Il caso
La “rotonda eurasiatica”: il trucco con cui la Russia aggira le sanzioni
Mosca acquista da paesi “amici” terzi i prodotti che l’Occidente non esporta più. Riuscendo così a rifornirsi dei materiali di cui ha bisogno
Le esportazioni europee verso l’Armenia l’anno scorso sono raddoppiate e, a sua volta, l’Armenia ha triplicato le esportazioni verso la Russia. Poi c’è la moltiplicazione delle lavatrici: all’improvviso il Kazakistan ha cominciato a spedirne in Russia un numero senza precedenti, da zero a 100mila nel giro di un anno. Mentre le vendite di cellulari dalla Serbia sono passate da qualche decina di migliaia di dollari nel 2021 a 37 milioni nel 2022.
Si chiamano importazioni parallele, ossia vendite non autorizzate dall’Occidente alla Russia attraverso Paesi terzi, un modo per aggirare le sanzioni. Passa qualsiasi cosa. Ciò che più preoccupa sono componenti e prodotti a duplice uso, civile e militare: microchip, semiconduttori, circuiti integrati, laser e apparecchi ottici. Tutto serve, anche gli elettrodomestici. Le lavatrici di fascia alta vengono importate, poi smontate e i loro microchip potrebbero finire nell’arsenale russo, spiegano gli esperti. I numeri dicono che il principale punto d’entrata è un gruppo di ex repubbliche sovietiche.
L’anno scorso le esportazioni di Stati Uniti e Unione Europea verso Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, Georgia e Armenia sono cresciute di circa 9 miliardi di euro a quota 24 miliardi. E, a loro volta, questi Paesi hanno aumentato le loro esportazioni verso la Russia di quasi il 50%, raggiungendo 14 miliardi di euro. Per i funzionari europei questa rotta è la «rotonda euroasiatica».
La prova, sostengono, che la Russia sta trovando nuovi modi, per quanto parziali, attraverso cui comprare i prodotti che le servono malgrado le sanzioni. E Bruxelles è concentrata sul modo con cui spezzare questo circuito ma ha però da fare con l’accordo di libero scambio che in gran parte ha eliminato i confini doganali tra Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Armenia e Bielorussia. L’anno scorso Unione Europea e Stati Uniti hanno spedito in Armenia più di 8,5 milioni di dollari di circuiti integrati, 16 volte in più rispetto al 2021. E allo stesso tempo l’export armeno di questi circuiti è salito a 13 milioni di dollari da meno di 2000 nel 2021. Situazioni analoghe in Kirghizistan e Uzbekistan che hanno aumentato le importazioni dall’Occidente di strumenti elettronici o di controllo del voltaggio e della potenza, per poi a loro volta aumentare le esportazioni in Russia.