Il tenente che durante il regime di Videla si è macchiato di crimini orrendi è rifugiato in Italia. Il suo Paese ne chiede l’estradizione. Ma il nostro non risponde e non lo processa

Maria ha appena partorito il suo decimo figlio. È il 15 marzo del 1977 e si trova in ospedale a San Juan, una provincia argentina. Le infermiere entrano nella stanza e le ordinano di andarsene: i militari sono appena arrivati in ospedale. Sono gli anni della feroce dittatura di Videla e Maria non può opporsi, se ne va lasciando lì suo figlio appena nato. Quando torna, i dottori le dicono che è morto, ma non le danno il corpo né un documento che lo certifichi.

 

Maria protesta, ma non può fare nulla: solo un anno prima suo marito, Florentino Arias, è stato sequestrato e fatto sparire dai militari. Il regime di Videla imprigiona, tortura e uccide chiunque si opponga alla dittatura, non risparmiando nemmeno i bambini: i militari in quegli anni rapiscono 500 figli di desaparecidos nascondendo la loro vera identità e crescendoli come se fossero propri. Fra loro anche il figlio di Maria e Florentino, ancora oggi desaparecido come il padre.

 

Per la loro scomparsa però i responsabili non sono da ricercare solo in Argentina: uno degli imputati per i due sequestri è l’ex tenente argentino Carlos Malatto, scappato nel nostro Paese nel 2011 per sfuggire al processo e da allora profugo in Italia.

 

In Argentina, durante gli anni della dittatura di Videla, iniziata il 24 marzo del 1976, sono stati almeno 30.000 i cittadini fatti sparire dai militari. Dal ritorno alla democrazia il Paese latinoamericano ha portato avanti un percorso pubblico di verità e giustizia per le vittime della dittatura che ha pochi eguali al mondo e oggi sono oltre 1.000 gli imputati condannati per i crimini compiuti durante il regime. Per evitare i processi, sono molti gli ex militari che hanno deciso di scappare all’estero e alcuni di loro sono fuggiti in Italia, Paese di cui hanno potuto facilmente ottenere la cittadinanza grazie agli avi di origine italiana. Carlos Malatto non è l’unico torturatore argentino che oggi risiede in Italia, ma il suo caso è al centro di scontri fra la giustizia italiana e quella argentina.

 

Nonostante i gravissimi crimini che gli sono imputati (omicidio plurimo aggravato, sparizione forzata, tortura, violenza sessuale), le richieste di estradizione presentate dalla giustizia argentina sono state rifiutate dai giudici italiani e, nonostante nel maggio del 2020 l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede abbia autorizzato l’istruzione di un processo in Italia contro l’ex tenente, ad oggi Malatto continua a vivere impunito in un resort siciliano.

 

Lo scorso 24 febbraio la deputata del Pd Lia Quartapelle e il deputato del Pd eletto in Argentina Fabio Porta, hanno presentato un’interrogazione in Commissione esteri sul caso Malatto invitando il governo a prendere provvedimenti con urgenza. «È importante che qualsiasi tipo di violazione dei diritti umani, indipendentemente da quando sia stata compiuta, venga perseguita - dichiara Lia Quartapelle a L’Espresso - Anche perché nel nostro Paese si è svolto il processo Condor, che è stato importantissimo e che è stato un esempio per la giustizia internazionale».

 

Il maxi-processo Condor ha riguardato i cittadini di origine italiana fatti sparire durante le dittature latinoamericane degli anni ’70 e che, nel luglio del 2021, ha portato alla condanna di 14 imputati, fra cui Jorge Nestor Troccoli, torturatore uruguaiano che era scappato in Italia nel 2007 e che ora è detenuto nel carcere di Salerno. «Il messaggio del processo Condor è stato chiaro: se hai compiuto quel tipo di crimini, non troverai impunità all’estero – continua Quartapelle - Quindi oggi la giustizia italiana dovrebbe essere coerente e dovrebbe estradare o processare in Italia tutti i torturatori latinoamericani che si nascondono nel nostro Paese».

 

A San Juan, durante gli anni della dittatura, sono stati fatti sparire più di 100 cittadini e a guidare il gruppo che realizzava i sequestri, le torture e gli omicidi era proprio Malatto. La squadra dell’ex tenente argentino, come testimoniato dai sopravvissuti durante i processi, si è distinta per la crudeltà delle sevizie inflitte ai prigionieri e per la minuziosità con cui sono stati fatti sparire i cadaveri: fino ad oggi non è stato possibile ritrovare il corpo di nessuno degli oltre 100 prigionieri sequestrati, nemmeno quello di Florentino Arias.

 

Padre di 9 figli, Arias aveva 42 anni al momento del sequestro, lavorava all’università pubblica di San Juan come tipografo ed era un militante peronista. Sua figlia Viviana aveva 9 anni quando è stato fatto scomparire e oggi chiede giustizia per il padre e il fratellino rapito: «Non abbiamo mai trovato il corpo di mio padre, sono passati più di 40 anni e io non so nemmeno cosa gli sia accaduto. Ho bisogno che venga fatta giustizia, ma anche che i militari come Malatto mi dicano dove sia il corpo di mio padre, come sia morto e cosa sia successo a mio fratello. Per questo è necessario che venga estradato o che sia imputato in un processo in Italia. Non è importante solo la condanna: devono dirci dove sono i nostri cari».

 

Carlos Malatto, dal 2018, risiede in un resort di lusso a Portorosa, in provincia di Messina, ma prima ha vissuto in altre regioni italiane in cui ha sempre ricevuto aiuto, soprattutto da enti religiosi: prima ospitato nella parrocchia di Cornigliano (in provincia di Genova) e poi a L’Aquila presso l’istituto delle Serve di Maria Riparatrici. «Tutti gli italiani - afferma Viviana Arias, 55 anni - devono sapere che da anni una persona che ha violentato, torturato e ucciso decine di persone vive tranquillamente nel loro Paese».