamente lo sforzo di Bathily in quanto espressione della volontà della comunità internazionale. Come è noto, Bathily sta provando ad accelerare i processi politici interni per arrivare a elezioni entro la fine dell’anno, con base costituzionale e leggi elettorali che siano condivise fra tutti gli attori libici. Le soluzioni per una Libia prospera e democratica non possono essere il frutto del perseguimento di interessi nazionali contrastanti. La presenza di molteplici attori esterni, spesso in competizione tra loro, ostacola l’unità delle Autorità e della società libica».
Questa breve panoramica sui conflitti e le disgrazie degli umani conferma che la pace non va cercata soltanto in Ucraina, ma che senza la pace in Ucraina, anche nel resto del mondo ce ne sarà di meno. Sempre di meno.