Guerra
Così gli Stati Uniti cercano di convincere l’Ucraina a negoziare
La controffensiva non sta andando bene e le vittime aumentano. Perciò negli Usa crescono i malumori. Il messaggio dall’amministrazione Biden è: occorre cedere su qualcosa e trattare per la pace. E anche Zelensky, per la prima volta, apre a una soluzione politica sulla Crimea
In Ucraina si dovrà trattare. Non in un ipotetico futuro, ma presto. E non è detto che agli alti livelli non siano già stati stabiliti contatti. Il motivo è semplice: la controffensiva ucraina sta fallendo e non si intravedono spiragli per una svolta, mentre il numero dei morti e degli inabili al combattimento aumenta significativamente.
A dirlo non sono i movimenti di pacifisti o i simpatizzanti malcelati di Vladimir Putin, ma il New York Times e il Washington Post nella stessa settimana. Se le due principali testate statunitensi – che dall’inizio della guerra si sono spesso fatte portavoce di messaggi dell’amministrazione di Joe Biden rivolti al mondo e ai vertici ucraini – scrivono che Kiev dovrà cedere qualcosa per avere la pace, non lo si può ignorare.
Nello specifico, «gli ambienti dei servizi segreti statunitensi ritengono che la controffensiva ucraina non riuscirà a raggiungere la città chiave di Melitopol», che si trova nel Sud-Est del Paese, sulla costa del Mar Nero. Melitopol è stata più volte indicata dai vertici militari ucraini come un obiettivo fondamentale per tagliare la linea dei rifornimenti terrestri dalle regioni russe alla Crimea. Riuscire a spezzare il fronte in quel punto significherebbe impedire alle truppe di occupazione di ricevere aiuti dalle retrovie e permetterebbe la riconquista di Kherson est, oltre all’intensificarsi delle azioni contro la Crimea. Ma, al netto di qualche piccola avanzata a Sud di Zaporizhzhia, i soldati ucraini non sono riusciti a scalfire la linea delle difese russe.
«Bisogna avere pazienza», continuano a ripetere i vertici ucraini, Volodymyr Zelensky in testa. Fino a poco tempo fa lo sostenevano (almeno ufficialmente) anche Oltreoceano. Ma due nuove preoccupazioni adombrano ancora di più il campo. Le elezioni presidenziali del 2024 negli Usa e il numero dei caduti sul campo.
Se Donald Trump dovesse avere la possibilità di correre per la presidenza, l’Ucraina diventerà senz’altro uno dei temi caldi della campagna elettorale. I Repubblicani hanno già fatto capire che iniziano a essere stanchi e in più di un’occasione Kevin McCarthy, il presidente della Camera, ha dichiarato che gli Usa non hanno «firmato un assegno in bianco» a Kiev. Infatti, la nuova richiesta del presidente Biden – ovvero lo stanziamento di ulteriori 24 miliardi di dollari per sostenere l’Ucraina – non ha raccolto lo stesso entusiasmo del dicembre 2022, quando Camera e Senato avevano approvato senza indugi ben 45 miliardi di dollari per il Paese invaso dalla Russia. Biden aveva insistito sul fatto che quello «sforzo straordinario» avrebbe permesso a Kiev di condurre un’operazione decisiva, che avrebbe palesato la sconfitta militare russa e costretto Mosca a trattare alle condizioni di Zelensky.
Così non sembra e, infatti, il principale sfidante repubblicano di Trump, Ron DeSantis, ha iniziato a mettere in discussione il ruolo di Washington nel conflitto. Non ai livelli dell’ex presidente, ora indagato, che si è detto sicuro di poter «risolvere il conflitto in 24 ore». In che modo non è chiaro, ma tutto lascia supporre che il governo ucraino non ne sarebbe felice.
Tuttavia, per la campagna elettorale bisognerà aspettare l’anno nuovo. Il problema imminente, semmai, sono i soldati. Il Nyt, nelle scorse settimane, ha pubblicato delle cifre impressionanti: le perdite militari della Russia si avvicinano a 300 mila unità, di cui 120 mila morti e 170-180 mila feriti; i morti ucraini, invece, sfiorano i 70 mila e sarebbero 100-120 mila i feriti. Considerato l’attuale stallo della controffensiva e il probabile ritorno a una guerra d’attrito nei mesi freddi, Kiev ha bisogno di fanti e, al netto delle nuove reclute, non può permettersi perdite ingenti.
Gli studiosi militari dicono che le forze che vanno all’attacco hanno bisogno di un numero di soldati tre volte superiore rispetto a chi difende. Infatti, l’anno scorso la strenua e vittoriosa difesa degli ucraini lasciò il mondo sorpreso. Si ipotizzava un rapporto di un morto o ferito grave ucraino a fronte di sette russi. Ora questo rapporto si sarebbe ridotto a uno a tre. Nel frattempo, i reparti speciali addestrati dai Paesi Nato sono in attesa di un corridoio sicuro tra le linee nemiche per essere impiegati. «Non possiamo permetterci di mandare i migliori dei nostri al macello», lasciano intendere i vertici delle forze armate di Kiev, mentre chiedono più munizioni agli alleati.
Se ci si concentra su queste notizie è perché non si tratta solo di articoli giornalistici. Le «fonti anonime» del Pentagono, del governo e dell’esercito che sono evocate come riferimento non fanno altro che veicolare la linea della Casa Bianca. Quando il Nyt e il Wp pubblicano qualcosa se ne parla in tutto il pianeta. E allora quale migliore strumento per annunciare – come è successo, per esempio, in occasione degli attentati al gasdotto Nord Stream o alla figlia dell’ideologo nazionalista russo Alexander Dugin – che «potrebbero essere stati gli ucraini»? In quelle occasioni il messaggio era chiaro: gli Usa sono estranei e contrari a queste operazioni, che sono concepite e messe in atto dall’intelligence ucraina.
Infatti, «non vogliamo lo scontro con la Russia», ha ribadito in più occasioni l’amministrazione Biden ed è quasi scontato che sia vero. A che pro impegnarsi in un conflitto diretto, nel quale le due principali potenze nucleari globali potrebbero aprire le porte dell’Apocalisse, quando Putin ha deciso scientemente di invadere l’Ucraina e di attirarsi il biasimo di mezzo mondo, interrompendo (quasi) ogni scambio con i Paesi europei e costringendo Mosca a cercare nuovi alleati (resi, tra l’altro, baldanzosi dalle difficoltà economiche del gigante eurasiatico)? Il gas russo in Europa occidentale non arriva più, la Nato sta vivendo una seconda giovinezza, gli Usa sono quasi riusciti a far dimenticare la figura tremenda del ritiro dall’Afghanistan e il rublo crolla del 12 per cento.
No, dunque, Washington non ha bisogno che il conflitto aumenti d’intensità: il Cremlino riesce benissimo a farsi del male da solo. E, nel frattempo, a farne molto di più all’Ucraina con i bombardamenti sulle infrastrutture civili e sui depositi di grano. Del resto, le sortite ucraine in territorio russo non spostano gli equilibri del conflitto. Gli attacchi alle navi e ai porti russi del Mar Nero causano danni importanti, ma non inceppano la macchina da guerra del Cremlino.
E l’ottimismo occidentale scema proprio quando Kiev ne avrebbe più bisogno. Intanto dagli ambienti della Nato trapelano frasi che sembrano voler sondare il terreno: se l’Ucraina acconsentisse a cedere la Crimea sarebbe un primo passo e un’arma negoziale importante. «Impossibile», tuonavano i fedelissimi di Zelensky, «prima la vittoria sul campo e poi la trattativa». Ma lo stesso presidente, in un’intervista all'emittente 1+1, ha per la prima volta aperto a una soluzione diplomatica: «Sulla Crimea meglio una soluzione politica a una militare».
Intanto sul campo la controffensiva non è finita. E i generali statunitensi ritengono che il conflitto si trascinerà almeno fino alla metà del 2024.